Francesco ai giornalisti: “Attenti alle seduzioni del potere”
C’è una parola al centro del messaggio rivolto da papa Francesco al Consiglio nazionale dell’Ordine dei giornalisti, il 22 settembre, nella Sala Clementina. La parola è «responsabilità». Sebbene il giornalismo, come l’intera realtà, sotto l’influsso delle innovazioni tecnologiche e delle trasformazioni sociali e culturali, viva una fase di veloci e profondi cambiamenti, chi si occupa di comunicazione in modo professionale deve avere comunque e sempre nel senso di responsabilità la bussola con la quale orientarsi e l’ideale da alimentare senza sosta. Anzi, proprio l’espandersi dei nuovi media, con le opportunità che offrono ma anche con le insidie che presentano, richiede un surplus di responsabilità.
Tutti i lavori sono importanti, ma è innegabile, ha detto Francesco, che quello del giornalista è un mestiere che possiede una rilevanza tutta particolare, per l’influsso che ha, sotto molti profili, sulla vita degli individui e delle comunità. Dal senso di responsabilità dei comunicatori professionali dipendono in buona parte gli stili di vita delle persone così come la qualità culturale e morale dei paesi e la loro stessa tenuta sociale.
Anche la Santa Sede, ha ricordato Francesco, sta rivedendo il suo modo di fare comunicazione, attraverso un processo di riforma che è già incominciato e si sta muovendo lungo le linee dell’efficienza e di una sempre maggiore efficacia. Tutte queste trasformazioni avvengono spesso in modo convulso, perché chi fa comunicazione è pressato dall’evolversi degli avvenimenti e raramente ha il tempo di fermarsi a riflettere. Eppure uno spazio di riflessione, ha ricordato il papa, i giornalisti lo devono trovare, a maggior ragione in un’epoca come la nostra, proprio perché segnata da trasformazioni senza precedenti.
Tre gli elementi sui quali il papa ha chiesto di riflettere e interrogarsi: «Amare la verità, una cosa fondamentale per tutti, ma specialmente per i giornalisti; vivere con professionalità, qualcosa che va ben oltre le leggi e i regolamenti; e rispettare la dignità umana, che è molto più difficile di quanto si possa pensare a prima vista».
Amare la verità, ha ricordato Francesco, significa non soltanto cercarla, affermarla e onorarla con il proprio lavoro, ma testimoniarla attraverso il modo in cui il proprio lavoro viene svolto. Occorre dunque coerenza tra i valori che si professano e il modo di vivere. Il problema, ha tenuto a sottolineare Bergoglio, non sta nell’essere o non essere credenti: la questione qui è decidere se si vuole essere o non essere onesti con se stessi. Una raccomandazione quanto mai puntuale e opportuna se si pensa agli stili di vita nelle nostre redazioni, dove magari ci occupiamo ogni giorno di argomenti edificanti, e dove arriviamo perfino a fare la morale agli altri, ma ci comportiamo male nei confronti dei nostri colleghi e collaboratori.
La verità, ha ricordato Francesco, deve essere l’obiettivo a cui tendere costantemente, ma sempre nella consapevolezza che, all’interno della realtà di cui ci si occupa, occorre saper distinguere tra diverse sfumature. In politica è spesso difficile percepire la differenza fra chi ha torto e chi ha ragione, ma anche nella cronaca non sempre è possibile stabilire che cosa è vero e che cosa non lo è. Compito del giornalista – ma il papa a questo proposito è arrivato a parlare di autentica «missione» – è allora quello di fare ogni sforzo per avvicinarsi il più possibile alla verità senza mai dimenticare la complessità di ciò che è chiamato a riferire. L’importante è non dire e non scrivere mai una cosa che, in coscienza, si sa non essere vera.
Quanto al vivere con professionalità, Francesco ha spiegato che, al di là di ciò che è scritto nei numerosi codici deontologici che regolano il mestiere del giornalista in tutti i suoi aspetti, si tratta di mantenere viva la consapevolezza di essere al servizio di tutti, al di sopra delle parti. Mai, dunque, sottomettere il giornalismo alla logica degli interessi di qualcuno, si tratti di interessi economici, politici o di altro genere. Professionalità, di conseguenza, non significa soltanto saper padroneggiare le tecniche della comunicazione: significa, prima di tutto, coltivare la propria indipendenza mantenendosi autonomi rispetto a ogni forma di potere e di possibile pressione. Dovrebbe far riflettere, ha sottolineato il pontefice, il fatto che nel corso della storia le dittature, di qualsiasi orientamento e colore, hanno sempre cercato di impadronirsi dei mezzi di comunicazione a scopo di propaganda e di imporre ai giornalista nuove regole.
Terzo punto: il rispetto della dignità umana, questione nodale. Perché dietro qualunque avvenimento e notizia ci sono sempre persone, con le loro sensibilità, i loro sentimenti, le loro emozioni. C’è, in sostanza, la vita vera delle persone, e con questa non si può giocare, né la si può ridurre a mezzo. Francesco, l’ha ricordato lui stesso, ha molte volte stigmatizzato l’uso della «chiacchiera», della maldicenza, come arma per colpire le persone, un uso purtroppo diffuso anche all’interno delle strutture ecclesiali. È in effetti una forma di terrorismo che può arrivare a uccidere, come possiamo vedere bene nel caso dei social media, la cui invasività è senza precedenti. Ecco perché il rispetto delle persone deve essere in cima ai pensieri del giornalista. Mai dimenticare che con le nostre parole e le nostre immagini possiamo arrecare sofferenza, distruggere una reputazione, addirittura condurre alla morte. Certo, precisa Francesco, la critica è sempre legittima, così come la denuncia del male, ma la persona va sempre e comunque rispettata, specie nei suoi affetti: «Il giornalismo non può diventare “un’arma di distruzione” di persone e addirittura di popoli. Né deve alimentare la paura davanti a cambiamenti o fenomeni come le migrazioni forzate dalla guerra o dalla fame».
Il giornalismo, questo l’auspicio conclusivo di Francesco, diventi sempre di più un fattore di crescita al servizio della fratellanza e del bene comune, costruendo una cultura dell’incontro ed evitando di alimentare i conflitti.
Una meditazione, quella di papa Bergoglio, all’insegna del realismo, che è un suo tratto distintivo, e dell’assoluta mancanza di accenti confessionali. Chiaramente, per un giornalista cristiano le parole pronunciate dal papa hanno un valore particolare, ma Francesco si è rivolto veramente a tutti, al di là dell’eventuale vita di fede e dell’appartenenza religiosa. Un discorso che sarà bene tornare a leggere, di tanto in tanto, specie nei momenti in cui noi professionisti della comunicazione subiamo la tentazione di cedere alle logiche del potere e di prendere scorciatoie morali che ci allontanano dalla ricerca della verità e dal rispetto di noi stessi e degli altri.
Aldo Maria Valli
in www.farodiroma.it 28 settembre 2016