Omosessualità. Ecco che cosa dice la Chiesa
Chiesa e omosessualità. Di tanto in tanto l’argomento torna alla ribalta, per lo più in forma scandalistica. È possibile invece fare il punto della situazione sulla base degli insegnamenti e del magistero della Chiesa?
Vediamo.
«Se una persona è gay…»
Tutti ricordiamo la celebre frase pronunciata da Francesco il 28 luglio 2013, nella conferenza stampa durante il volo di ritorno dal Brasile: «Se una persona è gay e cerca il Signore e ha buona volontà, ma chi sono io per giudicarla? Il Catechismo della Chiesa cattolica spiega in modo tanto bello questo, ma dice – aspetta un po’, come si dice… – e dice: non si devono emarginare queste persone per questo, devono essere integrate in società».
La frase del papa è notissima e ha provocato infinite discussioni, specie perché sembra mettere in discussione, o quanto meno indebolire, il compito, che appartiene al papa, di giudicare la realtà e i comportamenti umani.
Tralasciando questo problema (chi scrive l’ha affrontato più e più volte) e concentrandoci sulla questione dell’omosessualità, è interessante notare che Francesco fa subito riferimento al «Catechismo della Chiesa cattolica».
La voce del «Catechismo»
Il capitolo del «Catechismo» che ci interessa è quello intitolato «Castità e omosessualità». Siamo nella parte dedicata ai dieci comandamenti e, in particolare, al sesto.
Leggiamo: «L’omosessualità designa le relazioni tra uomini o donne che provano un’attrattiva sessuale, esclusiva o predominante, verso persone del medesimo sesso. Si manifesta in forme molto varie lungo i secoli e nelle differenti culture. La sua genesi psichica rimane in gran parte inspiegabile. Appoggiandosi sulla Sacra Scrittura, che presenta le relazioni omosessuali come gravi depravazioni, la Tradizione ha sempre dichiarato che “gli atti di omosessualità sono intrinsecamente disordinati”. Sono contrari alla legge naturale. Precludono all’atto sessuale il dono della vita. Non sono il frutto di una vera complementarità affettiva e sessuale. In nessun caso possono essere approvati» (n. 2357).
«Un numero non trascurabile di uomini e di donne presenta tendenze omosessuali profondamente radicate. Questa inclinazione, oggettivamente disordinata, costituisce per la maggior parte di loro una prova. Perciò devono essere accolti con rispetto, compassione, delicatezza. A loro riguardo si eviterà ogni marchio di ingiusta discriminazione. Tali persone sono chiamate a realizzare la volontà di Dio nella loro vita, e, se sono cristiane, a unire al sacrificio della croce del Signore le difficoltà che possono incontrare in conseguenza della loro condizione» (n. 2358).
«Le persone omosessuali sono chiamate alla castità. Attraverso le virtù della padronanza di sé, educatrici della libertà interiore, mediante il sostegno, talvolta, di un’amicizia disinteressata, con la preghiera e la grazia sacramentale, possono e devono, gradatamente e risolutamente, avvicinarsi alla perfezione cristiana» (n. 2359).
Queste parole del «Catechismo», lo vedremo tra breve, fanno tuttora da base a tutti gli insegnamenti ufficiali della Chiesa in materia, sia che si affronti il problema della formazione dei preti, sia che si parli più in generale delle persone omosessuali in rapporto alla comunità cristiana.
La formazione dei preti
Alla formazione dei futuri preti il papa ha dedicato di recente un significativo intervento e, quasi contemporaneamente, la Congregazione per il clero ha pubblicato un documento in materia. Mentre nel suo discorso il papa non entra, almeno in forma esplicita, nella questione dell’omosessualità, il documento la affronta apertamente. In ogni caso, prima di procedere, è bene ascoltare le parole di Francesco perché ci fanno capire come vede il sacerdote.
È il 10 dicembre 2016. Francesco riceve i seminaristi del Pontificio seminario regionale pugliese Pio XI e rivolge a loro un discorso a braccio nel quale, con il suo stile tutt’altro che accademico, traccia un vero e proprio identikit dei sacerdoti di oggi, i quali, dice, devono essere poveri, perché «se un sacerdote ha paura della povertà allora la sua vocazione è in pericolo»; mai protagonisti di scandali, perché «la stampa compra bene quelle notizie»; vicini alla gente, perché il sacerdote che dice la messa e poi se ne va «fa male alla Chiesa»; zelanti, cioè pronti «ad andare in qualsiasi ora della notte da un malato per amministrare i sacramenti», e infine sinceri con i propri vescovi, evitando le «chiacchiere».
