Credetemi. Non è mica facile vivere con una santa. Prendiamo il caso di Santa Subito. Che quando dice «ci sarebbe», devo incominciare a tremare. Perché dopo il «ci sarebbe» arriva implacabile «un lavoretto». E io so che il «lavoretto» mi tocca, senza se e senza ma.
Ora, Santa Subito è, oltre che buona, infinitamente fiduciosa. Sebbene il sottoscritto, nel corso di una convivenza ormai ultratrentennale, abbia dimostrato di non saper fare assolutamente nulla, lei non si dà per vinta. Così, il «ci sarebbe un lavoretto» torna puntuale ogni volta che ho il giorno libero e già mi pregusto la gioia di leggere e scrivere.
Inutile aggiungere che se il «lavoretto» è di ordine tecnico-manuale (che so, aggiustare un interruttore elettrico, riparare la cinghia della tapparella, dare l’olio alle cigolanti maniglie delle porte), l’impresa si risolve per me in un totale fallimento. Al che è lei stessa, Santa Subito in persona, a intervenire misericordiosamente in soccorso («Lascia perdere, dai qua») risolvendo il tutto. Perché lei, in effetti, oltre a essere buona e misericordiosa, sa fare tutto.
Quanto a me, non mi resta che tornare alla scrivania per riprendere a leggere e scrivere, in attesa che un «ci sarebbe…» risuoni di nuovo, sottraendomi al mio mondo di sogni e restituendomi alla dura realtà.
Nel lungo elenco di lavoretti che Santa Subito mi sottopone ce n’è tuttavia uno che, bene o male, si è incredibilmente dimostrato alla mia portata: andare a fare la spesa al supermarket sotto casa.
Per quanto sulle prime mi sia sforzato di apparire svogliato, per non dire renitente, Santa Subito, che è anche caparbia, ha saputo insistere, facendo di me un discreto inviato in quel mondo strano e un po’ inquietante. A volte, è vero, sono riuscito a perdere la lista della spesa (un post- it verde sul quale Santa Subito elenca le cose da comperare e che poi il sottoscritto, da bravo scolaretto, appiccica al manubrio del carrello così da poterlo tenere sott’occhio). Altre volte mi sono lasciato abbindolare dal venditore della porchetta acquistandone quantità esorbitanti. E altre volte ancora ho comperato l’ammorbidente sbagliato. Ma, se si eccettuano questi e pochi altri inevitabili incidenti di percorso, tutto sommato Santa Subito ha saputo fare di me un discreto inviato.
Bisogna però considerare che anche un inviato piuttosto esperto rischia grosso quando il giorno dell’impresa è il 30 dicembre.
Che la faccenda si presenti complicata uno lo capisce fin dal parcheggio, dove non c’è un solo posto per piazzare la macchina, le vetture girano vorticosamente come in un autoscontro impazzito e due distinti signori si stanno insultando per una questione di precedenza.
Poi si tratta di conquistare un carrello, e qui si può lavorare d’astuzia, andando a prenderlo nel deposito secondario, quello un po’ defilato, sconosciuto ai più.
Nulla può comunque evitarti di fare ingresso nell’affollatissimo supermercato, rutilante regno del consumismo, e di imbatterti nel nemico di sempre: il popolo dei pensionati!
Sarò sincero. Per natura penso di essere una personcina pacata, perfino accomodante, ma quando c’è da scendere in battaglia contro il popolo dei pensionati cambio pelle e divento un esempio di scaltrezza. Specie in un giorno di ressa indescrivibile.
Per prima cosa, nonostante gli occhi abbagliati dai neon, stabilisco il percorso e mi faccio una mappa mentale calcolando i tempi. I pensionati in questo tipo di pianificazione sono abili ed è difficile sconfiggerli. Ore e ore di allenamento e di sopralluoghi hanno fatto di loro autentici virtuosi degli spostamenti fra i reparti, ma anch’io mi sono addestrato.
L’ostacolo numero uno è il reparto frutta e verdura, dove si tratta di applicare l’«aggiramento alla Valdez» (dimenticavo di dire che durante queste prove assumo il mio nome di battaglia), che consiste nel fingere di portarsi verso le insalate per poi dirigersi repentinamente in direzione della frutta secca. Solo così quell’insidiosa area, popolata da numerosissimi pensionati, può essere attraversata senza subire danni. Ma a una condizione: non li devi mai guardare negli occhi!
Se infatti, per innato altruismo o distrazione, rivolgi lo sguardo verso il pensionato, lui non ha pietà. L’ho potuto verificare per l’ennesima volta davanti al banco dei peperoni: ne era rimasto uno solo, rosso e lucido, e lo stavo agguantando, quand’ecco che il pensionato si è rivolto a me con fare suadente: «Scusi, signore», e lì ho commesso l’errore di incrociare il suo sguardo. Se l’avessi ignorato, abbandonando il pensionato, come meritava, al suo destino, avrei preso il mio bel peperone e me ne sarei andato felice. Invece, avendolo guardato in quegli occhietti pieni di finta mestizia, mi sono lasciato irretire. «Scusi, signore – ha dunque detto l’infido pensionato – siccome non ci vedo, potrebbe pesare per me queste carote?». Naturalmente l’ho fatto, e mentre io pesavo le carote ecco che lui, il serpentesco pensionato, ha acchiappato il peperone superstite lasciandomi con un palmo di naso. E, mentre gli consegnavo il sacchetto delle carote, ha pure avuto il coraggio di sibilare: «Grazie, molto gentile!».
Dunque, uno a zero per il popolo dei pensionati. E non ero neppure arrivato al vero banco di prova: il panettiere!
