La buona battaglia del cardinale Müller
Il benservito dato dal papa al cardinale Gerhard Ludwig Müller, esattamente alla scadenza dei cinque anni di mandato, ha il sapore di una cacciata. Francesco ha usato il cronometro: non un minuto in più è stato concesso al signor prefetto. D’altra parte che tra Francesco e Müller non ci fosse feeling era chiaro da un pezzo.
Quali i motivi? Diversi e a più livelli.
Il cardinale tedesco, scrive il quotidiano argentino «Clarín», si opponeva alle riforme di Francesco vedendo in alcune decisioni del papa un attacco alla dottrina. In realtà non si è mai opposto al papa, ma ha usato la sua autorità per segnalare alcuni problemi.
Come disse anche in un’intervista concessa a questo blog, Müller aveva a cuore la difesa della retta dottrina e l’aiuto al papa, che sono poi i principali compiti, secondo statuto, della Congregazione per la dottrina della fede. La curia romana, spiegò, è un organismo al servizio del papa e del suo magistero. «Non dobbiamo mai dimenticare che la missione più importante del papa è la professione della fede cattolica, attraverso la quale tutte le Chiese cattoliche sono unite, e la riaffermazione della dottrina cattolica, di cui è primo testimone proprio il successore di Pietro».
Queste sottolineature non sono piaciute a Santa Marta e dintorni. Professare la fede, riaffermare la dottrina? Sembra scontato che il prefetto della Congregazione per la dottrina della fede attribuisca al papa questi doveri primari. Eppure qualcuno ha letto nelle parole di Müller quasi una provocazione e ha ritenuto inaccettabile la rivendicazione di un ruolo importante della congregazione, a difesa della fede e della Chiesa, per il bene delle anime.
«Strutturare teologicamente » il papato: il cardinale spiegò così, una volta, il suo compito, anche in questo caso in perfetta linea con lo statuto della congregazione di cui era titolare. Ma questa sua volontà, anziché essere vista come una proposta d’aiuto nei confronti di un pontefice che certamente non possiede una specifica preparazione in campo teologico, è stata interpretata come resistenza a Francesco.
Nei libri, negli articoli e nelle interviste Müller non si è mai nascosto. Quando, per esempio, Marie Collins diede le dimissioni dalla commissione per la tutela dei minori parlando di scarso appoggio da parte di alcuni organismi di curia, Müller replicò che bisognerebbe finirla con il cliché del papa che vuole le riforme e della curia che rema contro.
Su «Amoris laetitia» disse che l’interpretazione va fatta alla luce della dottrina della Chiesa, che i vescovi non possono leggerla e applicarla ognuno a modo proprio e che l’insegnamento della «Familiaris consortio» sulle coppie divorziate risposate resta valido, così come quello della «Veritatis splendor» in materia di morale. Le sue parole furono forti: «Per noi il matrimonio è l’espressione della partecipazione dell’unità tra Cristo sposo e la Chiesa sua sposa. Questa non è, come alcuni hanno detto durante il sinodo, una semplice vaga analogia. No! Questa è la sostanza del sacramento, e nessun potere in cielo e in terra, né un angelo, né il papa, né un concilio, né una legge dei vescovi, ha la facoltà di modificarlo».
Come definire la linea di Müller? Verrebbe da usare una parola cara a Francesco: parresia, ovvero libertà e franchezza. Una parresia che però, pur richiesta, spesso non è gradita.
A latere, bisognerebbe anche ricordare gli sgarbi ai quali il cardinale è stato sottoposto sotto il pontificato di Francesco.
Se pensiamo all’importanza del suo ruolo e al prestigio della sua carica, Müller è stato trattato incredibilmente male. Quando gli fu consegnata una copia di «Amoris laetitia», prima della pubblicazione, per una revisione dottrinale, il prefetto la rimandò con moltissime osservazioni, ma non ebbe risposta. Inoltre a più riprese il papa ha dimostrato di non tenerlo in alcuna considerazione, valorizzando invece il ruolo di altri cardinali, come Walter Kasper, Christoph Schönborn e Oscar Maradiaga. Quando, durante un’intervista in aereo, al papa furono chieste delucidazioni su «Amoris laetitia» (aprile 2016, volo di ritorno dall’isola di Lesbo), Francesco indicò come punto di riferimento dottrinale non il cardinale Müller, ma Schönborn, e sempre Schönborn, e non Müller, fu incaricato della presentazione del documento ai giornalisti nella sala stampa vaticana. Un autentico schiaffo.
Quando poi Maradiaga ebbe parole assai poco rispettose nei confronti di Müller («È un professore di teologia tedesco, nella sua mentalità c’è solo il vero e il falso. Però, fratello mio, il mondo non è così, tu dovresti essere un po’ più flessibile») il prefetto capì che su di lui stava per calare, misericordiosamente, la mannaia.
Idem per quanto riguarda le parole di un altro intimo di papa Francesco, monsignor Victor Manuel Fernandez, che in un’intervista disse a proposito di Müller e del suo ruolo di prefetto dell’ex Sant’Uffizio: «Ho letto che alcuni dicono che la curia romana fa parte essenziale della missione della Chiesa, o che un prefetto del Vaticano è la bussola sicura che impedisce alla Chiesa di cadere nel pensiero light; oppure che quel prefetto assicura l’unità della fede e garantisce al pontefice una teologia seria. Ma i cattolici, leggendo il Vangelo, sanno che Cristo ha assicurato una guida ed una illuminazione speciale al papa e all’insieme dei vescovi, ma non a un prefetto o ad un’altra struttura».
Tra gli sgarbi a Müller va poi ricordato il licenziamento in tronco, voluto dal papa, di tre sacerdoti della Congregazione per la dottrina della fede, senza un motivo preciso e senza che il prefetto potesse dire la sua a difesa dei collaboratori. E uno dei tre licenziati, l’olandese Christophe J. Kruijen, teologo di valore, fu punito semplicemente in base a una delazione.
Voglio chiudere con le parole che il cardinale mi disse nell’intervista del novembre scorso: «Qui noi, certamente, siamo responsabili della verità della fede, ma anche della salvezza delle anime. Questo è il fine ultimo. Dunque, lavoriamo per il successore di Pietro, per la Chiesa e per il Regno di Dio».
Müller può dire di aver combattuto la buona battaglia.
Aldo Maria Valli