«Se vuoi entrare nella vita, osserva i comandamenti»
Mt 19,17
«Conoscerete la verità e la verità vi farà liberi»
Gv 8,32
«Purché questa libertà non divenga pretesto per vivere secondo la carne»
Gal 5,13
Prima o poi ci si doveva arrivare. E infatti ci siamo arrivati. Don Maurizio Chiodi, teologo moralista e neo-membro ordinario della Pontificia accademia della vita, recentemente rinnovata da papa Francesco, ha sostenuto che in alcune circostanze la contraccezione non è solo consentita, ma necessaria. Le dichiarazioni di Chiodi sono arrivate durante il suo intervento del 14 dicembre 2017 all’Università Gregoriana di Roma nell’ambito di un ciclo di lezioni pubbliche per i cinquant’anni dell’enciclica di Paolo VI «Humanae vitae».
Ha detto dunque don Chiodi: «Ci sono circostanze, mi riferisco ad “Amoris laetitia” capitolo VIII, che proprio per responsabilità richiedono la “contraccezione”».
«Rileggere “Humanae vitae” (1968) a partire da “Amoris laetitia” (2016)» è stato il titolo della relazione, nel corso della quale il professore ha spiegato: «La tecnica, in determinate circostanze, può consentire di custodire la qualità responsabile dell’atto coniugale anche nella decisione di non generare quando sussistano motivi plausibili per evitare il concepimento di un figlio. La tecnica, mi pare, non può essere rifiutata a priori quando è in gioco la nascita di un figlio, perché anche la tecnica è una forma dell’agire e quindi richiede un discernimento sulla base di criteri morali, irriducibili però a una interpretazione materiale della norma».
Come si vede, centrale è l’idea di «discernimento» utilizzata per mettere in discussione l’oggettività, l’universalità e la cogenza della norma morale.
Nell’«Humane vitae» Paolo VI definì la contraccezione contraria non solo all’apertura alla vita, ma anche all’amore coniugale, caratterizzato dall’inscindibilità dell’aspetto unitivo e procreativo. Di qui l’insegnamento di papa Montini: «In conformità con questi principi fondamentali della visione umana e cristiana sul matrimonio, dobbiamo ancora una volta dichiarare che è assolutamente da escludere, come via lecita per la regolazione delle nascite, l’interruzione diretta del processo generativo già iniziato, e soprattutto l’aborto diretto, anche se procurato per ragioni terapeutiche. È parimenti da condannare, come il magistero della Chiesa ha più volte dichiarato, la sterilizzazione diretta, sia perpetua che temporanea, tanto dell’uomo che della donna. È altresì esclusa ogni azione che, o in previsione dell’atto coniugale, o nel suo compimento, o nello sviluppo delle sue conseguenze naturali, si proponga, come scopo o come mezzo, di impedire la procreazione. Né, a giustificazione degli atti coniugali resi intenzionalmente infecondi, si possono invocare, come valide ragioni: che bisogna scegliere quel male che sembri meno grave o il fatto che tali atti costituirebbero un tutto con gli atti fecondi che furono posti o poi seguiranno, e quindi ne condividerebbero l’unica e identica bontà morale. In verità, se è lecito, talvolta, tollerare un minor male morale al fine di evitare un male maggiore o di promuovere un bene più grande, non è lecito, neppure per ragioni gravissime, fare il male affinché ne venga il bene, cioè fare oggetto di un atto positivo di volontà ciò che è intrinsecamente disordine e quindi indegno della persona umana, anche se nell’intento di salvaguardare o promuovere beni individuali, familiari o sociali. È quindi errore pensare che un atto coniugale, reso volutamente infecondo, e perciò intrinsecamente non onesto, possa essere coonestato [giustificato, ndr] dall’insieme di una vita coniugale feconda» («Humanae vitae», n. 14).
Non si può mai fare il male, neppure se si pensa che ne possa derivare un bene, insegna Paolo VI alla luce dell’eterno disegno di Dio. C’è un oggettività del male che non può essere in alcun modo aggirata. Ma ecco che don Chiodi contesta questo punto decisivo, sostenendo che «il compito della teologia morale di oggi, riprendendo le istanze conciliari di “Gaudium et spes” n. 16 e alla luce anche della svolta antropologica rahneriana», è «quello di affrontare una sfida per pensare una teoria della coscienza del soggetto morale che dimostri la forma morale e credente». Poiché, in questa prospettiva, «le norme morali non sono riducibili a una oggettività razionale, ma appartengono alla vicenda umana intesa come una storia di salvezza e di grazia», ecco che «la persona è chiamata alla dimensione del cammino, a discernere quel bene possibile che sfuggendo all’opposizione assoluta tra bene e male, bianco o nero dice “Amoris laetitia”, si fa carico delle circostanze a volte oscure e drammatiche».
