In occasione del viaggio di Francesco a Fatima c’è stato un rinnovato interesse per le rivelazioni della Vergine ai tre pastorelli e per il contenuto dei segreti. Stando al libro di Georges Roche e Philippe Saint Germain «Pie XII devant l’histoire», nel 1933, sedici anni dopo le apparizioni, il futuro papa Pio XII, allora cardinale Eugenio Pacelli, segretario di Stato di Papa Pio XI, parlò di Fatima con il suo amico conte Enrico Pietro Galeazzi e disse che si trattava di un avvertimento contro il «suicidio» della Chiesa cattolica che sarebbe avvenuto mediante la distruzione della liturgia e l’alterazione della fede.
Ecco le parole del cardinale Pacelli: «Supponiamo, caro amico, che il comunismo fosse solo uno degli strumenti più evidenti di sovversione usati contro la Chiesa e le tradizioni della Rivelazione divina… Sono preoccupato per il messaggio che ha dato la Beata Vergine a Lucia di Fatima. Questo insistere da parte di Maria sui pericoli che minacciano la Chiesa è un avvertimento divino contro il suicidio di alterare la Fede, nella sua liturgia, la sua teologia e la sua anima… Sento tutto intorno a me questi innovatori che desiderano smantellare la Sacra Cappella, distruggere la fiamma universale della Chiesa, rigettare i suoi ornamenti e farla sentire in colpa per il suo passato storico… Verrà un giorno in cui il mondo civilizzato negherà il proprio Dio, quando la Chiesa dubiterà come dubitò Pietro. Sarà allora tentata in credere che l’uomo è diventato Dio… Nelle nostre chiese i cristiani cercheranno invano la lampada rossa dove Dio li aspetta. Come Maria Maddalena, in lacrime dinanzi alla tomba vuota, si chiederanno: “Dove Lo hanno portato?”».
Il cardinale Pacelli accenna anche alle Chiese dei paesi meno sviluppati, quelle dell’Africa e dell’Asia, e dice che una possibile salvezza verrà proprio da lì, dai preti provenienti da culture meno contaminate dal modernismo.
Circa l’autenticità delle parole rivolte all’amico dal futuro Pio XII non ci sono prove inconfutabili. In ogni caso il loro contenuto fa pensare, e qualche osservatore non esista a definirlo profetico.
Per quanto mi riguarda, rileggendo l’ammonimento di Pacelli ho avvertito il desiderio di fare un’altra rilettura. Si tratta di quanto Benedetto XVI disse davanti ai giornalisti l’11 maggio 2010 durante il volo verso Fatima, nel decimo anniversario della beatificazione dei pastorelli Giacinta e Francesco.
Il direttore della Sala stampa della Santa Sede, padre Federico Lombardi, pose la seguente domanda: «Santità, quale significato hanno oggi per noi le apparizioni di Fatima? Quando lei presentò il testo del terzo segreto nella Sala stampa vaticana, nel giugno 2000, c’erano diversi di noi e altri colleghi di allora, e le fu chiesto se il messaggio poteva essere esteso, al di là dell’attentato a Giovanni Paolo II, anche alle altre sofferenze dei Papi. È possibile, secondo lei, inquadrare anche in quella visione le sofferenze della Chiesa di oggi, per i peccati degli abusi sessuali sui minori?».
Ed ecco la risposta del papa: «Innanzitutto vorrei esprimere la mia gioia di andare a Fatima, di pregare davanti alla Madonna di Fatima, che per noi è un segno della presenza della fede, che proprio dai piccoli nasce una nuova forza della fede, che non si riduce ai piccoli, ma che ha un messaggio per tutto il mondo e tocca la storia proprio nel suo presente e illumina questa storia. Nel 2000, nella presentazione, avevo detto che un’apparizione, cioè un impulso soprannaturale, non viene solo dall’immaginazione della persona, ma in realtà dalla Vergine Maria, dal soprannaturale, che un tale impulso entra in un soggetto e si esprime nelle possibilità del soggetto. Il soggetto è determinato dalle sue condizioni storiche, personali, temperamentali, e quindi traduce il grande impulso soprannaturale nelle sue possibilità di vedere, di immaginare, di esprimere, ma in queste espressioni, formate dal soggetto, si nasconde un contenuto che va oltre, più profondo, e solo nel corso della storia possiamo vedere tutta la profondità, che era – diciamo – “vestita” in questa visione possibile alle persone concrete. Così direi, anche qui, oltre questa grande visione della sofferenza del Papa, che possiamo in prima istanza riferire a Papa Giovanni Paolo II, sono indicate realtà del futuro della Chiesa che man mano si sviluppano e si mostrano. Perciò è vero che, oltre il momento indicato nella visione, si parla, si vede la necessità di una passione della Chiesa, che naturalmente si riflette nella persona del Papa, ma il Papa sta per la Chiesa e quindi sono sofferenze della Chiesa che si annunciano. Il Signore ci ha detto che la Chiesa sarebbe stata sempre sofferente, in modi diversi, fino alla fine del