Francesco e le sue riforme. Ecco a che punto siamo

A che punto sono le riforme avviate da Francesco nei vari settori della curia romana, ovvero del governo centrale della Chiesa cattolica?

A quasi quattro anni dalla sua elezione (13 marzo 2013), è stato lo stesso papa Bergoglio a fare un quadro della situazione, il 22 dicembre 2016, in occasione del tradizionale discorso per gli auguri di Natale alla curia.

Nell’elencare tutte le iniziative intraprese ci lasceremo quindi guidare inizialmente da Francesco in persona.

Ecco quanto ha detto il papa.

«Il 13 aprile 2013 è stato annunciato il Consiglio dei cardinali (Consilium cardinalium Summo Pontifici) – il cosiddetto C8, diventato C9 a partire dal 1° luglio 2014 – primariamente per consigliare il Papa nel governo della Chiesa universale e su altri temi relativi, e anche con il compito specifico di proporre la revisione della Costituzione apostolica Pastor Bonus.

Con il chirografo del 24 giugno 2013 è stata eretta la Pontificia commissione referente sull’Istituto per le opere di religione, per conoscere in modo più approfondito la posizione giuridica dello Ior e permettere una sua migliore “armonizzazione” con “la missione universale della Sede apostolica”. Il tutto per “consentire ai princìpi del Vangelo di permeare anche le attività di natura economica e finanziaria” e per raggiungere una completa e riconosciuta trasparenza nel suo operato.

Con il motu proprio dell’11 luglio 2013 si è provveduto a delineare la giurisdizione degli organi giudiziari dello Stato della Città del Vaticano in materia penale.

Con il chirografo del 18 luglio 2013 si è istituita la Cosea (Pontificia commissione referente di studio e di indirizzo sull’organizzazione della struttura economico-amministrativa), con il compito di studiare, di analizzare e di raccogliere informazioni, in cooperazione con il Consiglio dei cardinali per lo studio dei problemi organizzativi ed economici della Santa Sede.

Con il motu proprio dell’8 agosto 2013 è stato istituito il Comitato di sicurezza finanziaria della Santa Sede, per la prevenzione e il contrasto del riciclaggio, del finanziamento del terrorismo e della proliferazione di armi di distruzione di massa. Il tutto per portare lo Ior e tutto il sistema economico vaticano all’adottamento regolare e all’adempimento completo, con impegno e diligenza, di tutte le leggi standard internazionali sulla trasparenza finanziaria.

Con il motu proprio del 15 novembre 2013 è stata consolidata l’Autorità di informazione finanziaria (Aif), istituita da Benedetto XVI con motu proprio del 30 dicembre 2010 per la prevenzione e il contrasto delle attività illegali in campo finanziario e monetario.

Con il motu proprio del 24 febbraio 2014 (Fidelis dispensator et prudens) sono state erette la Segreteria per l’economia e il Consiglio per l’economia, in sostituzione del Consiglio dei 15 cardinali, con il compito di armonizzare le politiche di controllo riguardo alla gestione economica della Santa Sede e della Città del Vaticano.

Con lo stesso motu proprio (Fidelis dispensator et prudens) del 24 febbraio 2014 è stato eretto l’Ufficio del revisore generale (Urg), quale nuovo ente della Santa Sede incaricato di compiere la revisione (audit) dei dicasteri della curia romana, delle istituzioni collegate alla Santa Sede – o che fanno riferimento ad essa – e delle amministrazioni del governatorato dello Stato della Città del Vaticano.

Con chirografo del 22 marzo 2014 è stata istituita la Pontificia commissione per la tutela dei minori per “promuovere la tutela della dignità dei minori e degli adulti vulnerabili, attraverso le forme e le modalità, consone alla natura della Chiesa, che si ritengano più opportune”.

Con il motu proprio dell’8 luglio 2014 è stata trasferita la Sezione ordinaria dell’Amministrazione del patrimonio della Sede apostolica alla Segreteria per l’economia.

Il 22 febbraio 2015 sono stati approvati gli statuti dei nuovi organismi economici.

Con il motu proprio del 27 giugno 2015 è stata eretta la Segreteria per la comunicazione con il compito di “rispondere all’attuale contesto comunicativo, caratterizzato dalla presenza e dallo sviluppo dei media digitali, dai fattori della convergenza e dell’interattività” e anche di ristrutturare complessivamente, attraverso un processo di riorganizzazione e di accorpamento di “tutte le realtà che, in diversi modi, fino ad oggi, si sono occupate della comunicazione”, al fine di “rispondere sempre meglio alle esigenze della missione della Chiesa”.

