Dunque don Loris se n’è andato e adesso sarà già in compagnia del suo papa Giovanni. Se penso a monsignor Capovilla (chiamarlo cardinale, o sua eminenza, non mi riesce) mi viene in mente una sola parola: pace. E una sola immagine: un presepino che anni fa mi inviò insieme a uno dei suoi teneri biglietti d’auguri. Don Loris era così: pieno di attenzioni per gli amici, sempre disponibile, sempre sorridente. Se ti sentivi giù o magari preoccupato per le sorti della Chiesa, bastava chiamarlo e lui era un energetico formidabile. Riusciva a scorgere il bene ovunque.
Aveva cent’anni e sembrava un ragazzo: nello sguardo, nello spirito, nell’amore per Gesù, per la Chiesa e per il suo papa Giovanni. Si poteva stare ad ascoltarlo per ore. Aveva una freschezza straordinaria. Magari quell’episodio, quel particolare, lo conoscevi già, ma lui lo rendeva sempre nuovo.
Era uomo di pace nel senso pieno della parola. Accanto al suo papa Giovanni aveva vissuto tempi difficili: la guerra sembrava incombere di nuovo, più terribile che mai. Guerra nucleare, guerra folle e totale. Giovanni diede un contributo decisivo per scongiurarla e don Loris, testimone fedele, diventò a sua volta messaggero di pace.
Lo conosceva bene, il suo papa Giovanni. Ora tutti lo ricordano come il segretario del papa buono, ma don Loris fu molto di più. Fu confidente, amico, perfino ispiratore. Se abbiamo avuto il discorso alla Luna, il più bello e commovente che un papa abbia mai pronunciato, il merito è di don Loris. Quella sera, la sera del giorno inaugurale del Concilio, Giovanni non voleva parlare. Lo aveva già fatto in basilica, per la solenne apertura. «Gaudet Mater Ecclesia!», «La Madre Chiesa gioisce!». Aveva detto così, e lì c’era già tutto il suo programma. Ma la sera, quella sera di ottobre, i giovani dell’Azione cattolica organizzarono una bellissima fiaccolata, e don Loris giocò d’astuzia. Conoscendo Giovanni, gli disse: santità, guardi fuori, guardi che spettacolo. Giovanni guardò, rimase impressionato da quel fiume di luce e cambiò idea. Fece aprire la finestra e improvvisò. Un discorso che noi vecchietti conosciamo quasi a memoria, e ancora avvertiamo l’intonazione tipica del papa bergamasco: «Cari figliuoli, sento le vostre voci. La mia è una voce sola, ma riassume la voce del mondo intero; qui tutto il mondo è rappresentato. Si direbbe che persino la luna si è affrettata, stasera – osservatela in alto! – a guardare a questo spettacolo… La mia persona conta niente, è un fratello che parla a voi, diventato Padre per la volontà di nostro Signore, ma tutt’insieme: paternità e fraternità e grazia di Dio, tutto, tutto! Continuiamo, dunque, a volerci bene, a volerci bene così, a volerci bene così, guardandoci così nell’incontro, cogliere quello che ci unisce, lasciar da parte quello, se c’è, qualche cosa che ci può tenere un po’ in difficoltà. Niente: fratres sumus!…Tornando a casa, troverete i bambini; date una carezza ai vostri bambini e dite: “Questa è la carezza del Papa”. Troverete qualche lacrima da asciugare. Fate qualcosa, dite una parola buona. Il Papa è con noi specialmente nelle ore della tristezza e dell’amarezza».
Quando si andava a trovare don Loris a Ca’ Maitino, a Sotto il Monte, sembrava che le parole di Giovanni riecheggiassero in tutte le stanze. Don Loris ne era il custode, ma mai geloso. Anzi, era ansioso di mettere quel tesoro a disposizione di tutti. Sempre con un sorriso, sempre con una parola buona.
Quando, nel 2014, divenne cardinale, non andò a Roma a ricevere la porpora. Gliela portarono a domicilio e lui l’accolse sereno e un po’ incredulo. Per festeggiare, volle accanto a sé un giovane migrante africano, Issa, e gli disse: «Io ormai ho finito la mia corsa e tu la cominci. Dai il tuo contributo alla civiltà dell’amore».
Nel giorno del suo centesimo compleanno gli fecero un po’ di domande e lui disse: «Come posso essere pessimista io, dopo aver conosciuto uomini come papa Giovanni, Paolo VI, gli altri papi, Giorgio La Pira, Giuseppe Lazzati, Giuseppe Dossetti, Alcicde De Gasperi, Aldo Moro? No, non siamo allo sbando. La nostra storia è storia di bellezza, di verità, di giustizia e d’amore».
Nel 1963, quando fu chiaro che per papa Giovanni, malato di tumore, non c’era più niente da fare, fu don Loris a dirgli la verità. Glielo aveva chiesto proprio lui, il papa, che aveva fatto lo stesso con il suo vescovo. Don Loris pianse, ma fece il suo dovere. E da allora consacrò se stesso alla memoria di papa Giovanni.
Di don Loris mi restano i bigliettini pieni di tenerezza, il presepino, il sorriso. Mentre gli dico grazie, lo immagino impegnato in lunghe passeggiate con Giovanni. Come quelle che facevano nei giardini vaticani.
Aldo Maria Valli