«In un seminario che forma i sacerdoti – aggiunge Francesco – alle volte ci sono problemi e sbagli. Siamo abituati a sentire gli scandali dei sacerdoti. La stampa compra bene quelle notizie. Hanno la quota alta nella borsa dei media». Un motivo in più per ribadire che occorre «formare un sacerdote perché nella sua vita non ci sia un fallimento, perché non crolli», ma bisogna anche fare in modo che «la sua vita sia feconda», quindi «non solo che rispetti bene tutte le regole, ma che dia vita agli altri». Perché «un sacerdote che non è padre non serve». Lo dimostrano tanti parroci italiani, e «ce ne sono tanti bravi». Parlando in particolare della «vicinanza», Francesco riconosce che è una gran fatica e ci vuole pazienza, perché «il santo popolo di Dio, diciamoci la verità, stanca. Ma che cosa bella trovare un sacerdote che finisce la giornata stanco e non ha bisogno della pastiglie per andare a dormire. Che bello questa vita al totale servizio degli altri!».
La preghiera davanti al tabernacolo è un pilastro fondamentale. E gli altri? «Vita comunitaria, studio e vita apostolica».
Come valutare e scegliere i candidati al sacerdozio
Due giorni prima del discorso di Francesco, l’8 dicembre 2016, solennità dell’Immacolata Concezione della Beata Vergine Maria, la Congregazione per il clero diffonde un documento, «Ratio fundamentalis institutionis sacerdotalis», uscito in allegato con «L’Osservatore Romano» , che aggiorna le regole del 1970, già aggiornate una prima volta nel 1985, e spiega come deve essere realizzata la formazione dei seminaristi.
Il punto centrale ci sembra l’importanza attribuita alla maturazione integrale della persona. Per essere una bravo prete non basta superare tutti gli esami nelle materie canoniche: occorre arrivare a una maturazione umana, spirituale e pastorale.
Nel capitolo dedicato alla «formazione umana» si ricorda che il futuro prete nel cammino formativo va accompagnato in tutte le sue dimensioni, senza dimenticare la cura della «salute, l’alimentazione, l’attività motoria, il riposo».
Leggiamo ancora: «È necessario coltivare l’umiltà, il coraggio, il senso pratico, la magnanimità di cuore, la rettitudine nel giudizio e la discrezione, la tolleranza e la trasparenza, l’amore alla verità e l’onestà».
Di fondamentale importanza è che il seminarista raggiunga una «equilibrata autostima, che lo conduca ad avere consapevolezza delle proprie doti, per imparare a metterle al servizio del Popolo di Dio».
Il futuro prete deve avere anche buon gusto sotto il profilo estetico e capacità di relazione: «Nella formazione umana occorre curare l’ambito estetico, offrendo un’istruzione che permetta di conoscere le diverse manifestazioni artistiche, educando al “senso del bello”, e l’ambito sociale, aiutando il soggetto a migliorare nella propria capacità relazionale, così che possa contribuire all’edificazione della comunità in cui vive».
Un buon prete deve essere capace di ascoltare: «Per attuare il discernimento pastorale occorre mettere al centro lo stile evangelico dell’ascolto, che libera il pastore dalla tentazione dell’astrattezza, del protagonismo, dell’eccessiva sicurezza di sé e di quella freddezza che lo renderebbe “un ragioniere dello spirito” invece che “un buon samaritano”».
Il prete, avverte poi il documento, non deve essere un uomo «del fare»: «Il pastore impara a uscire dalle proprie certezze precostituite e non penserà al proprio ministero come a una serie di cose da fare o di norme da applicare, ma farà della propria vita il “luogo” di un accogliente ascolto di Dio e dei fratelli».