Ora, se le norme morali, come dice Chiodi, «custodiscono il bene e istruiscono, ma sono storiche» e «non sono riducibili a una oggettività razionale», inevitabile è la conclusione che la scelta della contraccezione, in determinati casi, è possibile e perfino doverosa. Secondo Chiodi non ci sarebbe alcun cambiamento dottrinale, ma solo la necessità di un ripensamento della norma morale per « mostrarne il senso e la verità». Tuttavia è chiaro che lungo questa via quella che viene affermata, proprio come in «Amoris laetitia», è l’etica della situazione, rigettata non solo da «Humanae vitae» ma da tutto il magistero precedente e successivo, e in particolare da san Giovanni Paolo II in «Veritatis splendor», là dove il papa, respingendo la «concezione radicalmente soggettivista del giudizio morale» (n. 39), scrive: «Per giustificare simili posizioni, alcuni hanno proposto una sorta di duplice statuto della verità morale. Oltre al livello dottrinale e astratto, occorrerebbe riconoscere l’originalità di una certa considerazione esistenziale più concreta. Questa, tenendo conto delle circostanze e della situazione, potrebbe legittimamente fondare delle eccezioni alla regola generale e permettere così di compiere praticamente, con buona coscienza, ciò che è qualificato come intrinsecamente cattivo dalla legge morale. In tal modo si instaura in alcuni casi una separazione, o anche un’opposizione, tra la dottrina del precetto valido in generale e la norma della singola coscienza, che deciderebbe di fatto, in ultima istanza, del bene e del male. Su questa base si pretende di fondare la legittimità di soluzioni cosiddette “pastorali” contrarie agli insegnamenti del magistero e di giustificare un’ermeneutica “creatrice”, secondo la quale la coscienza morale non sarebbe affatto obbligata, in tutti i casi, da un precetto negativo particolare. Non vi è chi non colga che con queste impostazioni si trova messa in questione l’identità stessa della coscienza morale di fronte alla libertà dell’uomo e alla legge di Dio» (n. 56).
Leggiamo ancora da «Veritatis spledor»: «Se gli atti sono intrinsecamente cattivi, un’intenzione buona o circostanze particolari possono attenuarne la malizia, ma non possono sopprimerla: sono atti irrimediabilmente cattivi, per se stessi e in se stessi non sono ordinabili a Dio e al bene della persona: “Quanto agli atti che sono per se stessi dei peccati (cum iam opera ipsa peccata sunt) — scrive sant’Agostino —, come il furto, la fornicazione, la bestemmia, o altri atti simili, chi oserebbe affermare che, compiendoli per buoni motivi (causis bonis), non sarebbero più peccati o, conclusione ancora più assurda, che sarebbero peccati giustificati?» (n. 134).
Il professor Chiodi dunque, sostenendo che non esistono azioni umane che sono intrinsecamente sbagliate in tutte le circostanze e che di conseguenza la contraccezione è moralmente obbligatoria in determinate circostanze, contesta un insegnamento morale centrale della Chiesa cattolica e rigetta il magistero al centro non solo di «Humanae vitae», ma anche di «Familiaris consortio» e «Veritatis splendor».
Ma in tal modo, osserva il professor Josef Seifert (si veda «Professor Seifert Comments on Fr. Chiodi’s “Re-Reading of Humanae Vitae”», in www.onepeterfive.com) Chiodi propone posizioni filosofiche ed etiche «profondamente errate e totalmente distruttive non solo dell’insegnamento morale della Chiesa cattolica, ma anche dell’essenza della moralità», perché assoggettate al relativismo storico e all’etica della situazione.
Come nota Seifert, affermando che le norme della legge naturale sono storiche si mette in discussione alla radice il valore eterno e universale della norma morale e si apre la via al dominio dell’uomo sull’uomo.
A proposito di contraccezione, il vecchio argomento utilizzato già cinquant’anni fa dai critici di «Humane vitae» sostiene che una grande percentuale di sposi cattolici pratica abitualmente la contraccezione e non accetta la norma indicata dalla Chiesa. Tanto è vero che preti e vescovi preferiscono non parlarne. Ma con ciò? Significa forse che sarebbe giustificato non rispettare l’ottavo comandamento, e non richiamarlo, perché la maggioranza dei cattolici mente?
Legando ciò che è buono o cattivo alle situazioni concrete e al giudizio soggettivo si aprono prospettive inquietanti. Ecco perché, ricorda Seifert, il proporzionalismo morale è dichiarato falso, e pericoloso, non solo dalla Chiesa, ma anche da altre religioni e dalla ragione umana, attraverso il pensiero di grandi filosofi come Socrate e Platone.
Aldo Maria Valli