Dialogo con i protestanti. Da Bergoglio a Francesco. Il come, il quando e il perché di un cambiamento radicale
Si avvicina la visita di Francesco a Lund, in Svezia, per la «commemorazione» dei cinquecento anni della riforma luterana, e i rapporti del papa con la galassia protestante appaiono ottimi. Dopo essere stato, l’anno scorso, nella chiesa luterana di Roma e dopo aver detto (nel viaggio di ritorno dall’Armenia) che Lutero fu una «medicina» per la Chiesa cattolica, di recente il papa ha addirittura ricevuto in Vaticano un gruppo di pellegrini luterani, con tanto di statua di Martin Lutero sul palco.
A conferma del clima di grande amicizia, in vista dell’appuntamento svedese il cardinale presidente del Pontificio consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani e il reverendo segretario generale della Federazione luterana mondiale hanno scritto insieme un articolo — diffuso sul sito della Lutheran World Federation e ripreso dall’«Osservatore romano» — che sottolinea i passi avanti compiuti in quasi cinquant’anni di dialogo internazionale tra le due comunità.
Anche il pastore valdese Paolo Ricca, ottant’anni, esponente storico del dialogo ecumenico, a più riprese ha giudicato «un grande passo» il viaggio di Francesco in Svezia, perché vuol dire, ha spiegato, che il papa considera la Riforma «un evento positivo nella storia della Chiesa», qualcosa «che ha fatto bene anche al cattolicesimo».
È da notare che il teologo Ricca ha maturato questo giudizio positivo su Francesco in tempi recenti, perché fino a poco più di due anni fa la pensava in modo radicalmente diverso. Perché diverse erano anche le valutazioni espresse da Bergoglio.
Era il giugno del 2014 quando, in un articolo pubblicato da «Riforma», il pastore Ricca, a proposito di alcuni giudizi di Jorge Mario Bergoglio sul movimento protestante e in particolare sul calvinismo, parlava di «sorpresa e delusione» per valutazioni «che purtroppo riproducono i più logori e grossolani clichés polemici usati dalla Controriforma in tempi lontani per diffamare il protestantesimo».
I giudizi ai quali si riferisce Ricca nell’articolo sono quelli espressi da Bergoglio molto prima di diventare papa, nel 1985, in Argentina, in una conferenza intitolata «Chi sono i gesuiti» e pubblicata in italiano nel maggio 2014 insieme ad altri due saggi, con l’introduzione del padre Antonio Spadaro, direttore della rivista dei gesuiti «La civiltà cattolica».
Il tono di Ricca, nell’articolo, è a dir poco scandalizzato. Scrive infatti: «Sentite quello che il papa, quand’era ancora arcivescovo, diceva (speriamo che ora non lo dica né lo pensi più) di Calvino, che, secondo lui, è molto peggiore di Lutero. Lutero era eretico, e l’eresia è “un’idea buona impazzita”. Ma Calvino, oltre che eretico, è stato anche scismatico, e lo è stato in tre diverse aree: l’uomo, la società, la Chiesa. Nell’uomo, Calvino provoca addirittura due scismi. Il primo è quello “tra la ragione e il cuore”, da cui nasce “lo squallore calvinista”. Il secondo avviene all’interno della stessa ragione, “tra la conoscenza positiva e la conoscenza speculativa”, con danni irreparabili a “tutta la tradizione umanistica”. Nella società, Calvino provoca lo scisma tra le classi borghesi, che egli privilegia “come apportatrici di salvezza”, e le corporazioni dei mestieri che rappresentano “la nobiltà del lavoro”. Calvino sarebbe promotore di “un’internazionale della borghesia” e, come tale, “il vero padre del liberalismo”. Nella Chiesa, infine, Calvino provoca lo scisma peggiore: “la comunità ecclesiale viene ridotta a una classe sociale”, quella borghese, e “Calvino decapita il popolo di Dio dell’unità con il Padre. Decapita tutte le confraternite dei mestieri privandole dei santi. E, sopprimendo la messa, priva il popolo della mediazione in Cristo realmente presente”. Insomma: Calvino è un vero boia spirituale, che decapita tutto quello che può!».
