Le risposte date dal papa in aereo, sul volo di ritorno dal Perù, circa la vicenda del vescovo Barros, accusato di aver coperto e insabbiato gli abusi commessi da padre Fernando Karadima, non hanno placato le polemiche. Per quanto Francesco si sia scusato per aver sostenuto con decisione che a carico di Barros non sono emerse prove e che quindi contro di lui ci sono solo calunnie (il che, ha ammesso, ha ferito tanti abusati), il «National Catholic Reporter», testata del cattolicesimo progressista statunitense, ritiene che il papa non abbia mostrato sufficiente attenzione nei confronti delle vittime ed anzi abbia lasciato intendere che fra loro ci possa essere chi mente.
«Papa Francesco ha ingiustamente calunniato i sopravvissuti agli abusi», scrive il giornale in un editoriale di fuoco intitolato «Francis’ commitment to abuse survivors in question». Le osservazioni di Francesco sulla mancanza di prove a carico del vescovo Barros, si sostiene nell’articolo, «sono quanto meno vergognose» («these remarks are at the least shameful») e nel giro di pochi giorni «papa Francesco ha ingiustamente calunniato i sopravvissuti agli abusi».
Si tratta, afferma il «National Catholic Reporter» di una «sceneggiatura fin troppo familiare», secondo uno schema consolidato: gettare discredito sulla testimonianza dei sopravvissuti, appoggiare il prelato in questione e spostare l’attenzione dell’opinione pubblica su altro.
L’insistenza con cui il papa difende Barros, secondo la testata americana, è «mistificante». Tre diversi giornalisti, sul volo papale, hanno dato la possibilità a Bergoglio di spiegarsi, ma il papa, sostiene il giornale, non ha dato risposte soddisfacenti, ripetendo soltanto che non ci sono elementi per accusare Barros.
Pur riconoscendo che il papa ha più volte ribadito la linea, inaugurata da Benedetto XVI, della tolleranza zero contro i preti responsabili di abusi, il «National Catholic Reporter» afferma che tale strategia è stata affermata solo a parole, perché nei fatti Bergoglio non è intervenuto con la necessaria energia, non ha affrontato in modo deciso i pastori accusati di aver coperto i pedofili ed ha anzi elogiato il «coraggio» dimostrato dai vescovi statunitensi nei «momenti difficili» della crisi, sottolineando il «dolore» che hanno dovuto sopportare. Un comportamento, dice il giornale, che secondo uno psicologo che assiste le vittime equivale a un «pungo nel plesso solare», un colpo durissimo per chi ha già sofferto tanto a causa degli abusi.
Il giornale ha parole per niente tenere anche a proposito di quanto il papa ha detto incontrando il clero cileno, quando ha espresso solidarietà a preti e religiosi che, a causa dello scandalo pedofilia, sono insultati in metropolitana, o mentre camminano per strada, solo perché indossano l’abito clericale. Ma come può il papa, osserva il «National Catholic Reporter», paragonare questo tipo di sofferenza con quella, infinitamente più grande e più grave, patita da un bambino abusato?
Dopo aver ricordato la presa di posizione del cardinale O’Malley circa le parole del papa sul caso Barros («È comprensibile – ha detto il cardinale americano – che le dichiarazioni di papa Francesco rilasciate a Santiago del Cile siano fonte di grande dolore per i sopravvissuti agli abusi sessuali da parte del clero o di qualunque altra persona. Le parole del papa trasmettono il messaggio che se non puoi provare le tue affermazioni, allora non sarai creduto»), il giornale sostiene che l’atteggiamento di Bergoglio in Cile è stato ben più che deludente: pur sapendo che cosa lo attendeva, non ha seguito il consiglio di ascoltare la gente e di stare vicino alle vittime. Strano, conclude l’articolo, da parte di un pontefice che tanto spesso tuona contro il clericalismo. «Quando si tratta di far fronte al clericalismo che è a fondamento dello scandalo pedofilia, il volto impietrito del papa fa parte del problema».
Come si vede, una valutazione drastica. Con un riferimento finale («il volto impietrito») che ritorce contro il papa l’accusa da lui lanciata contro la curia romana, quando parlò della malattia dell’impietrimento del cuore.
Colpisce il fatto che da una testata cattolica liberal arrivino considerazioni di questo tipo nei confronti del papa che ha giocato l’intero suo pontificato, e tuttora lo sta giocando, sul piano della misericordia, della tenerezza, della comprensione. Qualcosa si è forse incrinato? Si stanno aprendo crepe all’interno di un certo tipo di narrazione? Si sta forse sostenendo che quel «volto impietrito» corrisponde, più di altri, al vero volto del papa?
