Rapporto dalla città di Roma
«Assegnato a Roma».
Quando, giorni fa, ho ricevuto l’ordine si servizio, non sono riuscito a trattenermi ed ho urlato per la gioia. Emozione infinita! Roma, la città del papa! Roma, il centro della cattolicità! Roma, al cuore della fede!
Sono partito pieno di felicità e riconoscenza, ma non ho impiegato molto a scoprire che Roma, in realtà, è una città strana. Bellissima, affascinante, addirittura ammaliante in certi casi, ma molto molto difficile.
Sono arrivato a destinazione proprio durante la nevicata. Una bella nevicata di fine febbraio. Niente di straordinario, considerato il calendario. Le temperature sono molto basse rispetto alla media del periodo, ma, tutto sommato, una grande città dovrebbe essere pronta ad affrontare simili situazioni, tanto più che le previsioni meteo hanno avvertito tutti, autorità comprese, in largo anticipo e con grande precisione. E invece la metropoli si è bloccata, e di conseguenza parecchia gente ha avuto bisogno di noi.
In certi casi per uno come me incominciano gli straordinari, e così è stato. Non essendo ancora molto pratico della zona, ho pensato di dirigermi prima di tutto verso la frequentatissima stazione Termini, e l’idea è stata buona. Molta gente era nervosissima, perché i treni non arrivavano e non partivano. Forte era il rischio che potessero scoppiare disordini, e mi è toccato lavorare un bel po’ per ricondurre tutti alla calma ed evitare il peggio.
Sempre lì, a Termini, ho messo in salvo un senza tetto a rischio congelamento. Non è stato facile, ma sono riuscito a farlo incontrare con la persona giusta al momento giusto: così l’uomo, oltretutto piuttosto anziano, ha potuto contare su un riparo e un pasto caldo.
Neanche il tempo di risolvere questi casi, ed eccomi sulle scale gelate della metropolitana, dove quella signora ha fatto un volo mica da poco. Nessuno aveva rimosso la neve e sparso il sale, sicché è toccato a me prendermi cura della povera donna: una caduta terribile, roba da spaccarsi la schiena, ma io sono riuscito ad afferrarla giusto in tempo (avete presente un placcaggio da giocatore di rugby?) e a depositarla a terra con leggerezza, così che l’unica conseguenza per lei è stato un grande spavento.
E vogliamo parlare dell’intervento su quella strada di periferia? In ripida discesa, l’auto, priva di catene. ha incominciato a sbandare. Alla guida c’era una giovane, poco esperta. Anziché scalare le marce, ha frenato bruscamente, col risultato di aumentare l’effetto scivolamento. Del tutto fuori controllo, la vettura stava per investire il nonno con il suo nipotino, e mi ci è voluto uno sforzo davvero straordinario per deviare la traiettoria di quel tanto che ha impedito la tragedia.
Ma l’operazione più impegnativa, senza dubbio, è stata nel quartiere Testaccio, al parco giochi. La neve aveva attirato lì alcuni bambinetti in compagnia di mamme, papà e nonni. Tutti si aggiravano felici e un po’ stupiti, perché lo spettacolo del manto bianco non è frequente a Roma. Ma la neve, caduta copiosa, ha incominciato a essere un po’ troppa per i pini marittimi, e così qualche ramo, sotto tutto quel peso, ha preso a scricchiolare in modo sinistro. L’ombrello verde, che d’estate garantisce l’ombra ristoratrice e in inverno ripara dalla pioggia, è diventato una tremenda minaccia. Che fare? Naturalmente ho operato affinché tutti quei genitori e quei nonni, pur contenti di starsene lì a giocare con i bimbi, da un momento all’altro si convincessero che il vento era un po’ troppo gelido e decidessero di andar via. In certi casi è questione di secondi. Rivedo la scena. Mentre i frequentatori del parco giochi si allontanano, mi attivo, come da manuale, per ritardare l’inevitabile disastro. Così quando quel grosso ramo, appesantito dalla neve, si schianta a terra e distrugge le altalene, l’intera area è ormai vuota, perché bambini, genitori e nonni hanno pensato di andare a giocare in piazza.
L’indomani su qualche giornale ho letto il titolo «Miracolo a Testaccio» e mi è scappato un sorriso.
In realtà, se vogliamo essere precisi, i miracoli sono stati tanti, ma a noi non tocca tenere una contabilità di questo genere. Abbiamo però il dovere di fare rapporto ai superiori, e alla fine del mio, che ho appena concluso, si può leggere fra l’altro: «In base all’esperienza maturata sul campo, suggerisco di incrementare entro breve tempo in tutta la città di Roma la presenza della GUI (Grande Unità Interforze) così che il COV (Comando Operativo di Vertice) abbia la possibilità di contare sempre, in ogni circostanza, su una nostra attività adeguata al livello di pericolo. Ho potuto infatti verificare che nel territorio di Roma, per quanto sia diffusa l’idea che la popolazione si trovi sotto una speciale protezione, l’LDR (Livello di Rischio) è in realtà ben oltre i parametri considerati accettabili. Onde garantire l’opportuna prevenzione, si consiglia in particolare un’accurata mappatura interiore, o screening, in modo tale da predisporre la popolazione all’uso intensivo della PDP (Preghiera di Protezione), sia nella forma standard sia in quella straordinaria. A disposizione per ogni ulteriore precisazione circa i criteri di valutazione del livello di rischio e le priorità di attuazione, porgo i saluti più cordiali. Firmato: AC 943638».
Come dite? Che significa quella firma? Scusate, solo ora mi rendo conto di non essermi presentato. Si tratta della mia matricola: AC sta per Angelo Custode.
Ma ora scappo. Ho ancora molto da fare.
Aldo Maria Valli