Il 6 settembre 2016 è stato promulgato lo statuto della Segreteria per la comunicazione, entrato in vigore lo scorso ottobre.

Con i due motu proprio del 15 agosto 2015 si è provveduto alla riforma del processo canonico per le cause di dichiarazione di nullità del matrimonio: Mitis et misericors Iesus, nel Codice dei canoni delle Chiese orientali; Mitis Iudex Dominus Iesus, nel Codice di diritto canonico.

Con il motu proprio del 4 giugno 2016 (Come una madre amorevole) si è voluta prevenire la negligenza dei vescovi nell’esercizio del loro ufficio, in particolare relativamente ai casi di abusi sessuali compiuti su minori e adulti vulnerabili.

Con il motu proprio del 15 agosto 2016 (Sedula Mater) è stato costituito il Dicastero per i laici, la famiglia e la vita, richiamando anzitutto la finalità pastorale generale del ministero petrino: “Ci adoperiamo prontamente a disporre ogni cosa perché le ricchezze di Cristo Gesù si riversino appropriatamente e con profusione tra i fedeli”.

Con il motu proprio del 17 agosto 2016 (Humanam progressionem) è stato costituito il Dicastero per il servizio dello sviluppo umano integrale, affinché lo sviluppo si attui “mediante la cura per i beni incommensurabili della giustizia, della pace e della salvaguardia del creato”. In questo dicastero confluiranno, dal 1°gennaio 2017, quattro Pontifici consigli: Giustizia e pace, Cor Unum, Pastorale dei migranti e Operatori sanitari. Mi occuperò direttamente ad tempus della sezione per la pastorale dei migranti di tale nuovo dicastero.

Il 18 ottobre 2016 è stato approvato lo statuto della Pontificia accademia per la vita».

Tanta carne al fuoco

Come si vede, moltissima la carne al fuoco. Si può dire che tutti i settori in cui si articola il lavoro della curia romana sono stati coinvolti, in un modo o nell’altro, nelle iniziative di riforma volute da Francesco: economia, finanza, amministrazione, tribunali, diritto canonico, comunicazioni sociali, sanità, laici, famiglia, vita. Tutti molto delicati i temi affrontati: trasparenza finanziaria, coerenza tra missione evangelizzatrice e attività economica, snellimento delle procedure, efficacia della comunicazione, nullità matrimoniali, pedofilia, tutela dei minori, migranti.

Qual è il disegno complessivo?

La linea va rintracciata nelle parole pronunciate da Francesco il 16 marzo 2013, dopo soli tre giorni dalla sua elezione, quando, davanti ai rappresentanti dei mass media ricevuti in Vaticano, spiegando la scelta del nome di Francesco esclamò:  «Ah, come vorrei una Chiesa povera e per i poveri!». Il papa desidera una curia «leggera», non appesantita dalla burocrazia, una macchina che sia davvero al servizio della missione evangelizzatrice e sia anche d’esempio a tutta la Chiesa, come modello di coerenza cristiana.

Già riformata più volte dai precedenti pontefici, la curia romana ha, come la Chiesa intera, l’esigenza di essere semper reformanda. Il mondo cambia, cambiano le esigenze, cambiano i ritmi. La curia è struttura di servizio: occorre quindi che cambi anch’essa, per prestare un servizio più adeguato al papa e alla Chiesa. Però, come Francesco ha spiegato all’inizio del concistoro del 12 febbraio 2015, il fine non riguarda soltanto il funzionamento degli uffici. C’è un fine più alto: «La riforma non è fine a sé stessa, ma un mezzo per dare una forte testimonianza cristiana; per favorire una più efficace evangelizzazione; per promuovere un più fecondo spirito ecumenico; per incoraggiare un dialogo più costruttivo con tutti».

Riforma come conversione

Sappiamo che il papa a più riprese ha ammonito i curiali, arrivando ad elencare le gravi «malattie» (ben quindici quelle di cui parlò nel memorabile discorso del 22 dicembre 2014) che possono svilupparsi tra chi lavora per la Santa Sede e lo Stato della Città del Vaticano. Francesco ha quindi a cuore, prima di tutto, quella riforma interiore che si chiama conversione. Sa che i problemi ci saranno sempre  («perché siamo uomini, perché siamo peccatori», ha detto ai giornalisti di ritorno dalla Terra Santa, il 26 maggio 2014),  ma non per questo rinuncia all’opera riformatrice.