Sappiamo che è costante preoccupazione della Chiesa tutelare i sacerdoti, i religiosi e i vescovi dalle accuse indiscriminate, che sempre possono colpire e che, amplificate dai mass media, sono in grado di distruggere ingiustamente le persone. Da questo punto di vista è diritto e dovere del papa evitare di cavalcare l’onda della riprovazione e usare prudenza. Sappiamo anche che negli Stati Uniti, a causa della portata degli scandali, c’è una ipersensibilità nei confronti del dramma della pedofilia. Tuttavia è impossibile non osservare che con l’articolo del «National Catholic Reporter» per la prima volta un certo tipo di cattolicesimo, in generale favorevole alla linea di questo pontificato, prende le distanze. Che lo faccia il «New York Times» non stupisce, ma che la bacchettata arrivi dal «NCR» introduce un nuovo elemento di riflessione.
Dopo aver tanto tuonato contro il clericalismo ed esortato ripetutamente la Chiesa a uscire, a mettersi in ascolto, a non essere autoreferenziale, ecco il papa alle prese con chi gli imputa di peccare lui stesso di clericalismo e di non ascoltare e uscire a sufficienza.
Ma sentite qui che cosa scrivono altri cattolici progressisti come gli aderenti all’International Movement We Are Church e all’European Network Church on The Move: «Il viaggio di papa Francesco in Sud America ha manifestato l’attenzione abituale del papa alle sofferenze delle popolazioni native, povere e marginalizzate. Però la sua visita ha anche dimostrato mancanza di chiarezza nel dare la priorità alle vittime degli abusi sessuali del clero e ha pregiudicato gli sforzi della Chiesa per dimostrare il suo pentimento su questa importante questione […]. Papa Francesco ha anche ricevuto un delegazione di alcune delle vittime a porte chiuse. Sono stati passi importanti, però egli non ha avuto la stessa apertura e disponibilità nei confronti delle vittime di Karadima. Gli interventi positivi sono stati del tutto compromessi quando il papa ha detto che quelli che avevano accusato il vescovo Juan Barros Madrid di aver “coperto” abusi sessuali sui minori erano colpevoli di calunnia. Il vescovo Juan Barros Madrid fu nominato vescovo di Osorno nel 2015 dopo che la sua complicità con Karadima divenne conosciuta; prima era stato vescovo castrense. La sua nomina è la diretta conseguenza di una gerarchia che era in sintonia con la dittatura di Pinochet ed aveva la simpatia del nunzio Angelo Sodano. Egli era il protettore del padre Fernando Karadima, pedofilo seriale e figura molto influente e conosciuta nella élite economica e conservatrice del mondo cattolico cileno. Membri della Pontificia commissione per la protezione dei minori contestarono la nomina, ma papa Francesco procedette ugualmente. Il vescovo Barros non è accusato di avere egli stesso compiuto abusi; ma era certamente consapevole degli abusi in serie di Karadima, che egli poi ha protetto. Dopo tutto ciò, nella diocesi di Osorno è sorto un movimento di base che ha discusso e rifiutato la nomina di Barros e ha chiesto, alla fine, al papa la revoca del vescovo. Papa Francesco, parlando con un giornalista prima di lasciare il Cile, ha detto che non c’erano prove nei confronti di Barros ed ha accusato di calunnia le vittime degli abusi, ma senza alcun dubbio le vittime di Karadima – che il papa ha rifiutato di incontrare – sono risultate del tutto credibili».
Occorre notare che il documento di «Noi Siamo Chiesa» ha per titolo «La credibilità di papa Francesco sulla pedofilia del clero è stata compromessa durante il viaggio in Cile». Non si parla semplicemente di un passo falso, ma di credibilità compromessa.
Si potrebbe sostenere che scontentare sia la «destra» sia la «sinistra» cattolica è un merito, perché segno di equilibrio. Se ne può discutere. Forse si tratta di riflettere, più opportunamente, su quali siano oggi le condizioni di salute dell’«auctoritas» papale. E forse bisognerebbe anche porsi una domanda: se le categorie impiegate da tale «auctoritas» sono tutte terrene e orizzontali (uscire, incontrare, aprire, accogliere eccetera), non è forse inevitabile che ci sia sempre qualcuno che chiede di applicarle ancora di più? Non è inevitabile che ci sia sempre qualcuno che chiede di uscire di più, incontrare di più, aprire di più, accogliere di più?
Vengono in mente le parole che l’allora cardinale Joseph Ratzinger pronunciò al Meeting di Rimini del 1990 sulla riforma della Chiesa. In che consiste, si chiese, l’autentica riforma? Si tratta, rispose, di un’azione simile a quella che lo scultore fa con la pietra: non un aggiungere, ma un togliere, un’«ablatio». Togliere tutto ciò che non è essenziale: «Riforma è sempre nuovamente una “ablatio”: un toglier via, affinché divenga visibile la “nobilis forma”, il volto della Sposa e insieme con esso anche il volto dello Sposo stesso, il Signore vivente. Non è di una Chiesa più umana che abbiamo bisogno, bensì di una Chiesa più divina; solo allora essa sarà anche veramente umana».
Aldo Maria Valli