Al termine dell’annuale Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani non sembra inutile fare il punto sulla visione ecumenica di papa Francesco.
Intanto due parole sull’iniziativa che si sta concludendo.
La Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani nasce in ambito protestante nel 1908. I testi usati per le celebrazioni sono elaborati di comune accordo: per protestanti e ortodossi dal Consiglio ecumenico delle Chiese, per i cattolici dal Pontificio consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani.
La settimana è quella compresa tra la festa della Cattedra di san Pietro e quella della Conversione di san Paolo. Nell’emisfero Sud, dove gennaio per molti è periodo di vacanza, il periodo scelto è in genere quello della Pentecoste.
Nel 1959 fu proprio nell’ultimo giorno di preghiera per l’unità che papa Giovanni XXIII, nella sala capitolare del Monastero di San Paolo a Roma, diede ai cardinali lo storico annuncio del Concilio.
Il tema della settimana per quest’anno è stato «L’amore di Cristo ci spinge verso la riconciliazione», ispirato alla seconda Lettera di San Paolo ai Corinzi.
L’abbraccio con Kirill
Ricordati gli ormai solidi rapporti di amicizia tra Francesco e il patriarca ecumenico di Costantinopoli, Bartolomeo I (rapporti che hanno portato il papa a visitare con Bartolomeo e l’arcivescovo di Atene l’isola di Lesbo, avamposto dell’accoglienza dei migranti in Europa), andiamo subito all’abbraccio, il primo nella storia, tra il papa e il patriarca Kirill di Mosca, avvenuto a L’Avana il 12 febbraio 2016.
In quell’occasione Francesco e Kirill hanno sottoscritto una dichiarazione comune nella quale si può leggere: «Incontrandoci lontano dalle antiche contese del “Vecchio Mondo”, sentiamo con particolare forza la necessità di un lavoro comune tra cattolici e ortodossi, chiamati, con dolcezza e rispetto, a rendere conto al mondo della speranza che è in noi (cfr 1 Pt 3, 15) […]. Deploriamo la perdita dell’unità, conseguenza della debolezza umana e del peccato, accaduta nonostante la Preghiera sacerdotale di Cristo Salvatore: «Perché tutti siano una sola cosa. Come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in noi una cosa sola» (Gv 17, 21) […]. Possa il nostro incontro ispirare i cristiani di tutto il mondo a pregare il Signore con rinnovato fervore per la piena unità di tutti i suoi discepoli. In un mondo che attende da noi non solo parole ma gesti concreti, possa questo incontro essere un segno di speranza per tutti gli uomini di buona volontà! […]. La civiltà umana è entrata in un periodo di cambiamento epocale. La nostra coscienza cristiana e la nostra responsabilità pastorale non ci autorizzano a restare inerti di fronte alle sfide che richiedono una risposta comune […]. Ortodossi e cattolici sono uniti non solo dalla comune Tradizione della Chiesa del primo millennio, ma anche dalla missione di predicare il Vangelo di Cristo nel mondo di oggi. Questa missione comporta il rispetto reciproco per i membri delle comunità cristiane ed esclude qualsiasi forma di proselitismo. Non siamo concorrenti ma fratelli, e da questo concetto devono essere guidate tutte le nostre azioni reciproche e verso il mondo esterno».
Dopo l’incontro con Kirill, Francesco ha detto: «Abbiamo parlato come fratelli, abbiamo lo stesso Battesimo, siamo vescovi. Abbiamo parlato delle nostre Chiese, e concordiamo sul fatto che l’unità si fa camminando. Abbiamo parlato apertamente, senza mezze parole, e vi confesso che ho sentito la consolazione dello Spirito Santo in questo dialogo. Ringrazio per l’umiltà Sua Santità, umiltà fraterna, e i suoi buoni auspici di unità. Abbiamo prospettato una serie di iniziative, che credo siano valide e che si potranno realizzare».
