Anche gli embrioni umani congelati meritano protezione

di Jerzy Kwaśniewski*

Lo scorso luglio un tribunale polacco ha dato soddisfazione alla madre di un bambino congelato, concepito tramite fecondazione in vitro.

Il tribunale distrettuale di Radom ha emesso una sentenza storica e innovativa sulla difesa della vita dal momento del concepimento. Grazie all’impegno dei nostri avvocati, il diritto alla vita di un bambino particolare, congelato come embrione tramite una procedura in vitro, è stato difeso con successo. Da anni l’istituto polacco Ordo Iuris lavora per promuovere buone leggi caratterizzate da una difesa attiva della vita, in vista di sentenze giudiziarie positive in casi che riguardano la difesa della vita dei nascituri.

L’avvocato della madre, Paweł Szafraniec, che lavora presso il Process Intervention Center del nostro think tank legale, spiega: “L’istituto Ordo Iuris ha fornito assistenza legale (gratuita) alla madre in questo caso perché, sebbene non vi siano dubbi sul fatto che la fecondazione in vitro sia un metodo non etico, poco efficace e che disumanizza i bambini, in questa particolare situazione si trattava di una procedura già iniziata e in cui il bambino, congelato nell’azoto liquido, aspettava la possibilità di nascere”.

Il caso riguarda una coppia che, a causa di problemi di salute, per un certo periodo non è stata in grado di avere figli. Alla fine, dopo aver esaurito tutti i metodi di trattamento dell’infertilità disponibili, ha deciso di sottoporsi alla fecondazione in vitro (FIV), e ciò ha portato al concepimento di quattro embrioni. Due sono stati scartati, uno è stato trasferito nel corpo della madre e uno è stato congelato. Il risultato di questa procedura di procreazione medicalmente assistita è stata la nascita di una bambina al primo tentativo. La coppia sposata ha poi avuto un secondo figlio, concepito naturalmente.

L Due anni e mezzo dopo, la coppia si è separata e poi c’è stato il divorzio. Come parte dell’accordo di conciliazione, che regolava specificamente la custodia dei loro figli, il marito ha lasciato alla moglie il diritto di decidere sul destino dell’embrione congelato, e la donna si è assunta l’obbligo di pagare per il mantenimento del bambino, sia prima che dopo la nascita. Una volta che la sentenza di divorzio era già stata finalizzata, tuttavia, l’ex coniuge ha rifiutato – contrariamente all’accordo di conciliazione – di acconsentire al trasferimento dell’embrione nel corpo della madre.

Tra le tante conseguenze della fecondazione in vitro c’è il congelamento di centinaia di migliaia o addirittura milioni di bambini concepiti in tutto il mondo. Fino a poco tempo fa, sembrava che non avessero quasi nessun diritto. Tuttavia qualcosa sta cambiando, almeno in Polonia.

Il fatto che questa sentenza storica sia stata pronunciata in Polonia e non altrove in Europa non è una coincidenza, poiché la Polonia è, insieme a Malta, uno dei soli due paesi europei (senza contare i micro-stati di Andorra, Liechtenstein, Monaco e Città del Vaticano, insieme alle Isole Faroe) in cui l’aborto su richiesta è totalmente vietato e in cui una donna può abortire solo in casi molto specifici, come quando c’è un pericolo per la sua vita o la sua salute fisica o se la gravidanza è il risultato di uno stupro.

Nell’emettere la sentenza, il tribunale della città polacca di Radom ha affermato, in linea con l’argomentazione dei nostri avvocati di Ordo Iuris, che poiché il legislatore polacco tratta l’embrione come una vita umana concepita, che è quindi soggetta a una protezione speciale e non può essere distrutta, e dato che il trasferimento di un embrione per la donazione di embrioni è possibile solo dopo essere stato conservato per vent’anni o dopo la morte di entrambi i donatori di embrioni, nel caso in questione il padre del bambino concepito dovrebbe sopportare le conseguenze della sua decisione. Dovrebbe quindi cercare di essere il miglior padre possibile per il bambino e non privare l’embrione già esistente del suo diritto alla vita e la madre biologica dell’opportunità di dare alla luce il proprio figlio.