Rinnovare la formazione
«Ci è sembrato che la formazione dei sacerdoti avesse bisogno di essere rilanciata, rinnovata e rimessa al centro», ha spiegato all’«Osservatore Romano» (7 dicembre 2016) il cardinale prefetto del dicastero, Beniamino Stella. «Siamo stati incoraggiati e illuminati dal magistero di Papa Francesco, con la spiritualità e la profezia che contraddistinguono la sua parola. Il Pontefice si è rivolto spesso ai sacerdoti, ricordando loro che il prete non è un funzionario, ma un pastore unto per il popolo di Dio, che ha il cuore compassionevole e misericordioso di Cristo per le folle affaticate e stanche».
Spiega ancora il cardinale Stella: «L’ultima “Ratio fundamentalis” risale al 1970, anche se nel 1985 c’è stato un aggiornamento. Nel frattempo, come sappiamo, soprattutto sotto l’effetto della rapida evoluzione a cui il mondo è oggigiorno soggetto, sono mutati i contesti storici, socio-culturali ed ecclesiali nei quali il sacerdote è chiamato a incarnare la missione di Cristo e della Chiesa, non senza provocare significativi cambiamenti relativi ad altri aspetti: l’immagine o visione del prete, i bisogni spirituali del popolo di Dio, le sfide della nuova evangelizzazione, i linguaggi della comunicazione, e altro ancora. Ci è sembrato che la formazione dei sacerdoti avesse bisogno di essere rilanciata, rinnovata e rimessa al centro; siamo stati incoraggiati e illuminati dal magistero di Papa Francesco, con la spiritualità e la profezia che contraddistinguono la sua parola. Il Pontefice si è rivolto spesso ai sacerdoti, ricordando loro che il prete non è un funzionario, ma un pastore unto per il popolo di Dio, che ha il cuore compassionevole e misericordioso di Cristo per le folle affaticate e stanche. Le parole e gli ammonimenti del Papa, alcuni dei quali riguardanti le tentazioni legate al denaro, all’esercizio autoritario del potere, alla rigidità legalista o alla vanagloria, ci mostrano come la cura dei sacerdoti e della loro formazione sia un aspetto fondamentale nell’azione ecclesiale di questo pontificato e debba diventarlo sempre di più per ogni vescovo e ogni Chiesa locale».
Le persone con tendenze omosessuali
Nel documento della Congregazione per il clero troviamo una sezione, dedicata alle persone «con tendenze omosessuali»., nella quale si legge: «In relazione alle persone con tendenze omosessuali che si accostano ai seminari, o che scoprono nel corso della formazione tale situazione, in coerenza con il proprio magistero, la Chiesa, pur rispettando profondamente le persone in questione, non può ammettere al seminario e agli ordini sacri coloro che praticano l’omosessualità, presentano tendenze omosessuali profondamente radicate o sostengono la cosiddetta cultura gay. Le suddette persone si trovano, infatti, una situazione che ostacola gravemente un corretto relazionarsi con uomini e donne. Non sono affatto da trascurare le conseguenze negative che possono derivare dall’ordinazione di persone con tendenze omosessuali profondamente radicate» (n. 199).
Prosegue il documento: «Qualora si trattasse di tendenze omosessuali che fossero solo l’espressione di un problema transitorio, come, ad esempio, quello di un’adolescenza non ancora compiuta, esse devono comunque essere chiaramente superate almeno tre anni prima dell’ordinazione diaconale. Peraltro, occorre ricordare che, in un rapporto di dialogo sincero e di reciproca fiducia, il seminarista è tenuto a manifestare ai formatori – al vescovo, al rettore, al direttore spirituale e agli altri educatori – eventuali dubbi o difficoltà in questo ambito». «In tale contesto, se un candidato pratica l’omosessualità o presenta tendenze omosessuali profondamente radicate, il suo direttore spirituale, così come il suo confessore, hanno il dovere di dissuaderlo, in coscienza dal procedere verso l’ordinazione. In ogni caso, sarebbe gravemente disonesto che un candidato occultasse la propria omosessualità per accedere, nonostante tutto, all’ordinazione. Un atteggiamento così inautentico non corrisponde allo spirito di verità, di lealtà e di disponibilità che deve caratterizzare la personalità di colui che ritiene di essere chiamato a servire Cristo e la sua Chiesa nel ministero sacerdotale» (n. 200).