La sorpresa della Georgia
Dal 30 settembre al 2 ottobre 2016 Francesco visita la Georgia e l’Azerbaigian. Nonostante i settant’anni di dominazione sovietica, la Georgia resta un paese di radicata tradizione cristiana ortodossa e il papa, sull’aereo che lo riporta a Roma, dice: «Io ho avuto due sorprese in Georgia. Una è la Georgia. Mai ho immaginato tanta cultura, tanta fede, tanta cristianità. Un popolo credente; e di una cultura cristiana antichissima, un popolo di tanti martiri. E ho scoperto una cosa che io non conoscevo: le profonde radici di questa fede georgiana. La seconda sorpresa è stato il Patriarca [Elia II, ndr]: è un uomo di Dio, quest’uomo mi ha commosso. Io, le volte in cui l’ho incontrato, sono uscito con il cuore commosso e con la sensazione di aver trovato un uomo di Dio. Davvero, un uomo di Dio. Sulle cose che ci uniscono e ci separano, dirò: non metterci a discutere le cose di dottrina, questo lasciarlo ai teologi, loro sanno farlo meglio di noi. Discutono e sono bravi, sono buoni, hanno buona volontà, i teologi di una parte e dell’altra. Che cosa dobbiamo fare noi, il popolo? Pregare gli uni per gli altri. Questo è importantissimo: la preghiera. E, secondo, fare cose insieme: ci sono i poveri, lavoriamo insieme con i poveri; c’è questo e questo problema, possiamo affrontarlo insieme?, lo facciamo insieme; ci sono i migranti?, facciamo qualcosa insieme… Facciamo qualcosa di bene per gli altri, insieme, questo possiamo farlo. E questo è il cammino dell’ecumenismo. Non solo il cammino della dottrina, questo è l’ultima cosa, si arriverà alla fine. Ma incominciamo a camminare insieme. E con buona volontà, questo si può fare, si deve fare. Oggi l’ecumenismo si deve fare camminando insieme, pregando gli uni per gli altri. E che i teologi continuino a parlare tra loro, a studiare tra loro. Ma la Georgia è meravigliosa, è una cosa che non mi aspettavo; una Nazione cristiana, ma nel midollo!»
Una fede, un battesimo, un Signore
Veniamo ai rapporti con il mondo protestante. Il 15 novembre 2015 Francesco, in visita alla chiesa evangelica luterana di Roma, risponde ad alcune domande dei presenti. Una delle questioni poste riguarda l’impossibilità, per cattolici e luterani, di ricevere l’eucaristia insieme.
Ecco la domanda: «Mi chiamo Anke de Bernardinis e, come molte persone della nostra comunità, sono sposata con un italiano, che è un cristiano cattolico romano. Viviamo felicemente insieme da molti anni, condividendo gioie e dolori. E quindi ci duole assai l’essere divisi nella fede e non poter partecipare insieme alla Cena del Signore. Che cosa possiamo fare per raggiungere, finalmente, la comunione su questo punto?»