In Evangelii gaudium (nn. 26 – 27) il papa osserva che «le buone strutture servono quando c’è una vita che le anima, le sostiene e le giudica. Senza vita nuova e autentico spirito evangelico, senza fedeltà della Chiesa alla propria vocazione, qualsiasi nuova struttura si corrompe in poco tempo».

Quale il suo modo di procedere?

Lui stesso ha ammesso di non aver avuto, almeno all’inizio, un vero e proprio piano. Dice infatti a Ferruccio De Bortoli, allora direttore del «Corriere della sera», il 5 marzo 2014:  «Io nel marzo scorso non avevo alcun progetto di cambiamento della Chiesa».

La bussola è di natura pastorale. Francesco vuole rinnovare continuamente gli organismi che operano con lui e per lui perché, come si legge nel motu proprio Humanam progressionem del 17 agosto 2016, con cui ha costituito il Dicastero per il servizio dello sviluppo umano integrale, tutte le strutture «possano meglio venire incontro alle esigenze degli uomini e delle donne che essi sono chiamati a servire».

Decisivo è il ruolo del Consiglio dei cardinali, nato da un’esigenza emersa durante le riunioni dei porporati prima del conclave del 2013. Attualmente è composto dai seguenti cardinali: Oswald Gracias, Francisco Javier Errazuriz Ossa, Laurent Monsengwo Pasinya, Reihnard Marx, Sean Patrick O’Malley, Pietro Parolin, George Pell, Giuseppe Bertello, Oscar Rodriguez Maradiaga.

Gracias è indiano, Errázuriz Ossa cileno, Pasinya congolese, Marx tedesco, O’Malley statunitense, Pell autraliano, Maradiaga honduregno. Parolin è il segretario di Stato, Bertello il responsabile del governatorato dello Stato della Città del Vaticano.

Francesco convoca il Consiglio periodicamente (in media, una volta ogni due mesi) e, prima ancora di dare direttive, ascolta consigli e sollecitazioni. Asia, Europa, Africa, Americhe, Oceania: tutto il mondo vi è rappresentato. Due cardinali sono vescovi emeriti, due sono stati nunzi apostolici. Il ventaglio delle competenze e delle sensibilità è il più vasto e articolato.

No al «vaticanocentrismo»

Per Francesco la Chiesa, specie nel suo governo centrale, non può e non deve essere identificata con un centro di potere. Di conseguenza, chi ci lavora deve abbandonare ogni logica di carrierismo.  Occorre anche uscire da una visione «vaticanocentrica» della realtà.

Anche se le sue parole nei confronti dei curiali sono state spesso dure, Francesco ha fatto sapere di volere una riforma con la curia, non contro la curia. Per questo, prima di incominciare a prendere decisioni, ha chiesto la raccolta di molta documentazione, dando spazio alle sollecitazioni che i cardinali hanno ricevuto dagli episcopati di tutto il mondo.

Le riunioni periodiche servono a fare il punto del cammino ma anche a recepire sollecitazioni e richieste che arrivano dalla chiese particolari.

Sinodalità, collegialità e decentramento sono princìpi che stanno a cuore a Francesco e dei quali ha parlato in numerose occasioni (per esempio, nel discorso del 17 ottobre 2015, tenuto in occasione del cinquantesimo anniversario dell’istituzione del Sinodo dei vescovi, quando ha parlato della sinodalità come «dimensione costitutiva della Chiesa»).

Secondo il papa,  «dobbiamo riflettere per realizzare ancor più, attraverso questi organismi, le istanze intermedie della collegialità, magari integrando e aggiornando alcuni aspetti dell’antico ordinamento ecclesiastico. L’auspicio del Concilio che tali organismi possano contribuire ad accrescere lo spirito della collegialità episcopale non si è ancora pienamente realizzato. Siamo a metà cammino, a parte del cammino. In una Chiesa sinodale, come ho già affermato, “non è opportuno che il papa sostituisca gli episcopati locali nel discernimento di tutte le problematiche che si prospettano nei loro territori. In questo senso, avverto la necessità di procedere in una salutare decentralizzazione”».

Un obiettivo ambizioso

L’obiettivo, nel complesso, è piuttosto ambizioso. Come ha spiegato l’ex direttore della Sala stampa della Santa Sede, padre Federico Lombardi, nel briefing con i giornalisti del 3 dicembre 2013, non si tratta  «di apportare semplici ritocchi o modifiche marginali alla Pastor bonus [la costituzione apostolica sulla curia romana emanata da Giovanni Paolo II il 28 giugno 1988, ndr] , ma di lavorare per preparare una costituzione con novità consistenti, insomma una nuova costituzione».

