Trentaquattro anni fa spariva nel nulla Emanuela Orlandi, quindicenne cittadina vaticana figlia di un commesso della Prefettura della casa pontificia. Da allora di lei non si è saputo più niente, così come per un’altra giovane scomparsa in quel periodo, Mirella Gregori. Le indagini penali sul caso Orlandi si sono chiuse definitivamente nel maggio dello scorso anno, quando la Cassazione, recependo le conclusioni della Procura di Roma, ha archiviato il procedimento.
Ma ora Pietro Orlandi, il fratello di Emanuela, torna alla carica. Attraverso due avvocati, Annamaria Bernardini De Pace e Laura Sgrò, ha infatti presentato istanza di accesso agli atti conservati in Vaticano. Inoltre chiede un’audizione con il segretario di Stato della Santa Sede, il cardinale Pietro Parolin, per ricostruire in che modo il Vaticano ha seguito l’intera vicenda. Per la prima volta, dunque, una richiesta formale è stata inoltrata alle autorità vaticane, e nella richiesta si parla esplicitamente di un dossier sul caso di Emanuela custodito nei sacri palazzi.
L’esistenza del dossier sarebbe emersa nel corso del processo Vatileaks sulla fuga di documenti dal Vaticano. Pietro Orlandi, in proposito, non può dire di più, ma spiega che nel dossier potrebbero esserci elementi nuovi e decisivi per arrivare alla verità sulla scomparsa di Emanuela.
Di questo nuovo spiraglio parliamo proprio con Pietro, che anche quest’anno, in occasione dell’anniversario della scomparsa della sorella, ha organizzato una manifestazione nei pressi di via della Conciliazione.
Pietro, si parla di fatti nuovi. In che cosa consistono precisamente?
Direi che siamo a un cambio di marcia. Finora tutte le richieste al Vaticano sono state fatte da noi come famiglia Orlandi, e non c’è mai stata risposta. La Procura, come si sa, dal canto suo ha rinunciato a cercare la verità ed ha archiviato. Così ci siamo affidati a due avvocati che hanno svolto indagini e hanno presentato un’istanza al Vaticano. Abbiamo la certezza che esistano carte e documenti che la Procura non ha mai ricevuto. Gli avvocati chiedono dunque un incontro con il cardinale Parolin, segretario di Stato della Santa Sede, per confrontare gli elementi noti e quelli ancora sconosciuti. Papa Francesco ha detto più volte che bisogna costruire ponti e non innalzare muri. Io vorrei che questo principio fosse applicato al caso di mia sorella Emanuela, per il bene di tutti: della nostra famiglia e anche del Vaticano.
Tuttavia monsignor Angelo Becciu, sostituto per gli affari generali della segreteria di Stato e dunque numero tre della gerarchia vaticana dopo il papa e il cardinale Parolin, ha fatto subito sapere che per loro il caso è chiuso…
Ecco, io non so proprio come possa dirlo. Se per loro il caso è chiuso vuol dire che sono giunti a una conclusione, ma se sono giunti a una conclusione vuol dire che sanno qualcosa che noi non sappiamo. Non sarebbe giusto mettere al corrente anche noi? Abbiamo la certezza, lo ripeto, che esistano documenti mai visti e mai presi in esame dagli inquirenti. L’azione legale nasce da qui. In Vaticano c’è un fascicolo, chiamato “Rapporto Emanuela Orlandi”, che nel 2012 stava sul tavolo della segreteria di Benedetto XVI.
Con il cardinale Parolin ci sono stati contatti?
Sì, l’ho visto diverse volte e ho trovato una persona sempre molto disponibile. Mi ha detto che la questione è molto complicata. Dunque il caso non è chiuso. Ho molta fiducia in lui e spero che incontrerà il nostro avvocato quanto prima.
La lettera scritta a papa Francesco tempo fa ha avuto un riscontro?
Purtroppo no. Sebbene sia stata firmata da circa quarantamila persone, non ha avuto risposta. Con papa Francesco ho parlato una volta sola, nel 2013, subito dopo la sua elezione, quando, durante un rapido incontro dopo la messa celebrata nella parrocchia di Sant’Anna, mi disse: “Emanuela è in cielo”. È un’affermazione pesante. Se il papa dice così significa che possiede elementi sicuri. E in quel periodo l’inchiesta era ancora aperta. Da allora ho chiesto tante volte di incontrarlo, ma senza risultato. Mi dispiace, perché speravo che con lui ci fosse una svolta dopo tanti anni di chiusure e silenzi.
A che cosa porterà, realisticamente, l’istanza presentata?
Mi auguro con tutto il cuore che ci possa essere l’incontro tra l’avvocato e il cardinale Parolin: sarebbe molto importante. Ci sono elementi che devono essere valutati insieme. Dopo trentaquattro anni è arrivato il momento di collaborare. In Vaticano ci sono carte che vanno valutate. Tanto per fare un esempio, per loro stessa ammissione dal luglio al settembre del 1983 ci furono telefonate in arrivo in Vaticano. Vogliamo sapere da parte di chi, con quali contenuti. C’è tanto ancora da scoprire e il Vaticano non può continuare ad alzare una cortina fumogena. Ne va della sua stessa credibilità. Come scrivo nella lettera a Francesco, abbiamo il diritto di conoscere la verità contenuta in quei documenti. Se sulla scomparsa di Emanuela fu posto il segreto pontificio, chiediamo che siano sciolti i sigilli. Non possono esistere segreti del genere in uno Stato che si erge a centro della cristianità. Ostacolare la verità e la giustizia è contrario alle parole e agli insegnamenti di Gesù. Papa Francesco chiede spesso alle persone di non lasciarsi rubare la speranza. È proprio ciò che io farò sempre: non mi lascerò mai rubare la speranza di arrivare alla verità su Emanuela.
Aldo Maria Valli