La risposta del papa, a braccio, in un italiano a tratti approssimativo, è la seguente: «Grazie, signora. Alla domanda sul condividere la Cena del Signore non è facile per me risponderle, soprattutto davanti a un teologo come il cardinale Kasper! Ho paura! Io penso che il Signore ci ha detto quando ha dato questo mandato: “Fate questo in memoria di me”. E quando condividiamo la Cena del Signore, ricordiamo e imitiamo, facciamo la stessa cosa che ha fatto il Signore Gesù. E la Cena del Signore ci sarà, il banchetto finale nella Nuova Gerusalemme ci sarà, ma questa sarà l’ultima. Invece nel cammino, mi domando – e non so come rispondere, ma la sua domanda la faccio mia – io mi domando: condividere la Cena del Signore è il fine di un cammino o è il viatico per camminare insieme? Lascio la domanda ai teologi, a quelli che capiscono. È vero che in un certo senso condividere è dire che non ci sono differenze fra noi, che abbiamo la stessa dottrina – sottolineo la parola, parola difficile da capire – ma io mi domando: ma non abbiamo lo stesso Battesimo? E se abbiamo lo stesso Battesimo dobbiamo camminare insieme. Lei è una testimonianza di un cammino anche profondo perché è un cammino coniugale, un cammino proprio di famiglia, di amore umano e di fede condivisa. Abbiamo lo stesso Battesimo. Quando lei si sente peccatrice – anche io mi sento tanto peccatore – quando suo marito si sente peccatore, lei va davanti al Signore e chiede perdono; suo marito fa lo stesso e va dal sacerdote e chiede l’assoluzione. Sono rimedi per mantenere vivo il Battesimo. Quando voi pregate insieme, quel Battesimo cresce, diventa forte; quando voi insegnate ai vostri figli chi è Gesù, perché è venuto Gesù, cosa ci ha fatto Gesù, fate lo stesso, sia in lingua luterana che in lingua cattolica, ma è lo stesso. La domanda: e la Cena? Ci sono domande alle quali soltanto se uno è sincero con sé stesso e con le poche “luci” teologiche che io ho, si deve rispondere lo stesso, vedete voi. “Questo è il mio Corpo, questo è il mio sangue”, ha detto il Signore, “fate questo in memoria di me”, e questo è un viatico che ci aiuta a camminare. Io ho avuto una grande amicizia con un vescovo episcopaliano, quarantottenne, sposato, due figli, e lui aveva questa inquietudine: la moglie cattolica, i figli cattolici, lui vescovo. Lui accompagnava la domenica sua moglie e i suoi figli alla Messa e poi andava a fare il culto con la sua comunità. Era un passo di partecipazione alla Cena del Signore. Poi lui è andato avanti, il Signore lo ha chiamato, un uomo giusto. Alla sua domanda le rispondo soltanto con una domanda: come posso fare con mio marito, perché la Cena del Signore mi accompagni nella mia strada? È un problema a cui ognuno deve rispondere. Ma mi diceva un pastore amico: “Noi crediamo che il Signore è presente lì. È presente. Voi credete che il Signore è presente. E qual è la differenza?” – “Eh, sono le spiegazioni, le interpretazioni…”. La vita è più grande delle spiegazioni e interpretazioni. Sempre fate riferimento al Battesimo: “Una fede, un battesimo, un Signore”, così ci dice Paolo, e di là prendete le conseguenze. Io non oserò mai dare permesso di fare questo perché non è mia competenza. Un Battesimo, un Signore, una fede. Parlate col Signore e andate avanti. Non oso dire di più».
I meriti di Lutero
In vista del viaggio in Svezia (31 ottobre – 1 novembre 2016), per la preghiera comune con i luterani in occasione dei cinquecento anni dalla Riforma, il 24 settembre 2016 Francesco parla, a Santa Marta, con il padre Ulf Jonsson, direttore della rivista dei gesuiti svedesi «Signum», e con il direttore della «Civiltà Cattolica», padre Antonio Spadaro.
Nell’intervista, uscita in contemporanea sul quotidiano svedese «Dagens Nyheter», il pontefice afferma tra l’altro: «Non si può essere cattolici e settari. Bisogna tendere a stare insieme agli altri».
Il papa rivela che il programma del viaggio inizialmente non prevedeva la celebrazione di una messa per la comunità cattolica, perché si voleva «insistere su una testimonianza ecumenica», poi però, «rispondendo alla fervida richiesta della comunità cattolica», Francesco ha deciso di celebrare l’eucarestia, allungando il viaggio di un giorno, perché «fosse celebrata non nello stesso giorno e non nello stesso luogo dell’incontro ecumenico per evitare di confondere i piani».