mondo. L’importante è che il messaggio, la risposta di Fatima, sostanzialmente non va a devozioni particolari, ma proprio alla risposta fondamentale, cioè conversione permanente, penitenza, preghiera, e le tre virtù teologali: fede, speranza e carità. Così vediamo qui la vera e fondamentale risposta che la Chiesa deve dare, che noi, ogni singolo, dobbiamo dare in questa situazione. Quanto alle novità che possiamo oggi scoprire in questo messaggio, vi è anche il fatto che non solo da fuori vengono attacchi al Papa e alla Chiesa, ma le sofferenze della Chiesa vengono proprio dall’interno della Chiesa, dal peccato che esiste nella Chiesa. Anche questo si è sempre saputo, ma oggi lo vediamo in modo realmente terrificante: che la più grande persecuzione della Chiesa non viene dai nemici fuori, ma nasce dal peccato nella Chiesa e che la Chiesa quindi ha profondo bisogno di ri-imparare la penitenza, di accettare la purificazione, di imparare da una parte il perdono, ma anche la necessità della giustizia. Il perdono non sostituisce la giustizia. Con una parola, dobbiamo ri-imparare proprio questo essenziale: la conversione, la preghiera, la penitenza e le virtù teologali. Così rispondiamo, siamo realisti nell’attenderci che sempre il male attacca, attacca dall’interno e dall’esterno, ma che sempre anche le forze del bene sono presenti e che, alla fine, il Signore è più forte del male, e la Madonna per noi è la garanzia visibile, materna della bontà di Dio, che è sempre l’ultima parola nella storia».
In quel periodo, nel 2010, si era nel pieno dell’attacco alla Chiesa, e in particolare a papa Ratzinger, per i casi di preti responsabili di abusi sessuali su minori, tanto è vero che lo stesso padre Lombardi, nella domanda, vi fece riferimento. Tutti noi cronisti, di conseguenza, quando Benedetto XVI accennò alla persecuzione che non viene soltanto dall’esterno, ma anche dall’interno della Chiesa, pensammo automaticamente alla pedofilia ed ai processi in corso a carico di preti e vescovi, sia per responsabilità diretta sia per omessa denuncia, in varie parti del mondo. Bisogna tuttavia considerare che il papa, parlando del peccato che esiste nella Chiesa, non fece un riferimento diretto a quelle vicende. Certamente le aveva in mente, e certamente le sue parole si riferivano anche alla pedofilia, ma non soltanto a quella. L’infedeltà può manifestarsi in tante forme. Trovo quindi che ci sia un collegamento ben visibile tra le considerazioni del cardinale Pacelli nel 1933 e quelle di Benedetto XVI nel 2010, perché in entrambi i casi il tema è la Chiesa e la sua fedeltà.
Lungo questa linea di riflessione, viene spontaneo ricordare anche ciò che la rivista tedesca «Stimme des Glaubins» scrisse nel 1981 circa un incontro avvenuto tra Giovanni Paolo II ed un gruppo di cattolici tedeschi nel novembre del 1980, durante il viaggio di Wojtyła a Fulda.
A una domanda su Fatima e sul terzo segreto, il papa fece accenno a possibili catastrofi naturali, disse che comunque la medicina contro tutti i mali è il rosario e infine, sul futuro della Chiesa, dichiarò: «Dobbiamo prepararci ad affrontare fra non molto grandi prove, le quali potranno richiedere persino il sacrificio della nostra vita e la nostra totale donazione a Cristo e per Cristo… Con la vostra e la mia preghiera sarà possibile mitigare queste tribolazioni, ma non è più possibile evitarle, perché un vero rinnovamento nella Chiesa potrà avvenire solo in questo modo. Quante volte già il rinnovamento della Chiesa è scaturito dal sangue! Neppure questa volta sarà diverso. Dobbiamo essere forti e preparati, confidare in Cristo ed in sua Madre, e recitare molto, molto assiduamente la preghiera del Santo Rosario».
Nel 1980, quando parlò a Fulda, Karol Wojtyła non era ancora stato colpito da Alì Agca, perché l’attentato avvenne il 13 maggio 1981, però parlò di grandi prove, di rischio per la vita e della necessità di essere preparati.
Sempre a Fulda, in quel novembre del 1980, nell’omelia della messa celebrata per i sacerdoti e i seminaristi, Giovanni Paolo II disse fra l’altro che il pastore deve vegliare e vigilare: «Il servizio dunque è questo: essere svegli per il ritorno del Signore». Poiché «il bene che ci è affidato è infinitamente prezioso», il dovere primario dei pastori è di «affondare sempre più le radici della nostra fede, della nostra speranza e della nostra carità “nelle grandi opere di Dio” (At 2,11)».
Essere svegli per il ritorno del Signore, vegliare, vigilare, pregare, al servizio di un bene infinitamente prezioso, affondando sempre più le radici della fede nelle opere non dell’uomo, ma di Dio.
Alla fin fine, questo dice Fatima. Un messaggio sempre attuale. Più che mai attuale.
Aldo Maria Valli