Ma che noia questo nuovo scudetto bianco e nero
Che noia, che barba! Vorrei chiedere agli amici che tifano per quella squadra di Torino, quella con la maglia a righe bianche e nere e il nome latino: ma non siete stufi? Non sapete fare altro che vincere scudetti. Che monotonia, che piattezza, che uniformità.
Volete mettere noi dell’Inter? Noi siamo la sorpresa, l’imprevedibile, il mistero. Noi vinciamo quando ci va, spesso quando dovremmo perdere, e perdiamo quando ci va, spesso in modo rovinoso, quando dovremmo vincere. Noi riusciamo a battere quella squadra lì, quella con le maglie bianche e nere, pur essendo in dieci contro undici, ma, ovviamente, solo fino a cinque minuti dalla fine. Poi ci facciamo infilare due volte, e così le consegniamo l’ennesimo scudetto. Perché a noi piacciono i colpi di scena, anche al contrario. E loro sempre lì, pronti a cogliere ogni occasione buona per vincere, in modo meccanico, automatico, ripetitivo.
Noi siamo l’estro, l’improvvisazione, il colpo di genio, oppure il cataclisma. Loro sono programmati per vincere. E lo fanno. Perché non sanno fare altro. Noi siamo la libertà, l’inventiva, la fantasia sfrenata. Loro sono un esercito che risponde a un solo ordine: accumulare scudetti. E lo fa.
Solo da noi, all’Inter, può succedere che un calciatore, il divino e folle Evaristo Beccalossi, sbagli due rigori nel giro di pochi minuti, nella stessa partita (15 settembre 1982, Coppa delle Coppe, contro lo Slovan Bratislava). Da loro i rigori li segnano. Sempre. Implacabilmente. Non sanno fare altro che segnarli. E lasciamo perdere la faccenda di come vengono assegnati.
Solo da noi, all’Inter, si possono perdere scudetti all’ultima partita di campionato, come in una tragedia greca (Mantova – Inter 1 a 0, anno 1967, con papera clamorosa del portiere Sarti; Lazio – Inter 4 a 2, anno 2002: il famigerato cinque maggio, con Ronaldo in lacrime come un bimbo). E tutte le volte che noi, nella nostra infinita creatività, decidiamo di buttare alle ortiche un titolo, chi c’è lì pronto ad agguantarlo? Ma loro, ovviamente, quelli con le maglie bianche e nere. Che non si fanno scrupoli, non hanno mai un dubbio o un’incertezza: lo prendono e basta. Perché loro non sono mai sazi di scudetti.
Come dite? Che anche loro qualche volta hanno buttato tutto alle ortiche all’ultima partita? Come dite? Certo che mi ricordo: Perugia – Juventus 1 a 0, anno 2000. Copia conforme del 1976. È vero. Ma poi loro si riprendono subito e tornano a fare i collezionisti di scudetti a raffica, mica come noi, che vinciamo, quando va bene, ogni dieci anni. E comunque, quando loro li buttano alle ortiche, non ci siamo sempre noi a raccoglierli. No, no, datemi retta: le nostre tragedie sono uniche. La nostra creatività in materia è senza pari.
Eppure noi dell’Inter andiamo a San Siro e ogni volta è una festa. Quest’anno abbiamo affollato lo stadio più di tutti gli altri tifosi di tutte le altre squadre: almeno cinquantamila ogni volta. Ci andiamo perché la Beneamata va amata, perché il nostro inno dice “Amala!” e noi amiamo. Ci andiamo perché “c’è solo l’Inter”, come dice l’altro inno. E poco importa che poi perdiamo col Sassuolo. Come dice quel poeta? È meglio aver amato e perso che non aver mai amato. Ecco. Noi lo sappiamo. E loro vincono, ça va sans dire.
E vogliamo parlare dei derby? Da noi vale l’amletico dubbio: meglio vincere i due derby e perdere il campionato o vincere il campionato e perdere i due derby? La faccenda è filosoficamente complicata, tanto che ci succede di risolverla perdendo tutto: derby e campionato. Da loro il problema proprio non si pone, perché è semplicemente impensabile: loro vincono i derby e il campionato. Sempre.
Perché si diventa interisti? Qui il mistero è fitto, ma è un mistero bellissimo. Quei colori ti entrano nel sangue e non puoi farci niente. La ragione dice tutt’altro, ma al cuore non si comanda. Loro invece hanno la risposta pronta: perché noi vinciamo. Troppo semplice, troppo facile. La banalità del male.
Ora non voglio neanche entrare nelle polemiche. Per dirne una: era fallo quello di Iuliano contro Ronaldo (Juventus – Inter 1998)? Riguardatevi le immagini e dite la vostra. Sarebbe ora di metterci una pietra sopra, ha detto l’arbitro Ceccarini. Aggiungendo: i tifosi dell’Inter possono stare tranquilli, da parte mia non c’è mai stata malafede. Ma guardi, signor arbitro, che noi siamo tranquillissimi. Perché lo sappiamo come funziona: in dubio pro Juventute.
Diciamolo: essere dell’Inter richiede una certa dose di magnifica follia. Essere di quella squadra con le maglie bianche e nere richiede solo di stare dalla parte di quelli che vincono. E quindi si capisce perché i tifosi di quella squadra lì sono tantissimi: come diceva Ennio Flaiano (che secondo me era interista), gli italiani corrono sempre in soccorso del vincitore.
Comunque. C’è la faccenda Champions. E c’è quel numero: sette. Loro, quelli con le maglie bianche e nere, in queste ore esultano per il settimo scudetto consecutivo. Ma io, umilmente, mi permetto di ricordare un altro sette. Sette come le finali di Champions che loro hanno perso. Vogliamo elencarle? Ma sì, dai: 1973, contro l’Ajax; 1983, contro l’Amburgo; 1997, contro il Dortmund; 1998, contro il Real Madrid; 2003, contro il Milan; 2015, contro il Barcellona; 2017, contro il Real Madrid.
Perché questo elenco?. Ma, non so. Ha un che di musicale. Mi rilassa. E mi fa venire un pensiero: strano come quella squadra con le maglie bianche e nere, che in Italia trova sempre un Ceccherini, in Europa torni a essere una come tutte le altre. Una contro la quale si può anche fischiare un rigore all’ultimo secondo.
E poi c’è la faccenda della serie B. A loro, che ci sono stati, vorremmo chiedere: che cosa si prova? Siamo curiosi. Essendo noi gli unici (ripeto, gli unici) che non ci sono mai andati, saremmo lieti di una risposta. Così, per accrescere il nostro bagaglio culturale. Ma non credo che ci risponderanno. Troppo impegnati a festeggiare l’ennesimo scudetto. Che noia, che barba.
Come dite? Che scrivo tutto questo perché, come si dice a Roma, sto rosicando? Ma no! Ma che cosa andate a pensare? Nessuna invidia. Così come, credetemi, non provo nessuna soddisfazione nel rivedere il gol con il quale quest’anno Cristiano Ronaldo ha buttato fuori la squadra con le maglie bianche e nere dalla Champions all’ultimo secondo. Lo vedo e lo rivedo così, per documentazione. Per amore della storia. No, noi non rosichiamo.
E sappiamo essere magnanimi. Nonostante Ceccherini e Iuliano, nonostante i ripetuti furti bianconeri (mai sentito parlare di un certo gol di un certo Turone della Roma, annullato ingiustamente?), nonostante gli innumerevoli favori arbitrali da loro ricevuti, nonostante le malefatte di un certo Moggi, noi sappiamo perdonare.
Sì, settanta volte sette.
Aldo Maria Valli