Francesco ricorda le sue relazioni con amici luterani in Argentina, in particolare quella con il teologo svedese Anders Ruuth – «l’uomo che ha fatto tanto bene alla mia vita» – e quella con Albert Andersen, già pastore della chiesa di Danimarca, con il quale, racconta, ebbe «una discussione molto forte a distanza», ma si è poi riconciliato. Poi sottolinea quelli che considera i due «meriti» di Lutero: Riforma, «fondamentale perché la Chiesa è semper reformanda», e Scrittura, perché «Lutero ha fatto un grande passo per mettere la Parola di Dio nelle mani del popolo».
Quanto al dialogo ecumenico, sostiene che «fare qualcosa insieme è una forma alta ed efficace di dialogo». Soprattutto si tratta di pregare insieme e realizzare opere di misericordia.
Sottolineato che «fare proselitismo nel campo ecclesiale è peccato» (qui, come in altre occasioni, dimostra di attribuire alla parola «proselitismo» un significato negativo, secondo un uso invalso dopo il Vaticano II), Francesco mette l’accento sull’«ecumenismo del sangue»: «Nell’unità quello che non sbaglia mai è il demonio. Quando i cristiani sono perseguitati e uccisi lo sono perché sono cristiani».
La freschezza delle comunità ecclesiali», spiega, dipende «dallo Spirito». Purtroppo ci sono «chiese invecchiate che sembrano essere interessate solamente a conservare il loro spazio» e «chiuse nei programmi».
Aspettative rispetto al viaggio? «La mia attesa è quella di riuscire a fare un passo di vicinanza, a essere più vicino ai miei fratelli e alle mie sorelle».
«Ciò che ci unisce è più di ciò che ci divide»
Il 13 ottobre 2016 Francesco accoglie in Vaticano i partecipanti al pellegrinaggio dei luterani. Per l’occasione una statua di Lutero viene posta sul palco, accanto al papa.
«Rendiamo grazie a Dio – dice Francesco – perché oggi, luterani e cattolici, stiamo camminando sulla via che va dal conflitto alla comunione. Abbiamo percorso insieme già un importante tratto di strada. Lungo il cammino proviamo sentimenti contrastanti: dolore per la divisione che ancora esiste tra noi, ma anche gioia per la fraternità già ritrovata. La vostra presenza così numerosa ed entusiasta è un segno evidente di questa fraternità, e ci riempie della speranza che possa continuare a crescere la reciproca comprensione».
«L’Apostolo Paolo ci dice che, in virtù del nostro battesimo, tutti formiamo l’unico Corpo di Cristo. Le diverse membra, infatti, formano un solo corpo. Per questo apparteniamo gli uni agli altri e quando uno soffre, tutti soffrono, quando uno gioisce, tutti gioiscono (cfr 1 Cor 12,12-26). Possiamo continuare con fiducia il nostro cammino ecumenico, perché sappiamo che, al di là di tante questioni aperte che ancora ci separano, siamo già uniti. Quello che ci unisce è molto di più di quello che ci divide!»
«La testimonianza che il mondo si aspetta da noi è soprattutto quella di rendere visibile la misericordia che Dio ha nei nostri confronti attraverso il servizio ai più poveri, agli ammalati, a chi ha abbandonato la propria terra per cercare un futuro migliore per sé e per i propri cari. Nel metterci a servizio dei più bisognosi sperimentiamo di essere già uniti: è la misericordia di Dio che ci unisce».
A Lund
Il 31 ottobre 2016 il papa si reca dunque in visita a Lund, in Svezia, dove, nella cattedrale luterana, dice: «Cattolici e luterani abbiamo cominciato a camminare insieme sulla via della riconciliazione. Ora, nel contesto della commemorazione comune della Riforma del 1517, abbiamo una nuova opportunità di accogliere un percorso comune, che ha preso forma negli ultimi cinquant’anni nel dialogo ecumenico tra la Federazione Luterana Mondiale e la Chiesa Cattolica. Non possiamo rassegnarci alla divisione e alla distanza che la separazione ha prodotto tra noi. Abbiamo la possibilità di riparare ad un momento cruciale della nostra storia, superando controversie e malintesi che spesso ci hanno impedito di comprenderci gli uni gli altri».
