L’altro giorno ho fatto il presepio. Il primo. Già, perché in casa nostra ne facciamo due. Uno secondo la tradizione della mia famiglia d’origine, uno secondo la tradizione della famiglia di mia moglie, Serena detta Santa Subito. Il mio presepe è quello classico: statuine alte pochi centimetri, il muschio a fare da tappeto erboso, la carta crespa sullo sfondo, la capanna, la carta stagnola per fare il fiumiciattolo e il laghetto, un ponticello, le pecore, i pastori, il pollaio, la legnaia, l’uomo che mescola la polenta, la cascatella presa a Napoli a San Gregorio Armeno con il mio amico Francesco, il ponticello, il carretto del contadino, il covone di paglia, l’angioletto che suona la tromba, il bambino che gioca a palla, le oche che starnazzano accanto al laghetto, il pozzo, il fuoco per scaldare i pastori, la stella cometa che spunta sopra la capanna, pezzi di corteccia per dare un effetto «montagna»… Beh sì, in effetti è un presepio piuttosto «carico», diciamo così. E ogni anno mi piace aggiungere qualcosa. Basta anche un gallina, o un coniglio. Poi, quando piazzo i personaggi nel presepio, parlo con loro: «Tu sei stato preso in piazza Navona, ti ricordi?», «Tu in quella botteguccia di Bressanone». Il presepe è una gioia, ma la gioia più grande, mentre lo si mette insieme, è immaginare lo sguardo dei bambini, quando entreranno nella stanza buia e vedranno le lucine, e poi, dapprima tremebondi poi sempre più spediti, si avvicineranno e sgraneranno gli occhi, e poi guarderanno il nonno, e poi ancora il presepio, e poi ancora il nonno, e poi finalmente si lasceranno andare a un sorriso e capiranno che lì c’è qualcosa di veramente speciale e che il nonno ha realizzato quella magia proprio per loro, ma anche per lui stesso, per Santa Subito e per i loro ragazzi, che sono ormai cresciuti ma non smettono mai di stupirsi.
I nipotini in famiglia, al momento, sono due: Giacomo che ha quasi due anni e Jolanda che ha poco più di un anno. E il nonno Aldo quest’anno si è particolarmente impegnato nella realizzazione dell’apparato luminoso. Ogni finestrella di ogni casetta ha la sua luce. E naturalmente ce l’ha anche la capanna, in modo che la mangiatoia sia illuminata ma non troppo, così come i volti di Maria, giovanissima, e Giuseppe, e così come il bue e l’asino, che stanno lì a svolgere la loro funzione di termosifoni viventi con assoluta dedizione. Un presepe deve avere le luci. Un presepe è luce.
E poi c’è l’altro presepe, quello fatto come lo faceva il nonno Barba, il papà di Serena. Un’installazione molto più complessa, comprendente un albero di Natale – rigorosamente vero, non di plastica – alto fino al soffitto e posto sopra un tavolino, in modo tale che la parte sottostante al tavolino, debitamente addobbata con carta da pacco che simula la roccia, possa essere adibita a capanna. Capirete che qui siamo a livelli di ingegneria domestica piuttosto elevati, e infatti alla costruzione di questo presepe che è anche albero, o se preferite di questo albero che è anche presepe, partecipa la famiglia intera, ognuno secondo le proprie competenze.