Attualmente gli organismi di curia sono distinti in congregazioni e pontifici consigli. C’è una gerarchia: i primi sono considerati più importanti dei secondi, nel senso che la potestà delle congregazioni è maggiore. La tendenza di Francesco è di annullare questa gerarchia attribuendo la stessa importanza a tutti gli organismi. Ecco perché preferisce usare il termine «dicastero»,  onnicomprensivo.

Continuamente richiamate sono due esigenze: maggiore coordinamento fra i vari dicasteri e snellimento degli uffici. A giudizio di Francesco, le diverse strutture vaticane troppo spesso non si parlano e procedono in ordine sparso. Inoltre ce ne sono alcune ormai superate, da sopprimere, accorpare  o riorganizzare.

Un esempio è la nuova Segreteria per la comunicazione, alla quale è stato affidato il compito di gestire tutti i mass media vaticani e gli organismi, come la sala stampa, che si occupano della comunicazione.

Un altro esempio viene dal nuovo Dicastero per i laici, la famiglia e la vita, nel quale sono confluite le competenze di due Pontifici consigli: quello per i laici e quello per la famiglia. E un metodo simile è stato seguito per il nuovo Dicastero per lo sviluppo umano integrale, nel quale sono confluite le competenze in precedenza attribuite a ben quattro Pontifici consigli: Giustizia e pace, Cor unum, Pastorale per migranti e itineranti e Pastorale per gli operatori sanitari.  All’interno del nuovo Dicastero sono state costituite tre commissioni: per la carità, per l’ecologia e per gli operatori sanitari.

Da sottolineare che il papa ha deciso per il momento di occuparsi personalmente della sezione riguardante i migranti e i profughi, una scelta che dimostra la sua particolare sensibilità per il problema ma forse anche la difficoltà nell’individuare la personalità più adeguata per ricoprire l’incarico.

Da parte di Francesco, spiega monsignor  Marcello Semeraro, segretario del Consiglio dei cardinali, si nota, «prima di giungere a un assetto globale e compiuto, la volontà di procedere mediante sperimentazioni e assestamenti». In questa linea, abbiamo diversi provvedimenti approvati ad experimentum, senza l’indicazione di una scadenza , così da mantenere aperta la possibilità di procedere con correzioni e aggiustamenti. Segno di un atteggiamento pragmatico da parte del papa.

Il nodo dell’economia

La questione più difficile resta  la riforma degli organismi economici. La riorganizzazione dello Ior, della Prefettura degli affari economici e dell’Apsa  (l’Amministrazione del patrimonio  della Sede apostolica) ha incontrato numerosi ostacoli.

Entrare in questi meandri non è facile. Si può dire che l’azione del papa si riassume in due parole: trasparenza e controllo.

Prima di procedere a ogni tipo di riforma, Francesco ha istituito (lo abbiamo visto all’inizio) una Pontificia commissione referente sull’Istituto per le opere di religione (Ior) (24 giugno 2013) e una Pontificia commissione referente di studio e di indirizzo sull’organizzazione della struttura economica-amministrativa della Santa Sede (Cosea) (18 luglio 2013). Le due Commissioni hanno terminato i loro lavori il 22 maggio 2014.

Il 24 febbraio 2014 è stata creata la Segreteria per l’economia (Spe), subito definita dai giornalisti «il Ministero delle finanze del Vaticano». La guida è affidata al cardinale prefetto, coadiuvato da un prelato segretario generale e da un revisore generale. Proprio il revisore, come dice il suo nome, ha il compito di controllare la contabilità di tutti gli enti vaticani. L’intento è molteplice: gestire meglio i beni temporali della Chiesa, razionalizzare le spese (anche per garantire che siano davvero a favore dei poveri e della missione evangelizzatrice della Chiesa), consentire un’efficace programmazione, garantire la trasparenza.

La nascita della Spe ha determinato un conflitto interno con l’Apsa, l’amministrazione del patrimonio della Sede apostolica. Dopo mesi di discussioni, nel luglio 2016 Francesco ha stabilito che all’Apsa resta l’amministrazione del patrimonio mobiliare e immobiliare della Santa Sede,  mentre la Spe si occupa della vigilanza e del controllo.

