Lo smantellamento del magistero di san Giovanni Paolo II
Molti commentatori hanno osservato che con il «cambio di paradigma» incoraggiato da Francesco a partire da Amoris laetitia, l’Humanae vitae di Paolo VI è ormai in fase di smantellamento. Come immagine viene in mente quella di certi cantieri nei quali le vecchie navi, non più in grado di solcare i mari, sono demolite.
Per quanto il papa abbia parlato di «genialità profetica» di quel testo, è in corso la sua confutazione, della quale si è fatto interprete soprattutto padre Maurizio Chiodi, membro della nuova Pontifica accademia per la vita, nella conferenza «Rileggere Humanae vitae alla luce di Amoris laetitia» tenuta all’Università Gregoriana il 14 dicembre scorso.
Il contributo di Chiodi, ha sottolineato Avvenire, corrisponde a un «superamento» dell’enciclica di papa Montini. L’Humane vitae, ha scritto il quotidiano, fa parte infatti di una tradizione che «non va sclerotizzata ma resa dinamica, cioè coerente con una società che cambia».
In pratica Chiodi ha sostenuto che la contraccezione artificiale è non solo possibile, ma in certi casi necessaria: tutto sta nel «discernimento» rispetto alla realtà concreta. E monsignor Vincenzo Paglia, presidente della Pontificia accademia per la vita rinnovata da Francesco, ha in seguito chiosato: «Le norme sono per far vivere gli esseri umani, non per far funzionare i robot», quindi «richiedono un processo di valutazione che deve prendere in conto l’insieme concreto delle circostanze e delle relazioni in cui si trova la persona».
Se si considera che da tempo è all’opera una commissione di studio istituita in Vaticano per ricostruire la genesi di Humanae vitae dal punto di vista storico e documentario, è evidente che il «superamento» è non solo in atto, ma in una fase già piuttosto avanzata.
A questo punto però il «superamento» non riguarda solo Paolo VI, bensì anche san Giovanni Paolo II, il quale confutò sempre le ragioni di chi si opponeva a Humanae vitae.
«Non si tratta di una dottrina inventata dall’uomo: essa è stata inscritta dalla mano creatrice di Dio nella stessa natura della persona umana ed è stata da lui confermata nella rivelazione», diceva Karol Wojtyła nel 1988 (discorso ai partecipanti al II Congresso internazionale di teologia morale), a vent’anni dall’enciclica di Montini. «Metterla in discussione, pertanto, equivale a rifiutare a Dio stesso l’obbedienza della nostra intelligenza. Equivale a preferire il lume della nostra ragione alla luce della divina sapienza, cadendo così nell’oscurità dell’errore e finendo per intaccare altri fondamentali capisaldi della dottrina cristiana».
Come ha opportunamente ricordato Sandro Magister, san Giovanni Paolo II, anche grazie al contributo del compianto Carlo Caffarra, rifiutava l’idea, di matrice soggettivista, che la coscienza, di per sé, possa legittimare la norma morale. Sosteneva infatti papa Wojtyła: «Durante questi anni, a seguito della contestazione di Humanae vitae, è stata messa in discussione la stessa dottrina cristiana della coscienza morale, accettando l’idea di coscienza creatrice della norma morale. In tal modo è stato radicalmente spezzato quel vincolo di obbedienza alla santa volontà del Creatore, in cui consiste la stessa dignità dell’uomo. La coscienza, infatti, è il “luogo” in cui l’uomo viene illuminato da una luce che non gli deriva dalla sua ragione creata e sempre fallibile, ma dalla sapienza stessa del Verbo, nel quale tutto è stato creato».
La norma morale, spiegava san Giovanni Paolo II, non può essere modificata al punto da trasformare in bene ciò che è male, in ordinato ciò che è disordinato, e la Madre Chiesa ha il dovere di ricordarlo: «Paolo VI, qualificando l’atto contraccettivo come intrinsecamente illecito, ha inteso insegnare che la norma morale è tale da non ammettere eccezioni: nessuna circostanza personale o sociale ha mai potuto, può e potrà rendere in se stesso ordinato un tale atto. L’esistenza di norme particolari in ordine all’agire intra-mondano dell’uomo, dotate di una tale forza obbligante da escludere sempre e comunque la possibilità di eccezioni, è un insegnamento costante della Tradizione e del Magistero della Chiesa che non può essere messo in discussione dal teologo cattolico».
Con il «superamento» di Humane vitae è dunque anche il magistero di papa Wojtyła a essere messo in discussione, a partire da quei veri e propri pilastri dell’insegnamento di san Giovanni Paolo II che sono l’esortazione Familiaris consortio del 1981 e l’enciclica Veritatis splendor del 1993.
È da notare che anche san Giovanni Paolo II si richiamava al discernimento, ma in modo ben diverso da quello indicato dal nuovo paradigma.
In Veritatis splendor, per esempio, spiegava: «Rivolgendomi con questa enciclica a voi, confratelli nell’episcopato, intendo enunciare i principi necessari per il discernimento di ciò che è contrario alla “sana dottrina”, richiamando quegli elementi dell’insegnamento morale della Chiesa che sembrano oggi particolarmente esposti all’errore, all’ambiguità o alla dimenticanza» (n. 30) .
A proposito di errore e ambiguità, ecco poi che cosa scriveva l’Osservatore romano nel febbraio del 1989 in una nota intitolata «La norma morale di Humanae vitae e il compito pastorale»: «Il dovere di chiamare per nome il bene e il male nell’ambito della procreazione responsabile è stato compiuto, con fedelissimo amore a Cristo e alle anime, da Paolo VI, in particolare con la sua enciclica Humanae vitae. Lo stesso dovere, in piena coerenza con il concilio Vaticano II e con l’enciclica ora ricordata, ha compiuto e continua a compiere il Santo Padre Giovanni Paolo II. Rientra in questo preciso dovere l’affermazione che la norma morale dell’Humanae vitae circa la contraccezione, in quanto proibisce un atto intrinsecamente disordinato, non ammette eccezioni. Una simile affermazione non è affatto un’interpretazione rigida e intransigente della norma morale. È, semplicemente, il chiaro ed esplicito insegnamento di Paolo VI, più volte ripreso e riproposto dall’attuale Sommo Pontefice. “In verità – leggiamo nell’enciclica Humanae vitae – se è lecito, talvolta, tollerare un minor male a fine di evitare un male maggiore o di promuovere un bene più grande, non è lecito, neppur per ragioni gravissime, fare il male, affinché ne venga il bene, cioè far oggetto di un atto positivo di volontà ciò che è intrinsecamente disordine dal punto di vista morale e quindi indegno della persona umana, anche se nell’intento di salvaguardare o promuovere beni individuali, familiari e sociali” (n. 14)».
Come si può vedere, toni e contenuti ben diversi da quelli proposti oggi dai sostenitori del nuovo paradigma. Di qui l’impressione che in quel cantiere di smantellamento sia ormai entrato anche il magistero di san Giovanni Paolo II. Senza dimenticare però che, come spiegano i tecnici, i lavori di demolizione sono sempre tra i più pericolosi.
Aldo Maria Valli