«Stento a credere – commenta Ricca – che l’attuale pontefice pensi di Calvino e della Riforma queste cose, che non stanno né in cielo né in terra e che nessuno storico cattolico, almeno tra quelli che conosco e leggo, dice più da molto tempo. E dato che i gesuiti, quando nacquero, si diedero come compito, oltre alla missione tra i pagani, anche quello di combattere con ogni mezzo il protestantesimo, come effettivamente è avvenuto, allora, se il protestantesimo che hanno combattuto è quello “affrescato” da Bergoglio, devono sapere che hanno combattuto un protestantesimo fantasma, mai esistito, un puro idolo polemico creato solo dalla loro fantasia, che poco o nulla aveva a che fare con la famosa “realtà”, che pure volevano assumere come “pilastro” del loro “modo di procedere”».
Poi, a rincarare la dose, Ricca aggiunge: «Ma non è tutto. Sentite quello che Bergoglio diceva (speriamo che ora non lo dica né lo pensi più) delle conseguenze della Riforma. Secondo lui “a partire dalla posizione luterana, se siamo coerenti, restano solo due possibilità fra cui scegliere nel corso della storia: o l’uomo si dissolve nella sua angoscia e non è niente (ed è la conseguenza dell’esistenzialismo ateo), o l’uomo, basandosi su quella medesima angoscia e corruzione, fa un salto nel vuoto e si auto-decreta superuomo (è l’opzione di Nietzsche)… Un simile potere [quello vagheggiato da Nietzsche], come ultima ratio, implica la morte di Dio. Si tratta di un paganesimo che, nei casi del nazismo e del marxismo, acquisterà forme organizzate”. Tutto questo “a partire dalla posizione luterana”, che evidentemente, secondo queste pagine di Bergoglio, è la causa prima, anche se remota, delle cose peggiori accadute in Occidente, compresa la secolarizzazione, la “morte di Dio” e i vari totalitarismi che hanno infestato la storia moderna dell’Europa. Insomma, è la vecchia tesi della Controriforma: la Riforma protestante vista come sorgente di tutti i mali, o meglio di tutti quelli che la chiesa di Roma considera “mali”».
«Mi chiedo come sia possibile – conclude Ricca – avere oggi ancora (o anche trent’anni fa) una visione così deformata, distorta, travisata e sostanzialmente falsa della Riforma protestante. È una visione con la quale non solo non si può iniziare un dialogo, ma neppure una polemica: non ne vale la pena, perché è troppo lontana e difforme dalla realtà. Una cosa è certa: a partire da una visione del genere, una celebrazione ecumenica del cinquecentesimo anniversario della Riforma, nel 2017, appare letteralmente impossibile».
Da «impossibile» che era, la «celebrazione», lo abbiamo visto, è invece diventata possibile, ed anzi è stata enfatizzata da entrambe le parti. E, se ciò è avvenuto, è grazie alle valutazioni espresse da papa Francesco, molto diverse da quelle del padre Jorge Mario Bergoglio.
La storia a volte riserva sorprese. Le valutazioni dell’allora rettore del Collegio San Giuseppe, in linea con la lettura che i gesuiti hanno sempre fatto del fenomeno protestante, sono le stesse ribadite oggi proprio da quei settori della Chiesa cattolica che imputano a papa Francesco di essere sceso troppo facilmente a patti con i protestanti.
È pur vero che dal 1985 a oggi sono passati più di trent’anni e che le persone possono cambiare idea, però la divaricazione fra i giudizi dell’allora padre Bergoglio e dell’attuale papa Francesco è impressionante. Da che cosa è stata determinata?