L’esigenza è di «guardare con amore e onestà al nostro passato e riconoscere l’errore e chiedere perdono: Dio solo è il giudice». Cattolici e luterani devono «riconoscere con la stessa onestà e amore che la nostra divisione si allontanava dalla intuizione originaria del popolo di Dio, che aspira naturalmente a rimanere unito, ed è stata storicamente perpetuata da uomini di potere di questo mondo più che per la volontà del popolo fedele, che sempre e in ogni luogo ha bisogno di essere guidato con sicurezza e tenerezza dal suo Buon Pastore».
«Con gratitudine riconosciamo che la Riforma ha contribuito a dare maggiore centralità alla Sacra Scrittura nella vita della Chiesa. […] L’esperienza spirituale di Martin Lutero ci interpella e ci ricorda che non possiamo fare nulla senza Dio. “Come posso avere un Dio misericordioso?”. Questa è la domanda che costantemente tormentava Lutero. In effetti, la questione del giusto rapporto con Dio è la questione decisiva della vita. Come è noto, Lutero ha scoperto questo Dio misericordioso nella Buona Novella di Gesù Cristo incarnato, morto e risorto. Con il concetto di “solo per grazia divina”, ci viene ricordato che Dio ha sempre l’iniziativa e che precede qualsiasi risposta umana, nel momento stesso in cui cerca di suscitare tale risposta. La dottrina della giustificazione, quindi, esprime l’essenza dell’esistenza umana di fronte a Dio».
«Come cristiani saremo testimonianza credibile della misericordia nella misura in cui il perdono, il rinnovamento e la riconciliazione saranno un’esperienza quotidiana tra noi. Insieme possiamo annunciare e manifestare concretamente e con gioia la misericordia di Dio, difendendo e servendo la dignità di ogni persona. Senza questo servizio al mondo e nel mondo, la fede cristiana è incompleta».
Ripudiare i conflitti
A Lund il papa e i rappresentanti luterani sottoscrivono una dichiarazione congiunta nella quale fra l’altro si legge: «Mentre siamo profondamente grati per i doni spirituali e teologici ricevuti attraverso la Riforma, confessiamo e deploriamo davanti a Cristo il fatto che luterani e cattolici hanno ferito l’unità visibile della Chiesa. Differenze teologiche sono state accompagnate da pregiudizi e conflitti e la religione è stata strumentalizzata per fini politici. La nostra comune fede in Gesù Cristo e il nostro battesimo esigono da noi una conversione quotidiana, grazie alla quale ripudiamo i dissensi e i conflitti storici che ostacolano il ministero della riconciliazione. Mentre il passato non può essere cambiato, la memoria e il modo di fare memoria possono essere trasformati. Preghiamo per la guarigione delle nostre ferite e delle memorie che oscurano la nostra visione gli uni degli altri. Rifiutiamo categoricamente ogni odio e ogni violenza, passati e presenti, specialmente quelli attuati in nome della religione. Oggi ascoltiamo il comando di Dio di mettere da parte ogni conflitto. Riconosciamo che siamo liberati per grazia per camminare verso la comunione a cui Dio continuamente ci chiama».
«Molti membri delle nostre comunità aspirano a ricevere l’Eucaristia ad un’unica mensa, come concreta espressione della piena unità. Facciamo esperienza del dolore di quanti condividono tutta la loro vita, ma non possono condividere la presenza redentrice di Dio alla mensa eucaristica. Riconosciamo la nostra comune responsabilità pastorale di rispondere alla sete e alla fame spirituali del nostro popolo di essere uno in Cristo. Desideriamo ardentemente che questa ferita nel Corpo di Cristo sia sanata. Questo è l’obiettivo dei nostri sforzi ecumenici, che vogliamo far progredire, anche rinnovando il nostro impegno per il dialogo teologico».
