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Nelle terre perdute

Forse gli unici che parlano veramente come parlava Gesù sono loro. Sono questi cristiani dimenticati, dei quali non sappiamo nulla e che oggi, una volta ancora, come tante altre volte nel corso della storia, vedono messa a repentaglio la loro stessa esistenza.

A cavallo di Turchia, Siria ed Iraq, narrano storie di persecuzioni e di incredibile coraggio, di paura e di fede indomita. Sono cristiani siriaci, nostri fratelli che conservano un tesoro, perché il cristianesimo delle origini si sviluppò qui, e proprio qui occorre tornare se si vogliono conoscere e capire le radici di una religione che è nata orientale prima di diventare romana e occidentale.

Più che meritoria è allora l’inchiesta scritta da Matteo Spicuglia, giovane giornalista di razza, che in La terra perduta.  Nel cuore dei cristiani del Medio Oriente (Effatà, 144 pagine,10 euro), ci accompagna per mano in un viaggio che incomincia dal Tur Abdin (la Montagna dei servi di Dio), nel Sud-Est della Turchia, ai confini con la Siria, terra che pullula di monasteri cristiani ed è la culla dei cristiani siriaci.

Matteo non ha studiato solo le carte. E’ andato sul posto, ha incontrato adulti, anziani, giovani, bambini. Sulla carta ha messo le loro storie. Le vicende sono quindi narrate attraverso gli sguardi e i volti, le speranze e i timori, le gioie e i sogni di questi uomini e queste donne, eredi e custodi di una fede e di una civiltà antichissime, eppure oggi quasi inesistenti agli occhi del mondo.

”Quasi tremila anni di storia apparentemente invisibili di fronte ai primi palazzoni di cemento”, scrive a un certo punto Matteo presentando Midyat, la città di origine siriaca nella provincia di Mardin, in Turchia, dove i cristiani vivono da sempre, assoggettati di volta in volta ai vari conquistatori, dall’impero assiro fino all’attuale stato turco. A un certo punto, circa mezzo secolo fa, i cristiani hanno rischiato di sparire, a causa dell’emigrazione, ma una presenza cristiana è rimasta, come un tenace fiore di montagna abbarbicato alla roccia, nonostante le tempeste che hanno avuto il nome di arabi, selgiuchidi, ottomani, crociati, persiani, mongoli, bizantini. I massacri e il genocidio cristiano del 1915, scatenato dal’impero ottomano, hanno rappresentato un colpo durissimo. Poi c’è stata la violenta contrapposizione tra il governo di Ankara e la minoranza curda, poi ecco la militarizzazione dell’intera regione, poi ancora la nascita del Pkk, il Partito dei lavoratori del Kurdistan, con la conseguente situazione di guerra endemica.

Le famiglie cristiane, ormai pochissime, mantengono accesa la fiaccola della fede, e ogni giorno in più è un miracolo. La descrizione che Matteo fa della messa celebrata a Pasqua nella chiesa di Mart Shmuni è commovente: il crocifisso avvolto in un drappo rosso, le candele di cera d’api, il segno della pace scambiato da tutti, le mani giunte, il pane benedetto offerto ai bambini. “L’aramaico che ascolti durante la messa è lo stesso dei primi secoli, non è stato modificato, è diverso dal dialetto Turoyo usato nella vita di tutti i giorni. E’ vicinissimo alla lingua di Gesù e degli apostoli, la stessa di ieri. La Pasqua di Mart Shmuni ti porta indietro, ti fa entrare all’improvviso in una storia lunga duemila anni, ti fa sentire in pochi minuti come pregavano e si incontravano le prime comunità cristiane”.

Tante sono le storie raccontate da Matteo. Spesso sono storie di martirio e di fughe senza ritorno. Eppure la fiammella è rimasta accesa. Come a Mardin, la bellissima Mardin, il cui nome significa Fortezza, a più di mille metri di quota, in una posizione strategica, “una città belvedere, dove la storia continua a parlare, soprattutto quella dei cristiani”. Qui, ai bordi dell’altopiano anatolico, tutto parla di convivenza e dialogo: l’architettura araba, la fede cristiana, la presenza curda. Mar  vuol dire santo e din religione. La città è multiculturale e multireligiosa per storia, natura e vocazione. Un simbolo che dovrebbe, si spera, essere riconosciuto dall’Unesco come patrimonio mondiale dell’umanità.

Il viaggio di Matteo diventa una processione tra testimonianze cristiane che resistono, in mezzo a fedeli che, quando parlano del futuro, non mancano mai di aggiungere “se Dio lo vorrà”. E’ così in Siria, è così in Iraq, dove ogni anziano che muore è un pezzo di identità e di fede che sparisce, ma dove, di tanto in tanto, come oasi nel deserto, spuntano case di giovani cristiani che hanno deciso di tornare. Nonostante tutto. Nonostante la nuova, terribile spada che si chiama Isis o Is o Stato islamico, o comunque lo si voglia chiamare: la nuova ondata di violenza, la nuova ventata di intolleranza. Perché, anche se cambiano i nomi e le tecnologie, la storia non manca mai di ripetersi.

Posso dirlo? Il libro di Matteo a un certo punto diventa quasi una preghiera. E i nomi che lui cita sono come i grani di un rosario. Compresi i nomi dei cristiani nascosti, che magari vanno alla moschea, ma a casa, a porte e finestre ben chiuse, pregano Gesù.

Aldo Maria Valli

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