Al termine della messa celebrata per i preti e i seminaristi, Francesco saluta uno a uno tutti i cardinali di curia. Ma, più indietro, ci sono centinaia di sacerdoti che premono e si sbracciano. Anche loro vorrebbero incontrare il papa da vicino, baciarlo e abbracciarlo. Francesco se ne accorge, alza le mani e le porta verso di sé, come per dire: venite, venite. Gli uomini della gendarmeria vaticana capiscono e lasciano che i preti si avvicinino. Incomincia così una sorta di pellegrinaggio nel pellegrinaggio: solo che questa volta è Francesco ad andare verso i preti. Li saluta uno a uno. Per ciascuno ha una parola. Si lascia toccare, abbracciare. Alcuni gli stampano un bacio sulla guancia, altri lo baciano sulla mantellina. Francesco ascolta, sorride, fa battute, benedice. Dedica loro molto tempo. Nel corso del giubileo dei sacerdoti e dei seminaristi (ne sono arrivati più di seimila, da tutto il mondo) il papa ha parlato tanto. Si è fatto addirittura in tre, con tre diverse catechesi in altrettante basiliche papali di Roma. Ma questo incontro ravvicinato con i preti, questo toccare e lasciarsi toccare, vale forse più di tutte le parole pronunciate. È la forza di Francesco: il gesto. Ci sono anche i preti anziani, alcuni ammalati e in carrozzella, e per loro il papa mostra particolare tenerezza. Si china su ciascuno, ascolta il racconto delle loro sofferenze, assicura le sue preghiere e chiede di pregare per lui.
Francesco va incontro. E allora vengono in mente tante altre situazioni. Come quando è sceso a confessare i giovani in piazza San Pietro, vicino al colonnato berniniano, in mezzo a decine di altri preti. Quel giorno non è stato facile riconoscerlo. Nessun paramento particolare: solo la veste bianca e la stola viola. Si è seduto su una piccola sedia ed ha confessato ragazzi e ragazze. E come quando, pochi giorni fa, ha accolto quattrocento bambini arrivati dalla Calabria, portati a Roma dal Treno dei bambini, iniziativa del Cortile dei gentili in collaborazione con le Ferrovie dello Stato. La Calabria è una delle nostre regioni nelle quali si vive quotidianamente l’accoglienza dei migranti, e il viaggio è stato pensato per sensibilizzare i bambini. Il titolo era «Portati dalle onde» e Francesco, con accanto monsignor Georg Gänswein, prefetto della Casa pontificia, e il cardinale Gianfranco Ravasi, responsabile del Pontificio consiglio della cultura (dal quale dipende il Cortile dei gentili con tutti i programmi collegati), ha accolto i piccoli ospiti e poi ha mostrato un giubbetto salvagente, uno di quelli arancioni, usati sulle imbarcazioni in caso di emergenza: «Mi hanno portato questo giubbetto. Me lo ha dato un soccorritore e, piangendo, mi ha detto: “Padre, non ce l’ho fatta. C’era una bambina sulle onde, ma non ce l’ho fatta a salvarla” ».
I bambini hanno guardato e ascoltano. Dentro il giubbetto c’era una bimba come loro. Morta in mare, mentre inseguiva il sogno di una vita migliore. «Non voglio rattristarvi – ha spiegato Francesco – ma voi siete coraggiosi e conoscete la verità. Sono in pericolo: tanti ragazzi, bambini, bambine, uomini, donne; sono in pericolo!».
Anche in questo caso, più che con le parole Francesco ha parlato con un gesto. E quel giubbetto davvero ha parlato, ha raccontato una storia drammatica, soltanto una tra le migliaia che quasi ogni giorno si intrecciano sulle acque del Mediterraneo: la storia di una bimba morta in mare mentre stava cercando di raggiungere l’isola di Lesbo, in Grecia, dove il papa si è recato in visita il 16 aprile.
Francesco e i suoi incontri. Fra i meno noti, ma più significativi nell’anno santo, quello con Deborah, una giovane detenuta belga, che ha fatto millesettecento chilometri a piedi dal suo paese a piazza San Pietro, un modo per ritrovare la strada della vita dopo tante vicissitudini. Un modo antico, che già i pellegrini medievali conoscevano bene quando venivano a Roma o andavano a Santiago de Compostela. Camminare per espiare, camminare per rinascere. Con il permesso del giudice, Deborah ha camminato e, una volta arrivata sulla tomba di Pietro, ha potuto abbracciare Francesco: misericordia in atto.
Un altro pellegrinaggio è stato quello di Lizzy, sei anni, fatto con il papà Steve, la mamma Christine e la sorellina. Mentre il papa passa a bordo della vettura scoperta, Lizzy si guarda attorno piena di sorpresa, poi segue l’udienza restando seduta al suo posto. Mamma Christine l’aiuta a restare buona con alcuni libretti da colorare e un bel po’ di pennarelli. Ed eccolo il momento tanto atteso. Alla fine dell’udienza, Francesco si dirige verso le prime file e chiama: «Lizzy!». Le va incontro, l’abbraccia, le sussurra qualcosa, l’accarezza sugli occhi e sulle orecchie. Saluta i genitori, stringe le loro mani, poi torna dalla bimba e di nuovo l’accarezza e la saluta con un buffetto sulla guancia.
La famiglia Myers è arrivata dall’Ohio. Il viaggio è nato da un forte desiderio di Steve e Christine. Lizzy è affetta da una rara malattia genetica, la sindrome di Usher di tipo II, che la porterà a perdere la vista e l’udito. Di qui la decisione di papà e mamma: regalarle una serie di esperienze e di viaggi, cose da vedere e persone da incontrare, un bagaglio di emozioni da immagazzinare nei ricordi, per farne tesoro quando per Lizzy tutto sarà buio e silenzio. Così, grazie all’aiuto di un benefattore che ha fornito i biglietti aerei, Lizzy ha potuto osservare la luna e le stelle dal telescopio dell’osservatorio dell’Ohio, ma nell’elenco stilato dai genitori ci sono anche le aurore boreali, i tramonti sul mare, la visita al Grand Canyon, una giornata alle cascate del Niagara, un soggiorno nel parco di Yellowstone. Fra tutti i progetti, quello che sembrava più difficile era la trasvolata fino a Roma, per l’incontro in Vaticano con Francesco. Invece dal Papa è arrivata una disponibilità immediata. Al momento la bambina non è a conoscenza della malattia. La diagnosi è stata fatta due anni fa e subito i genitori si sono attivati. Secondo i medici la perdita della vista e dell’udito avverrà nel giro di sette anni. Che cosa si sono detti Francesco e Lizzy? Non lo sappiamo ed è bene che certe emozioni restino custodite nei cuori. Sappiamo però che l’incontro è stato un dono grande, dal quale la bimba potrà trarre forza quando per lei incomincerà un’altra vita, più difficile: quando, nel ricordo, rivedrà quel nonno vestito di bianco, avvertirà il tocco della sua mano e ne sentirà tutta la tenerezza.
I gesti di Francesco: la trama di un pontificato. Di fronte ai gesti le parole perdono centralità. Non che non siano importanti, ma vedere Francesco che va incontro alle persone è come guardare gli affreschi su san Francesco ad Assisi. Le parole sono facilmente strumentalizzate, il gesto ha la forza della testimonianza.
Voler bene al papa, pregare per lui e con lui. Camminare con lui mentre va incontro. Vivere il giubileo con Francesco: farsi pellegrini con lui. Intenzioni per l’anno santo arrivato a metà del suo percorso.
Aldo Maria Valli