«Chiediamo a Dio ispirazione, incoraggiamento e forza affinché possiamo andare avanti insieme nel servizio, difendendo la dignità e i diritti umani, specialmente dei poveri, lavorando per la giustizia e rigettando ogni forma di violenza. Dio ci chiama ad essere vicini a coloro che aspirano alla dignità, alla giustizia, alla pace e alla riconciliazione. Oggi, in particolare, noi alziamo le nostre voci per la fine della violenza e dell’estremismo che colpiscono tanti Paesi e comunità, e innumerevoli sorelle e fratelli in Cristo. Esortiamo luterani e cattolici a lavorare insieme per accogliere chi è straniero, per venire in aiuto di quanti sono costretti a fuggire a causa della guerra e della persecuzione, e a difendere i diritti dei rifugiati e di quanti cercano asilo».
«Oggi più che mai ci rendiamo conto che il nostro comune servizio nel mondo deve estendersi a tutto il creato, che soffre lo sfruttamento e gli effetti di un’insaziabile avidità. Riconosciamo il diritto delle future generazioni di godere il mondo, opera di Dio, in tutta la sua potenzialità e bellezza. Preghiamo per un cambiamento dei cuori e delle menti che porti ad una amorevole e responsabile cura del creato».
I doni della Riforma
Per capire la posizione di Francesco rispetto a Lutero, interessante è la risposta data il 26 giugno 2016, sul volo di ritorno dall’Armenia, a Tilmann Kleinjung dell’ARD, la radio nazionale tedesca.
Domanda: è forse venuto il tempo di riconoscere i doni della Riforma?
Risposta di papa Francesco: «Io credo che le intenzioni di Martin Lutero non fossero sbagliate: era un riformatore. Forse alcuni metodi non erano giusti, ma in quel tempo, se leggiamo per esempio la storia del Pastor, un tedesco luterano che poi si è convertito quando ha visto la realtà di quel tempo, e si è fatto cattolico, vediamo che la Chiesa non era proprio un modello da imitare: c’era corruzione nella Chiesa, c’era mondanità, c’era attaccamento ai soldi e al potere. E per questo lui ha protestato. Poi era intelligente, e ha fatto un passo avanti giustificando il perché faceva questo. E oggi luterani e cattolici, con tutti i protestanti, siamo d’accordo sulla dottrina della giustificazione: su questo punto tanto importante lui non aveva sbagliato. Lui ha fatto una “medicina” per la Chiesa, poi questa medicina si è consolidata in uno stato di cose, in una disciplina, in un modo di credere, in un modo di fare, in modo liturgico. Ma non era lui solo: c’era Zwingli, c’era Calvino… E dietro di loro chi c’era? I principi, cuius regio eius religio [di chi è la regione, di lui sia la religione, cioè i sudditi seguano la religione del proprio governante, ndr]. Dobbiamo metterci nella storia di quel tempo. È una storia non facile da capire, non facile. Poi sono andate avanti le cose. Oggi il dialogo è molto buono e quel documento sulla giustificazione [si riferisce alla Dichiarazione congiunta sulla dottrina della giustificazione, sottoscritta da cattolici e luterani ad Augusta il 31 ottobre 1999, ndr] credo che sia uno dei documenti ecumenici più ricchi, più ricchi e più profondi. È d’accordo? Ci sono divisioni, ma dipendono anche dalle Chiese. A Buenos Aires c’erano due chiese luterane: una pensava in un modo e l’altra in un altro. Anche nella stessa Chiesa luterana non c’è unità. Si rispettano, si amano… La diversità è quello che forse ha fatto tanto male a tutti noi e oggi cerchiamo di riprendere la strada per incontrarci dopo cinquecento anni. Io credo che dobbiamo pregare insieme, pregare. Per questo la preghiera è importante. Secondo: lavorare per i poveri, per i perseguitati, per tanta gente che soffre, per i profughi… Lavorare insieme e pregare insieme. E che i teologi studino insieme, cercando… Ma questa è una strada lunga, lunghissima. Una volta ho detto scherzando: “Io so quando sarà il giorno dell’unità piena. Quale? Il giorno dopo la venuta del Figlio dell’uomo!”. Perché non si sa… Lo Spirito Santo farà questa grazia. Ma nel frattempo bisogna pregare, amarci e lavorare insieme, soprattutto per i poveri, per la gente che soffre, per la pace e tante altre cose, contro lo sfruttamento della gente… Tante cose per le quali si sta lavorando congiuntamente».