«In sintesi, occorre ricordare e, al contempo, non occultare ai seminaristi che il solo desiderio di diventare sacerdote non è sufficiente e non esiste un diritto a ricevere la sacra ordinazione. Compete alla Chiesa discernere l’idoneità di colui che desidera entrare del seminario, accompagnarlo durante gli ani della formazione e chiamarlo agli ordini sacri, se sia giudicato in possesso delle qualità richieste» (n. 201).
L’Istruzione del 2005
Per quanto riguarda i candidati al sacerdozio e l’omosessualità, il documento cita alla lettera l’«Istruzione circa i criteri di discernimento vocazionale riguardo alle persone con tendenze omosessuali in vista della loro ammissione al seminario e agli ordini sacri» (testo del 2005 firmato dall’allora prefetto della Congregazione per l’educazione cattolica, cardinale Zenon Grocholewski) nella quale c’è un rimando esplicito a quanto spiega il «Catechismo della Chiesa cattolica».
Si legge infatti nell’«Istruzione»: «Dal Concilio Vaticano II ad oggi, diversi documenti del Magistero – e specialmente il “Catechismo della Chiesa cattolica” – hanno confermato l’insegnamento della Chiesa sull’omosessualità. Il “Catechismo” distingue fra gli atti omosessuali e le tendenze omosessuali».
«Riguardo agli atti, insegna che, nella Sacra Scrittura, essi vengono presentati come peccati gravi. La Tradizione li ha costantemente considerati come intrinsecamente immorali e contrari alla legge naturale. Essi, di conseguenza, non possono essere approvati in nessun caso».
«Per quanto concerne le tendenze omosessuali profondamente radicate, che si riscontrano in un certo numero di uomini e donne, sono anch’esse oggettivamente disordinate e sovente costituiscono, anche per loro, una prova. Tali persone devono essere accolte con rispetto e delicatezza; a loro riguardo si eviterà ogni marchio di ingiusta discriminazione. Esse sono chiamate a realizzare la volontà di Dio nella loro vita e a unire al sacrificio della croce del Signore le difficoltà che possono incontrare».
Come si vede, pur avendo avvertito la necessità di aggiornare il suo insegnamento in materia, la Chiesa riafferma sostanzialmente quanto sostiene nel «Catechismo».
Opinioni errate o ambigue
Nel 2005, subito dopo l’uscita dell’«Istruzione», la rivista «30 Giorni» (n. 11) intervista il cardinale Zenon Grocholewski e il porporato polacco, nel corso del colloquio, fornisce dettagliate spiegazioni sull’origine del documento e lo status quaestionis dal punto di vista della Chiesa.
«Negli ultimi anni – spiega Grocholewski all’intervistatore, Gianni Cardinale – si sono diffuse opinioni errate o ambigue secondo le quali l’omosessualità sarebbe una tendenza naturale, iscritta nella natura umana accanto alla tendenza eterosessuale. Si è affermato che considerare l’omosessualità un disordine sarebbe una discriminazione e che atti omosessuali sarebbero giustificabili. Non solo. Le persone avrebbero un diritto a compiere questi atti. La diffusione di queste idee ha già provocato ripetuti interventi della Congregazione per la dottrina della fede. Si tratta infatti di opinioni che non trovano alcuna giustificazione nella dottrina della Chiesa: sono contrarie alla legge naturale, sono contrarie all’insegnamento della Sacra Scrittura e alla costante Tradizione della Chiesa. E visto che queste opinioni sono in qualche modo penetrate anche in alcuni ambienti ecclesiastici, la nostra Congregazione è stata invitata a intervenire da molti vescovi, da molti superiori di seminari e dalla stessa Congregazione per la dottrina della fede».
Ma questo intervento, chiede l’intervistatore, è stato determinato solo dalla diffusione di opinioni erronee o anche perché nei seminari il fenomeno dell’omosessualità ha assunto dimensioni rilevanti?
«Sarebbe ingiusto – risponde Grocholewski – dire che si tratta di un problema rilevante a livello della Chiesa universale. Si può dire però che in alcune aree geografiche il problema è più preoccupante».
Dopo aver spiegato che l’«Istruzione» è precedente all’esplosione dei casi di pedofilia fra i sacerdoti negli Stati Uniti, il porporato risponde anche all’obiezione avanzata dall’ex maestro generale dei domenicani, padre Timothy Radcliffe, secondo il quale Dio chiama anche gli omosessuali al sacerdozio e anzi questi sacerdoti spesso si segnalano per il loro impegno e il loro zelo.