È qui infatti che il gioco si fa più duro, a incominciare dalla faccenda del numeretto da prelevare dall’apposita macchinetta. Operazione che mi premuro di eseguire il prima possibile, prima ancora di prendere il latte e di cercare il mascarpone, così da guadagnare un certo vantaggio.
Dunque, eccomi col mio numeretto in mano, il settantasette, mentre il panettiere sta ancora chiamando il settantadue. Un buon margine, perfetto! Ma improvvisamente spunta lei, l’arcinemica, la pensionata. E qui, di nuovo, come un vero principiante, commetto l’errore fatale: la guardo negli occhi. E la perfida, di rimando: «Scusi, signore, lei che è così alto, mi prenderebbe la scatola dei piselli?».
Che fare? Ignorare la richiesta, lasciare la pensionata senza piselli e aspettare che il panettiere chiami il settantasette, oppure compiere quest’atto di carità?
Dopo un rapido calcolo, penso di avere il tempo di slanciarmi nell’acchiappo dei piselli salvaguardando la prenotazione dal panettiere, ma ecco che, mentre sto lì con la mano tesa verso il barattolo posto sullo scaffale più elevato, sento risuonare nell’aria il fatale richiamo: «Settantasetteeee!». Disgrazia, disdetta, sciagura! E, oltre al danno, la beffa. Perché, visto che io, impegnato a raggiungere i piselli, non posso rispondere alla chiamata, è proprio lei, la scaltra pensionata, a proclamare con finta innocenza di fronte al panettiere: «Il settantasette non c’è, tocca a me, settantotto. Mi dia un filoncino, bello morbido, grazie».
Se fossimo in un fumetto, a questo punto non potrei far altro che esclamare «Sgrunf!», che sarebbe un grugnito, espressione di malumore e sconfitta. Ma c’è un’ultima prova da superare: la fila alla cassa!
Prova alla quale, devo ammetterlo, arrivo stremato. Non solo e non tanto a causa del popolo dei pensionati, che nel frattempo si è fatto ancor più pervasivo, ma per via del polpo. Direte: che c’entra il polpo? C’entra, eccome.
Dovete sapere che Santa Subito nella lista delle cose da acquistare inserisce di tanto in tanto prodotti che vanno ben al di là delle mie capacità di individuazione. Credo lo faccia per il mio bene, per rendermi sempre più reattivo e competitivo. Così, nel tempo, ho imparato a individuare tutte quelle cose che non si sa bene dove stiano di casa, tipo lo zucchero, il sale, il riso arborio, le olive taggiasche, perfino le pastiglie per la lavastoviglie. E oggi, a sorpresa, ecco un’altra prova: il polpo, appunto.
Il quale polpo, secondo logica, dovrebbe trovarsi al banco del pesce. Il che, di per sé, mi obbligherebbe a una pericolosa deviazione, verso un territorio nel quale alcuni pensionati, per quanto rari, compiono agguati particolarmente efferati. Ma, dopo il nome «polpo», Santa Subito ha messo un asterisco. Dice: surgelato. Ah! Si tratta allora di intraprendere un cammino ben diverso, nella direzione esattamente opposta.
Bene, dopo aver resistito alla tentazione di fare incetta di birre e dopo aver superato una serie di corridoi e incroci presidiati da pensionati disposti a tutto, eccomi finalmente davanti ai surgelati, settore pesce. È fatta, direte voi. E invece no. Perché un conto è dire «pesce» e un conto è trovare il polpo.
Ora, immaginate di avere di fronte una specie di enorme tavolozza multicolore, dove ogni macchia corrisponde a un prodotto: aragoste, astici, crostacei, calamari dell’Atlantico, calamari californiani, calamari del Marocco, calamari del Pacifico, calamari indiani, code di gamberi, code di gamberetti, gamberetti boreali, gamberi argentini, gamberi rosa, mazzancolle, code di scampi irlandesi, code di scampi scozzesi, filetti di stoccafisso, cuori di nasello, filetti di halibut, filetti di ombrina, filetti di merluzzo, branzini, dentici, secondi piatti già pronti, calamari, totani… E immaginate di dover individuare, in mezzo a questo inestricabile groviglio ittico, il maledetto polpo!
Come si fa? Semplice: si stipula un momentaneo armistizio e si chiede alla prima pensionata di passaggio. La quale dirà trionfante, come in effetti sta dicendo ora: «E che ci vuole? Eccolo qui, caro signore».
Già, eccolo qui il polpo malefico, in grado di sottrarsi alle più sofisticate tecniche di ricerca.
Neanche il tempo di infilare il polpo nel carrello ed è già il momento della cassa: la prova delle prove, la madre di tutte le battaglie.
Le file sono ovviamente interminabili e i pensionati ovunque. Decido di affidarmi al caso: mi metto in coda davanti a quella più vicina ai surgelati. Quand’ecco che la pensionata di cui sopra compare come dal nulla, alle mie spalle, e con voce melodiosa e sguardo carezzevole mi fa: «Le spiace se passo avanti? Vedo che lei ha il carrello bello pieno, invece io, guardi, ho poche cose…».
Che fare? Negare un favore alla pensionata che ti ha aiutato col malefico polpo? Impossibile.
«Passi pure, signora». E, guardandola negli occhi, mi accorgo che da quelle pupille giunge una luce agghiacciante, come da aliena.
Eccomi alla fine dell’avventura. Non mi resta che pagare e salutare l’amico commesso. Eppure un brivido mi corre ancora lungo la schiena. Poi, mentre percorro a grandi passi il parcheggio (dove la guerriglia impazza più che mai) e medito su un altro anno che sta svanendo, un dubbio insopportabile si insinua nella mia mente: avrò preso il polpo giusto?
Aldo Maria Valli