Falsi modelli di comunione
Secondo Francesco ci sono alcuni «falsi modelli di comunione che in realtà non portano all’unità, ma la contraddicono nella sua essenza». Il papa ne parla il 10 novembre 2016 nella Sala Clementina in Vaticano. Rivolto ai partecipanti alla plenaria del Pontificio consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani, Francesco dice: prima di tutto, l’unità «non è il frutto dei nostri sforzi umani o il prodotto costruito da diplomazie ecclesiastiche, ma è un dono che viene dall’alto. Noi uomini non siamo in grado di fare l’unità da soli, né possiamo deciderne le forme e i tempi. Qual è allora il nostro ruolo? Che cosa dobbiamo fare noi per promuovere l’unità dei cristiani? Nostro compito è quello di accogliere questo dono e di renderlo visibile a tutti. Da questo punto di vista, l’unità, prima che traguardo, è cammino, con le sue tabelle di marcia e i suoi ritmi, i suoi rallentamenti e le sue accelerazioni, e anche le sue soste. L’unità come cammino richiede pazienti attese, tenacia, fatica e impegno; non annulla i conflitti e non cancella i contrasti, anzi, a volte può esporre al rischio di nuove incomprensioni».
L’unità, precisa poi il papa «non è uniformità. Le differenti tradizioni teologiche, liturgiche, spirituali e canoniche, che si sono sviluppate nel mondo cristiano, quando sono genuinamente radicate nella tradizione apostolica sono una ricchezza e non una minaccia per l’unità della Chiesa. Cercare di sopprimere tale diversità è andare contro lo Spirito Santo, che agisce arricchendo la comunità dei credenti con una varietà di doni. Nel corso della storia, vi sono stati tentativi di questo genere, con conseguenze che talvolta fanno soffrire ancora oggi. Se invece ci lasciamo guidare dallo Spirito, la ricchezza, la varietà, la diversità non diventano mai conflitto, perché Egli ci spinge a vivere la varietà nella comunione della Chiesa. Compito ecumenico è rispettare le legittime diversità e portare a superare le divergenze inconciliabili con l’unità che Dio chiede. Il permanere di tali divergenze non ci deve paralizzare, ma spingere a cercare insieme il modo di affrontare con successo tali ostacoli».
«Infine, l’unità non è assorbimento. L’unità dei cristiani non comporta un ecumenismo “in retromarcia”, per cui qualcuno dovrebbe rinnegare la propria storia di fede; e neppure tollera il proselitismo, che anzi è un veleno per il cammino ecumenico. Prima di vedere ciò che ci separa, occorre percepire anche in modo esistenziale la ricchezza di ciò che ci accumuna, come la Sacra Scrittura e le grandi professioni di fede dei primi Concili ecumenici. Così facendo, noi cristiani possiamo riconoscerci come fratelli e sorelle che credono nell’unico Signore e Salvatore Gesù Cristo, impegnati insieme a cercare il modo di obbedire oggi alla Parola di Dio che ci vuole uniti. L’ecumenismo è vero quando si è capaci di spostare l’attenzione da sé stessi, dalle proprie argomentazioni e formulazioni, alla Parola di Dio che esige di essere ascoltata, accolta e testimoniata nel mondo. Per questo, le varie comunità cristiane sono chiamate non a “farsi concorrenza”, ma a collaborare».
Aldo Maria Valli