Negli Stati Uniti il dibattito sulla regolamentazione della fecondazione in vitro, innescato dalla decisione della Corte Suprema dell’Alabama lo scorso febbraio, sembra essersi in qualche modo placato dopo che la legislatura dello Stato ha approvato una legge per proteggere i fornitori di servizi di fecondazione in vitro, mentre allo stesso tempo i progetti di legge che limitano la capacità dei singoli Stati di introdurre restrizioni alla riproduzione assistita non sono riusciti a passare al Senato degli Stati Uniti.

A differenza della Polonia, tuttavia, gli Stati Uniti rimangono un mercato ampiamente autoregolamentato per i fornitori di servizi di fecondazione in vitro e, se una legislazione fosse necessaria, si tratterebbe piuttosto di una legislazione che porrebbe alcuni limiti a ciò che può e non può essere fatto.

Essendo stato negli Stati Uniti nella seconda metà di giugno, ho avuto la fortuna, come avvocato europeo, di incontrare molti preziosi difensori dei principi conservatori e cristiani nel campo repubblicano. Ma, per essere onesti, come ammiratore di lunga data dei milioni di americani che hanno combattuto così coraggiosamente per il diritto alla vita per così tanti anni, dando un esempio stimolante per la nostra lotta in Europa, sono rimasto sbalordito dalla direzione del dibattito sulla fecondazione in vitro in America. Per dirla senza mezzi termini, non ho potuto fare a meno di vederla come una specie di corsa per sostenere acriticamente la procreazione medicalmente assistita illimitata, anche tra coloro che sono, giustamente, a favore di maggiori restrizioni all’aborto.

Per una volta, potrebbe valere la pena di guardare alle normative già in vigore in Europa da una prospettiva pro-life. Certo, la maggior parte delle società del Vecchio Continente ha un approccio molto liberale a questioni come l’aborto. Tuttavia, dalla nostra parte dell’Atlantico è ampiamente ritenuto che, proprio come dovrebbero esserci dei limiti su quando una gravidanza può essere interrotta uccidendo l’embrione o il feto all’interno dell’utero di una donna, dovrebbero esserci anche dei limiti su quando e come può essere eseguita una procedura di fecondazione in vitro. Dopo tutto, la fecondazione in vitro riguarda anche una decisione di vita o di morte di altri esseri umani, sebbene in una fase molto precoce del loro sviluppo. E in effetti, la maggior parte delle leggi europee riflette la necessità di conciliare la domanda di fecondazione in vitro con l’esigenza etica di offrire protezione legale a ciascun embrione umano, nella sua unicità e identità genetica.

Negli Stati Uniti i critici dell’approccio americano alla fecondazione in vitro indicano spesso il Regno Unito come modello di controllo governativo, ma in realtà tale controllo esiste già in tutta Europa, anche se la legislazione in materia varia notevolmente tra i ventisette Stati membri dell’Unione europea (tra i quali non c’è più il Regno Unito).

Sebbene una direttiva Ue del 2004 abbia stabilito le norme relative alle condizioni per l’uso di tessuti e cellule umani, le questioni etiche e legali relative alla procreazione medicalmente assistita continuano a essere lasciate alla discrezione degli Stati membri. In generale, le principali limitazioni alla fecondazione in vitro in Europa riguardano il numero di embrioni umani che possono essere creati, i limiti di età delle donne che chiedono l’accesso alla fecondazione in vitro e lo status legale e la situazione reale dei genitori del futuro bambino.

Ad esempio, mentre paesi come Francia, Spagna e Grecia hanno leggi che consentono l’accesso alla riproduzione assistita a tutte le coppie, indipendentemente dal loro stato civile e/o dal fatto che siano coppie eterosessuali o dello stesso sesso (come avviene anche nel Regno Unito), altri paesi come Polonia e Italia hanno leggi più restrittive che limitano l’accesso alla riproduzione assistita alle coppie eterosessuali sposate o conviventi.

Per quanto riguarda il numero di ovuli che possono essere fecondati, la legge austriaca, ad esempio, consente la creazione di embrioni umani solo nella misura necessaria da una prospettiva medica per ottenere una gravidanza. La legge lituana afferma che la decisione relativa al numero di embrioni da creare è presa da entrambi i coniugi o partner dopo aver consultato un medico, ma il numero di embrioni trasferiti nel corpo di una donna in una volta non deve superare i tre.