Anche in seguito ai conflitti interni, Francesco scrive: «Precisando quanto stabilito e modificando quanto appare necessario emendare, intendo ribadire la direttiva fondamentale che è necessario separare in maniera netta e inequivocabile la gestione diretta del patrimonio dal controllo e vigilanza sull’attività di gestione. A tale scopo è della massima importanza che gli organismi di vigilanza siano separati da quelli vigilati».

Insomma, chi gestisce i beni non può anche controllare, e viceversa.

E in caso di contrasti? Il papa prevede che eventuali questioni  «saranno sottoposte alle decisioni di un mio delegato, affiancato da collaboratori».

Con lo stesso provvedimento il papa tiene a sottolineare che i beni temporali in possesso della Chiesa devono essere destinati al culto divino, al sostentamento del clero, all’apostolato e alle opere di carità, «specialmente a servizio dei poveri»: è di fondamentale importanza, sottolinea Francesco, «la responsabilità di porre la massima attenzione affinché l’amministrazione delle proprie risorse economiche sia sempre al servizio di tali fini».

Con il compito di sorvegliare sulla gestione economica e di vigilare sulle strutture e sulle attività amministrative e finanziarie dei dicasteri della curia romana e delle istituzioni collegate con la Santa Sede e dello Stato della Città del Vaticano, il papa ha inoltre istituito il Consiglio per l’economia,  che sostituisce il Consiglio dei cardinali per lo studio dei problemi economici ed organizzativi della Santa Sede, il cosiddetto Consiglio dei  quindici, voluto da Giovanni Paolo II per approvare i bilanci.

Anche il Consiglio per l’economia è formato da quindici membri, ma otto sono scelti tra  cardinali e vescovi, così da rispecchiare  l’universalità della Chiesa, e altri sette (e questa è una novità) tra laici di varie nazionalità con competenze finanziarie e riconosciuta professionalità.

E lo Ior?

Per quanto riguarda lo Ior, il Papa ha confermato la missione dell’Istituto: fornire servizi finanziari specializzati alla Chiesa cattolica in tutto il mondo. I bilanci dell’Istituto oggi sono pubblici e controllati.

L’esercizio 2015 si è chiuso con un utile netto decisamente inferiore rispetto all’anno precedente, (16,1 milioni di euro contro 69,3 milioni) mentre è continuata l’operazione di pulizia dei conti correnti (alcuni sospetti, altri dormienti), che ha portato all’annullamento in tre anni di quasi cinquemila rapporti con clienti.

Santità meno cara

Francesco ha poi voluto mettere ordine nei costi per le cause di beatificazione e canonizzazione. Consapevole del fatto che le cause «per la loro complessità richiedono molto lavoro, comportano spese per la divulgazione della conoscenza della figura del Servo di Dio o Beato, per l’inchiesta diocesana o eparchiale, per la fase romana e, infine, per le celebrazioni di beatificazione o canonizzazione», ha deciso che per quanto riguarda la fase romana sarà la Santa Sede a sostenere i costi, «a cui gli Attori partecipano tramite un contributo». Inoltre ci sarà una costante opera di vigilanza «perché gli onorari e le spese siano contenuti e tali da non ostacolarne il proseguimento».

Qualche anno fa un’inchiesta del Catholic News Service, agenzia stampa della conferenza episcopale degli Stati Uniti, rivelò che una causa di canonizzazione – dai primi passi fino alla messa a San Pietro – poteva costare sui 250 mila dollari.

Lotta alla pedofilia

Infine è da sottolineare la stretta decisa da Francesco a carico dei vescovi colpevoli di insabbiamento di casi di pedofilia e abuso.

Il vescovo, stabilisce il papa, può essere legittimamente rimosso dal suo incarico se, con il suo comportamento negligente, provoca un danno grave (fisico, morale, spirituale o patrimoniale) a persone fisiche o comunità.

Sulla stessa linea di rigore si pone la nascita della Commissione per la tutela dei minori, della quale fanno parte due persone abusate quando erano bambine.

Un piano in evoluzione

Francesco ha dunque avviato un vastissimo piano di riforma, tuttora in evoluzione. Anziché procedere per settori successivi, ha voluto intervenire contemporaneamente in tutti i campi. Secondo alcuni osservatori, può nascere l’impressione che manchi un disegno complessivo, una strategia di largo respiro, e che la logica sia stata finora quella di far fronte alle emergenze. Un modo di procedere che non di rado ha portato a conflitti tra organismi e uffici. Ma forse tutto ciò è inevitabile quando si mette mano a una riforma così ampia.

Aldo Maria Valli

 

 

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