«Sappiamo – dice Grocholewski – che ogni vocazione sacerdotale è una chiamata del Signore, ma questa chiamata avviene tramite la Chiesa, nella Chiesa e per la Chiesa. Per questo la Chiesa ha il diritto, anzi il dovere di determinare i requisiti necessari per essere ammessi al sacerdozio. Non si può negare che anche alcuni con tendenze omosessuali possono esercitare il sacerdozio in maniera esemplare. L’oggetto del nostro documento tuttavia è il fatto che non è opportuno chiamare al sacerdozio queste persone. Capisco che si tratti di una decisione grave, ma non è stata presa alla leggera […] Alla fine si è deciso, appunto, che non è opportuno ammettere al sacerdozio chi pratica l’omosessualità, chi ha tendenze radicate all’omosessualità e chi promuove la cosiddetta cultura gay. Riteniamo per motivi pratici, di esperienza, e fondati sulla dottrina della Chiesa che non sia opportuno ammettere queste persone al sacerdozio, a causa di difficoltà che possono nascere; e l’esperienza ci ha insegnato che nascono!»
Tendenze radicate profondamente
Nell’intervista viene affrontata anche la distinzione, non da tutti accettata, fra tendenze radicate e tendenze non radicate profondamente. Qual è il significato dell’espressione «tendenze profondamente radicate»? Quale può essere il caso di una tendenza omosessuale «non profondamente radicata»?
Ed ecco la risposta: «Non esiste uno strumento scientifico per misurare quanto profondamente sia radicata una tendenza. Il nostro documento comunque aiuta a discernere se si tratta di una tendenza profondamente radicata, ossia permanente e generata da un bisogno interno, o se si tratta di una tendenza transitoria causata da condizioni esterne. Come esempio di tendenza transitoria il nostro documento enumera il caso di un’adolescenza non compiuta. Ma ci possono essere anche altri casi. Ad esempio il caso di chi ha compiuto atti omosessuali in uno stato di ubriachezza, o di chi lo ha fatto a seguito di determinate circostanze, come l’aver vissuto per molti anni in un carcere. O di chi lo ha fatto per accondiscendenza verso un superiore o per guadagnare soldi. In questi casi comunque, per prudenza, per verificare che si tratti di una tendenza effettivamente transitoria, è bene che sia passato un tempo congruo, che il documento stabilisce in tre anni, prima che si proceda all’ordinazione diaconale».
L’Istruzione riguarda i seminari. E per quanto riguarda i sacerdoti già ordinati con tendenze omosessuali?
«Evidentemente, queste ordinazioni sono valide: non si può affermare la loro invalidità. Anche quando una persona scopre la propria omosessualità dopo l’ordinazione sacerdotale, deve ovviamente realizzare il proprio sacerdozio, deve cercare di vivere in castità, essere fedele all’impegno preso e alla dottrina della Chiesa, come tutti gli altri sacerdoti. Forse avrà bisogno di maggiore aiuto spirituale di altri».
L’Istruzione è stata inviata con una lettera di accompagnamento, in cui si ricorda – appunto – che non è in discussione la validità delle ordinazioni già avvenute di candidati con forti tendenze omosessuali. Ma si invita a non far lavorare queste persone nei seminari…
«Anche in questo caso si tratta di un problema di opportunità. In seminario si trovano ragazzi, giovani. Quindi si tratta per un omosessuale di un ambiente, per così dire, molto provocatorio. Senza contare che una eventuale leggerezza da parte di uno di loro avrebbe un impatto molto profondo nella vita di un seminarista. Per la Chiesa uno dei problemi fondamentali è la formazione dei sacerdoti: di buoni sacerdoti che siano di aiuto anche all’apostolato dei laici. Per questo dobbiamo avere molta cura per ciò che avviene nei seminari. Questo è il motivo per cui abbiamo invitato i vescovi a evitare che nei seminari ci siano rettori ed educatori omosessuali».
Infine: perché nell’«Istruzione» non si fa cenno all’uso della psicologia?