Solo Francesco potrebbe rispondere. Qualche indizio lo possiamo però cogliere da una testimonianza. Bisogna tornare al luglio del 2014 e alla visita privata, e fortemente voluta, che Francesco fece a Caserta al suo amico Giovanni Traettino, pastore evangelico.
In quell’occasione, oltre a chiedere perdono agli evangelici per le leggi razziali emanate durante il fascismo (disse il papa: «Tra quelli che hanno perseguitato e denunciato i pentecostali, quasi come fossero dei pazzi che rovinavano la razza, c’erano anche dei cattolici: io sono il pastore dei cattolici e vi chiedo perdono per quei fratelli e sorelle cattolici che non hanno capito e sono stati tentati dal diavolo»), Francesco parlò dell’ecumenismo come di un «cammino» da compiere «alla presenza di Gesù», e aggiunse: «Cristiani fermi: questo fa male, perché ciò che è fermo, che non cammina, si corrompe. Come l’acqua ferma, che è la prima acqua a corrompersi, l’acqua che non scorre».
Quando si riferisce ai «cristiani fermi» Francesco pensa forse anche a com’era lui stesso un tempo? Non lo sappiamo. Sappiamo però che l’amicizia fraterna con Traettino incomincia a Buenos Aires, e su quegli incontri abbiamo una testimonianza interessante. È quella del pastore Jorge Himitian, colui che ha favorito l’amicizia fra il papa e Traettino e che come data d’inizio del cammino di Bergoglio con gli evangelici indica un anno e una circostanza precisi.
L’anno è il 2006, quando i protestanti organizzarono un grande incontro allo stadio Luna Park della capitale argentina, al quale parteciparono circa settemila persone e durò dieci ore. Fu invitato anche l’arcivescovo Bergoglio, che accettò e alla fine chiese agli evangelici di pregare per lui. Da quel momento, ricorda Himitian, gli incontri avvennero con cadenza regolare, nell’arcivescovado o nella chiesa evangelica, e fu così che nacque una grande amicizia, sulla base di un’idea che a poco a poco si è fatta strada nel cuore del futuro papa: mentre la dottrina divide, il rapporto umano unisce, e l’importante è dunque frequentarsi e conoscersi.
«Questo è un uomo che prega come un predicatore», ha detto il pastore Himitian, riferendosi a Bergoglio, dopo l’incontro del papa con il pastore Traettino a Caserta. «Tra cinque, dieci anni, considereremo quello di oggi un incontro storico».
Ora la domanda è: la formula cara a Francesco, secondo cui la dottrina divide e il rapporto umano unisce, rischia forse di sfociare nel sincretismo o, per lo meno, in un dialogo superficiale, solo sentimentale e privo di contenuti concreti?
A Caserta, durante la visita agli evangelici, il papa sembra aver risposto a questa obiezione quando, parlando a braccio, ha spiegato che l’obiettivo non deve essere l’uniformità ma l’unità nella diversità, alla luce dello Spirito Santo, ed ha contrapposto la figura geometrica della sfera, dove tutti i punti sono alla stessa distanza dal centro, a quella del poliedro, che è «una unità, ma con tutte le parti diverse», e «ognuna ha la sua peculiarità, il suo carisma». Ecco, «questa è l’unità nella diversità. È in questa strada che noi cristiani facciamo ciò che chiamiamo col nome teologico di ecumenismo: cerchiamo di far sì che questa diversità sia più armonizzata dallo Spirito Santo e diventi unità; cerchiamo di camminare alla presenza di Dio per essere irreprensibili; cerchiamo di andare a trovare il nutrimento di cui abbiamo bisogno per trovare il fratello. Questo è il nostro cammino, questa è la nostra bellezza cristiana!».
Dal viaggio in Svezia, forse, ci arriveranno altre risposte su ciò che Francesco intende per «unità nella diversità» e altri indizi per capire meglio come, quando e perché, nel dialogo con i protestanti, siamo passati dalle valutazioni di Jorge Mario Bergoglio a quelle di Francesco.
Aldo Maria Valli