Siccome Santa Subito e il sottoscritto si sono sposati nel 1984 e ogni anno, da allora, abbiamo realizzato il nostro presepe-albero, o albero-presepe, fate un po’ il conto. Verso Natale, ogni volta, si va sul terrazzo di sotto, si recupera l’albero (ogni anno sempre più grande e ingombrante, giorni fa l’abbiamo dovuto pure mettere in un nuovo vaso) e poi via con il lavoro. Che un tempo era svolto da noi genitori, di nascosto, in ore notturne, perché la tradizione voleva che questo albero-presepe arrivasse una bella mattina, poco prima del Natale, come una sorpresa portata personalmente da Gesù Bambino (certamente aiutato da qualche angelo), e poi invece, quando i bambini sono diventati ragazzi, e alcuni dei ragazzi si sono fatti adulti, al lavoro si sono messi prevalentemente loro, e io mi sono sempre più dedicato a un’opera, diciamo così, di coordinamento, mentre Santa Subito, a essere sinceri, ha continuato a lavorare sodo, perché alla fin fine la depositaria dei segreti di questo complesso manufatto è lei, è lei che ha ricevuto l’insegnamento direttamente dal suo papà, il Barba, così come il Barba l’aveva ricevuto dalla sua mamma, la Bonne Maman, e dunque la «mano» di Serena è assolutamente indispensabile, e poi come manipola la carta lei non la manipola nessuno, e come depone la paglia, e come posiziona i personaggi (che il Barba e sua moglie, la nonna Neo, acquistarono in Terra Santa, e sono in legno d’ulivo), e come piazza la scritta «Gloria in excelsis Deo», beh, insomma, come lei non c’è nessuno.
Devo dire che io per un bel po’ di anni, tutto preso dalla costruzione del presepio secondo la tradizione di Santa Subito, ho sospeso la realizzazione del mio. Il lavoro era veramente troppo e mancava il tempo. Poi, man mano che i figli sono cresciuti e si sono trasformati in efficiente forza-lavoro, ho ritrovato il coraggio, sono sceso in cantina, ho recuperato le statuine, le casette e tutto il resto, e insomma adesso abbiamo due presepi.
Che poi il mio è itinerante, nel senso che ogni anno lo faccio in un posto diverso. Mentre infatti il gigantesco presepe-albero, o albero-presepe, va collocato necessariamente in un certo posto, un certo angolo del salotto dove, come una macchina teatrale seicentesca, può essere ammirato senza tuttavia intralciare la vita di una famiglia numerosa, il mio, più umile, ogni anno trova spazio dove c’è, dove è possibile. E quest’anno ho deciso di piazzarlo in camera da letto. Strana scelta, direte voi. Ma come potevo fare? Avevo pensato anche al terrazzo, ma i gatti (Brivido Cosmico e Foxy) l’avrebbero certamente trasformato in una cuccia, e quindi… In una famiglia di sei persone, che sotto Natale ospiterà una figlia con relativo marito e relativo bambino e un figlio con relativa moglie e relativa bambina (e senza contare tutti gli altri ospiti vari ed eventuali, perché le famiglie numerose, non contente di essere tali, attirano ospiti come un favo di miele attira gli orsi), due presepi nello stesso salotto erano improponibili. Per farmelo capire, Santa Subito non ha dovuto neppure aprire bocca. È bastato uno di quei suoi sguardi.
Ma avere il presepe in camera da letto, in fondo, è fantastico. C’è chi ha la televisione, noi abbiamo la sacra famiglia con tutto l’ambaradan attorno. E stiamo lì in ammirazione. E poi, mentre leggiamo i nostri libri e le palpebre piano piano scendono, ogni tanto diamo una sbirciatina al presepe, ancora una, l’ultima prima di addormentarci. E io, fra uno sbadiglio e l’altro, dico: «Beh, quest’anno mi è riuscito proprio bene! Guarda le galline, sembrano vere». E Santa Subito: «Sì, sei strato bravo. Però ecco, la capanna, se posso dire, forse, uhm, non è proprio ben illuminata. E poi, sempre se posso, ecco, là, dalla parte del pollaio, vedo come un vuoto. Perché non ci metti un lampioncino? E poi magari, nell’angolo a destra, che ne diresti di un rametto? Sì, un bel rametto di pungitopo, è quello che ci vuole. Sempre se posso, eh, naturalmente. E poi, ecco…».
E io: «Zzzzz!».
Sì, due presepi is meglio che uan!
Aldo Maria Valli