«Il documento non voleva affrontare tutta la problematica connessa con la maturità affettiva e sessuale del candidato al sacerdozio. La psicologia e la psichiatria possono aiutare le persone a liberarsi dalle tendenze omosessuali o a vivere castamente la propria condizione. Queste scienze potrebbero essere di un certo aiuto anche per quelle persone che accidentalmente hanno avuto rapporti omosessuali senza avere una tendenza profondamente radicata. Ma il nostro documento non ha voluto affrontare queste tematiche».
La «lobby gay»
E veniamo alla questione della «lobby gay» che sarebbe presente in Vaticano.
Papa Francesco, nel corso della conferenza stampa in aereo del 28 luglio 2013, dice: «Mah! Si scrive tanto della lobby gay. Io ancora non ho trovato chi mi dia la carta d’identità in Vaticano con “gay”. Dicono che ce ne sono. Credo che quando uno si trova con una persona così, deve distinguere il fatto di essere una persona gay, dal fatto di fare una lobby, perché le lobby, tutte, non sono buone. Quello è cattivo. […] Il problema è fare lobby di questa tendenza: lobby di avari, lobby di politici, lobby dei massoni, tante lobby. Questo è il problema più grave per me».
Il 6 giugno 2013 Francesco riceve in Vaticano la Confederazione latinoamericana e caraibica dei religiosi e delle religiose (Clar). Non ci sono registrazioni delle parole del papa, ma qualche giorno dopo il sito web cileno «Reflexión y liberación» rivela che il pontefice avrebbe detto: «Nella curia ci sono persone sante, davvero, persone sante. Ma c’è anche una corrente di corruzione, c’è anche questa. Si parla di lobby gay, e veramente è qui. Bisogna vedere cosa possiamo fare».
Appena la notizia incomincia a circolare, i rappresentanti della Clar spiegano che l’udienza era strettamente privata e che le parole riportate non sono letterali, comunque la testimonianza resta.
La denuncia di don Dariusz
A proposito di omosessualità e criteri di valutazione da parte della Chiesa, anni fa una dura denuncia venne da don Dariusz Oko, docente di Teologia alla Pontificia accademia di Cracovia, che sulla rivista polacca «Fronda» scrisse un articolo, poi ripreso dalla rivista teologica tedesca «Theologisches», nel quale disse che nella Chiesa non solo ci sarebbe una «lobby gay», ma sarebbe sempre più diffusa l’«omoeresia», una corrente di pensiero contraria all’insegnamento della Chiesa in materia di omosessualità.
Intervistato il 20 dicembre 2012 da «La Nuova Bussola Quotidiana», don Dariusz disse: «Esistono diversi tipi di lobby, e da secoli esistono in tanti ambienti. Questo non è un aspetto specifico della Chiesa cattolica. Dopo il Concilio Vaticano II, ai tempi della rivoluzione sessuale del 1968, la teologia cattolica morale ha cominciato ad accettare le idee che prima erano considerate estranee al magistero della Chiesa e alla morale tradizionale. Uno degli esempi può essere l’insegnamento del prete cattolico americano Charles Curran, che difende l’uguaglianza degli orientamenti omosessuale ed eterosessuale. In questo modo l’omosessualità smise di essere considerata contro la legge naturale e contro la Rivelazione. Questo modo di considerare la sessualità umana è si è infiltrato in tanti seminari e monasteri nel mondo. In conseguenza, in molti seminari diocesani e abbazie di tutti i continenti hanno cominciato a sostenere l’idea che esistono due orientamenti sessuali equivalenti: eterosessuale ed omosessuale. Così si chiede ai chierici esclusivamente la castità, considerata come l’astinenza da atti impuri, e la capacità di vivere il celibato, senza entrare nel merito del loro orientamento o tendenze sessuali. In questo modo l’omosessualità come tendenza e tipo di personalità ha finito di essere un ostacolo all’ordinazione sacerdotale. Negli anni Settanta e Ottanta del ventesimo secolo i sacerdoti con tendenze omosessuali hanno cominciato a creare molti problemi in tante diocesi ed abbazie nel mondo. Lo scandalo degli abusi sessuali su minorenni, esploso negli anni Ottanta negli USA, è in gran parte dovuto a preti gay e nel 2002 questa situazione ha portato a un vero e proprio terremoto. Nel 1989, don Andrew Greeley, scrittore e sociologo cattolico, ha scritto sul settimanale americano “National Catholic Reporter” di Kansas City a proposito della “mafia lavanda” [locuzione che indica la lobby gay all’interno della Chiesa cattolica] in un articolo che ha indignato alcuni e ha trovato d’accordo altri. Secondo Greeley il sacerdozio stava diventando sempre più gay, e non era più rappresentativo della Chiesa universale».
