«Guarda qui!».
Quando Santa Subito dice così vuol dire che mi sta dando un compito. C’è qualcosa che devo leggere. Ma questa volta l’invito va preso alla lettera. Effettivamente, più che da leggere c’è da guardare.
È l’ultimo numero di un settimanale cattolico, tutto dedicato al «Catechismo della Chiesa Cattolica» in occasione della nuova edizione presentata da papa Francesco.
E allora?
Santa Subito apre la rivista e mi mostra il dossier dedicato all’argomento. Che sotto il titolo «Il Catechismo nella vita della Chiesa» propone tre dipinti di Lucas Cranach il Vecchio, pittore luterano del Cinquecento. E in due dei dipinti compare proprio lui, Lutero
Santa Subito mi guarda e fa: «No dico, Lutero! Era proprio necessario?».
Capisco lo sconcerto. Forse si poteva mettere qualcosa di relativo a san Pio V, che pubblicò il Catechismo Romano uscito dal Concilio di Trento. O anche qualcosa su san Pio X, che volle per la diocesi di Roma un Catechismo Maggiore poi diffuso ovunque. Ma in fondo, replico a Santa Subito, Lutero scrisse ben due Catechismi, il Grande e il Piccolo, e quindi può anche starci.
In realtà, la presenza di immagini di Lucas Cranach il Vecchio raffiguranti Lutero mi spinge a un altro tipo di riflessione. Che riguarda il clima di celebrazione che in molti ambienti cattolici si è respirato in questo 2017, a cinquecento anni dalla Riforma. Un clima che in certi casi ha preso l’aspetto di una sorta di canonizzazione di Lutero, ma al prezzo di distorcere la storia.
Prendiamo in considerazione una questione che sta molto a cuore a papa Francesco e che è proprio collegata al Catechismo: la pena di morte.
Presentando il nuovo Catechismo commentato, il papa, di fronte al Pontificio consiglio per la nuova evangelizzazione, ha espresso una forte presa di posizione contro la pena capitale, che nell’attuale Catechismo è ancora prevista come «extrema ratio» mentre secondo Francesco è sempre inammissibile.
Bene, torniamo a Lutero e a Lucas Cranach il Vecchio.
Partiamo proprio dal pittore. Il quale non era soltanto un artista. Infatti, eletto più volte nel consiglio cittadino di Wittenberg come tesoriere e sindaco, fu anche giudice, e proprio in questa veste, nel corso del 1540, comminò parecchie condanne a morte per decapitazione contro persone accusate di assassinio, magia nera e, soprattutto, stregoneria.
In quell’epoca, in effetti, i riformati si dimostrarono alquanto zelanti e, diciamo pure, spietati, nella caccia alle streghe, e nelle terre protestanti la persecuzione fu molto più dura di quanto avvenne tra i cattolici. Lutero stesso sostenne senza riserve la necessità di bruciare le donne considerate possedute («Con donne simili – scrisse – si dovrebbe andare per le spicce e suppliziarle»), e così Melantone e Calvino. Non a caso il maggior numero di esecuzioni di donne accusate di stregoneria fu in Scozia, in Germania e nel cantone di Vaud, tutte terre protestanti. E quando poi i protestanti colonizzarono l’America trasferirono oltreoceano la persecuzione, come testimonia il caso di Salem, nel Massachusetts, dove diciannove donne furono giustiziate. Bisogna aspettare il 1782 perché, in Svizzera, ci sia l’ultima esecuzione per stregoneria. E non dobbiamo dimenticare le brutalità contro le prostitute, perseguitate nelle terre protestanti con una crudeltà senza pari.
Tornando a Lutero, occorre ricordare con quanta violenza si scagliò anche contro le rivolte dei contadini, usando parole che furono un’esortazione all’omicidio sistematico: «Un uomo ribelle è al bando di Dio e dell’imperatore, cosicché chi per primo voglia ucciderlo agisce molto rettamente: contro chiunque sia sedizioso in modo manifesto ogni uomo è a un tempo giudice e carnefice. Per la qual cosa chiunque lo può colpire, scannare, massacrare in pubblico o in segreto, ponendo mente che nulla può esistere di più velenoso, nocivo e diabolico d’un sedizioso, proprio come si deve accoppare un cane arrabbiato, perché, se non lo ammazzi, esso ammazzerà te e con te tutto un paese. Per la qual cosa, cari signori, liberate, salvate, aiutate e abbiate misericordia della povera gente; ma ferisca, scanni e strangoli chi lo può; e se ciò facendo troverai la morte, te felice, morte più beata giammai potresti incontrare, perché muori in obbedienza alla parola ed al volere di Dio e al servizio della carità, per salvare il prossimo tuo dall’inferno e dai lacci del demonio» (da «Contro le empie e scellerate bande dei contadini»).
Disobbedire al potere civile è per Lutero un peccato che merita la morte. Contro il pericolo della sovversione e dell’anarchia occorre reprimere senza pietà, tanto che è proprio il religioso a insegnare all’autorità civile la necessità di impugnare la spada: «Non è ora il tempo di dormire o di usare pazienza o misericordia: questo è il tempo dell’ira e della spada, non quello della grazia […]. Dunque l’autorità proceda di buon animo e colpisca con buona coscienza finché le resta un filo di vita; essa può vantare a suo credito l’avere i contadini dalla loro una coscienza cattiva e una causa ingiusta, e qualunque d’essi venga per ciò ucciso, è perduto anima e corpo e in eterno è preda del demonio. Ma l’autorità ha buona coscienza e giusta causa dalla sua».
E vogliamo dimenticare le invettive di Lutero contro gli ebrei? C’è da restare sconvolti nel leggere le parole con le quali il monaco si scaglia contro di loro, esortando a incendiare le sinagoghe, abbattere le case, privarli dei libri religiosi, vietare ai rabbini di insegnare, privare gli ebrei di salvacondotti e di ogni tutela giuridica, sequestrare le loro ricchezze e obbligarli ai lavori manuali.
Certo, all’epoca non era soltanto Lutero a pensarla così, ma certamente Lutero si segnala per il fervore, tanto che i luterani stessi riconoscono che circa questo problema il Grande Riformatore non riformò nulla, ma contribuì a rafforzare e diffondere pregiudizi dalle conseguenze devastanti. Fu pienamente uomo del suo tempo, ma non si può ignorare che si comportò da autentico retrivo, senza mai sottoporre le fonti a valutazione critica e abbracciando le posizioni più intolleranti.
A scanso di equivoci lo ripeto: i luterani in seguito hanno chiaramente preso le distanze da certe idee del loro fondatore, esprimendo più volte la contrarietà alla pena di morte, così come all’antiebraismo di Lutero. D’altra parte, per restare alla pena di morte, noi cattolici possiamo ricordare, per esempio, che san Tommaso la ammette in alcuni casi (argomentando che non solo è lecito, ma doveroso estirpare un membro malato per salvare il corpo intero) e che nello Stato pontificio essa fu praticata fino al 1870. Il punto che voglio sottolineare qui non è questo.
Il punto è che siccome a proposito di Lutero e luteranesimo, nel corso del 2017, a cinquecento anni dalla Riforma, ci è stato detto e ripetuto fino alla noia che da quel mondo e da quella spiritualità arrivano, per noi cattolici, sollecitazioni alla «purificazione», perché Lutero sarebbe stato una «medicina» per la Chiesa, ecco: ricordare, almeno ogni tanto, la realtà dei fatti storici non sembra del tutto inutile.
Aldo Maria Valli