In Germania, è semplicemente vietato fecondare più di tre ovociti in un ciclo, e tutti gli ovociti fecondati devono essere impiantati nell’utero della donna. La legge tedesca sulla protezione degli embrioni proibisce sia la donazione di ovociti che di embrioni, e consente solo il congelamento degli ovociti fecondati allo stato pronucleare, limitando severamente la creazione e la crioconservazione degli embrioni in eccesso.

Similmente a quella tedesca, la legge portoghese stabilisce che gli embrioni debbano essere creati solo nel numero ritenuto necessario per il successo del processo e in conformità con la buona pratica clinica. Allo stesso modo, in Italia è vietato fecondare embrioni in un numero superiore a quello necessario per un impianto, e questo numero non deve in nessun caso superare i tre.

La legge svizzera specifica che durante un ciclo di trattamento possono essere fecondati solo un massimo di tanti ovuli umani quanti sono necessari per la riproduzione medicalmente assistita, o per l’esame del materiale genetico degli embrioni. Nel caso svizzero il numero massimo consentito è di dodici, ma la fecondazione in vitro può essere utilizzata solo per quelle coppie che, a causa della loro età e situazione personale, sono in grado di prendersi cura e crescere il bambino fino al raggiungimento dell’età adulta.

Per quanto riguarda il limite di età della madre, la legge della Repubblica Ceca limita l’età delle donne che possono sottoporsi all’inseminazione artificiale a 49 anni, mentre la legge danese la limita a 45. In Grecia, la fecondazione in vitro è consentita fino a un’età massima di cinquant’anni e, secondo la legge polacca, la fecondazione in vitro può essere intrapresa solo dopo il fallimento dei trattamenti per l’infertilità condotti per un periodo di almeno dodici mesi.

Come ho già detto, a parte la Polonia, tutti i paesi sopra menzionati consentono l’aborto su richiesta fino a un certo stadio della gravidanza, che varia dalle dieci settimane in Portogallo alle ventiquattro settimane nel Regno Unito. Nonostante la mancanza di un’adeguata protezione del diritto alla vita dal concepimento e la diversità dei loro approcci alla fecondazione in vitro, tutti questi paesi vedono la necessità di porre alcune restrizioni al numero di embrioni umani che possono essere creati e al modo in cui vengono gestiti.

Nel frattempo, la questione di cui sembra si parli più spesso in America è se la fecondazione in vitro debba essere coperta dall’assicurazione sanitaria e se ciò debba valere anche quando le tecniche di riproduzione assistita vengono utilizzate non come rimedio (o piuttosto come soluzione alternativa) per l’infertilità, ma per coppie dello stesso sesso o genitori che vogliono poter scegliere il sesso e altre caratteristiche, sia fisiche che intellettuali, dei propri figli.

Ad esempio, negli Stati Uniti è teoricamente possibile per i genitori sordi decidere di avere un figlio sordo selezionando l’embrione “giusto” durante una procedura di fecondazione in vitro. Con lo sviluppo delle tecnologie disponibili, la fecondazione in vitro non regolamentata (o “autoregolata”) porterà inevitabilmente a una serie crescente di pratiche altamente discutibili di questo tipo.

Non posso che essere pienamente d’accordo con il mio collega avvocato americano John Murdock: “Quanto è piccolo il troppo piccolo per preoccuparsene? Questa è la domanda fondamentale che ora si pone ai cittadini in un mondo post-Roe”.

Per rispondere a questa domanda, farò riferimento alla spiegazione fornita dal Tribunale costituzionale polacco nel 1997, quando ha invalidato un emendamento alla legge polacca sull’aborto che aveva appena introdotto una nuova eccezione al divieto di aborto nel mio Paese nei casi in cui una donna si trovi in ​​”difficoltà sociali ed economiche”. Stabilendo che tale eccezione violava il principio del diritto alla vita sancito dalla Costituzione polacca, il nostro Tribunale costituzionale ha affermato che “il valore del bene giuridico costituzionalmente protetto, che è la vita umana, inclusa la vita che si sviluppa nella fase prenatale, non può essere soggetto a differenziazione. In effetti, non esistono criteri sufficientemente precisi e giustificati che consentano di effettuare tale differenziazione in base alla fase di sviluppo della vita umana. Dal momento della sua creazione, la vita umana diventa quindi un valore costituzionalmente protetto. Ciò vale anche per la fase prenatale”.

*presidente del Consiglio di amministrazione e co-fondatore della Fondazione polacca Ordo Iuris Institute for Legal Culture

Fonte: remnantnewspaper.com

 

 

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