A questo proposito – chiede l’intervistatore, Roberto Marchesini – lei parla di omoeresia. Quali sono le caratteristiche?
«L’omoeresia è un rifiuto del magistero della Chiesa cattolica sull’omosessualità. I sostenitori dell’omoeresia non accettano che la tendenza omosessuale sia un disturbo della personalità. Mettono in dubbio che gli atti omosessuali siano contro la legge naturale. I difensori dell’omoeresia sono a favore del sacerdozio per i gay. L’omoeresia è una versione ecclesiastica dell’omosessualismo».
Quali reazioni ha suscitato, in ambienti ecclesiastici, il suo articolo? Come è stato accolto?
«Le reazioni sono state soprattutto positive e hanno fatto gioire i miei amici che hanno partecipato alla nascita del mio lavoro. Queste voci hanno dato soddisfazione anche a tutti i credenti fedeli alla Santa Sede. Ci sono state così tante citazioni su diversi media che non è possibile ricordarle tutte. È sempre più difficile trovare un sacerdote in Polonia che non conosca il mio articolo. Tanti laici e sacerdoti mi hanno ringraziato, mi hanno fatto i complimenti per le mie conoscenze e il mio coraggio, mi hanno dato informazioni nuove e più dettagliate a sostegno delle tesi del mio testo. Tante persone hanno sottolineato quanto sia importante toccare questo tema perché la degenerazione morale dei sacerdoti distrugge qualcosa di particolarmente importante per la Chiesa, la colpisce al cuore».
Due anni dopo, don Dariusz è stato intervistato per il blog «San Pietro e dintorni» da Marco Tosatti, il quale fra l’altro gli ha chiesto: «Da quando lei ha scritto il suo studio è cambiato il Papa. Percepisce qualche differenza di atteggiamento fra i due pontificati, in relazione al problema?».
Risposta: «È difficile parlare di qualche differenza. La cosa fondamentale è il magistero della Chiesa cattolica che non cambia e che per oggi vieta l’ordinazione dei preti gay. Il magistero attuale, invece della divisione che funzionava prima tra l’omosessualità attiva e quella passiva, introduce una distinzione tra tendenze omosessuali transitorie, che accadono nel periodo dell’adolescenza, e quelle profondamente radicate. Tutte e due le forme di omosessualità, e non più soltanto l’omosessualità attiva, costituiscono un impedimento all’ordinazione sacerdotale. L’omosessualità non è conciliabile con la vocazione sacerdotale. Di conseguenza, non è solo rigorosamente vietata l’ordinazione di uomini con qualsiasi tipo di tendenza omosessuale (anche se transitoria), ma anche la loro ammissione in seminario».
La voce di Benedetto
Di omosessualità, occorre ricordarlo, si occupò Benedetto XVI nel libro-intervista «Luce del mondo», e le sue parole fanno da sintesi a tutto ciò che abbiamo illustrato.
«Se qualcuno presenta delle tendenze omosessuali profondamente radicate – ed oggi ancora non si sa se sono effettivamente congenite oppure se nascano invece con la prima fanciullezza – e se, in ogni caso, queste tendenze hanno un certo potere su quella data persona, allora questa è per lui una grande prova, così come una persona può dovere sopportare altre prove».
«L’omosessualità – ribadisce papa Ratzinger nel libro – non è conciliabile con il ministero sacerdotale, perché altrimenti anche il celibato come rinuncia non ha alcun senso».
Gli omosessuali vanno rispettati e «non devono essere discriminati perché presentano quelle tendenze». Il rispetto per la persona è fondamentale e decisivo. Tuttavia, «non per questo l’omosessualità diviene moralmente giusta, bensì rimane qualcosa che è contro la natura di quello che Dio ha originariamente voluto».
Aldo Maria Valli