Mancano pochi giorni al referendum che potrebbe legalizzare l’aborto in Irlanda. L’appuntamento è per il 25 maggio, come stabilito dal Consiglio dei ministri. Se gli irlandesi diranno sì all’abrogazione dell’ottavo emendamento dell’articolo 40 della Costituzione, emendamento secondo il quale la madre e il bambino non ancora nato hanno gli stessi diritti, di fatto si avrà il via libera all’aborto dopo che la Corte suprema, chiamata a pronunciarsi sui diritti costituzionali dei bambini non ancora nati, ha detto che questi, al di fuori dell’articolo 40, non ne hanno nessuno.
Secondo quanto anticipato dalla stampa irlandese, se l’emendamento sarà soppresso la nuova legge stabilirà che la richiesta d’aborto dovrà essere sottoposta a due medici e l’intera “procedura” durerà tre giorni. Come sempre in questi casi, i sostenitori della legge mettono l’accento sui “diritti” delle donne, ma i vescovi irlandesi in una nota rispondono che quello veramente in discussione è il diritto alla vita, il quale non può dipendere da una legge. “Per questo, dichiarare che tale diritto non è riconosciuto a una particolare categoria – i piccoli in gestazione – è per noi un passaggio scioccante e una palese ingiustizia”.
Secondo i vescovi l’ottavo emendamento della legge 40, che vieta l’aborto dal 1983, garantisce uguaglianza e rispetto per la vita, mentre la legalizzazione dell’aborto avrebbe pesanti riflessi culturali e morali, perché, oltre a permettere la soppressione di innocenti, renderebbe le persone meno sensibili al valore di ogni vita umana. Ciò di cui c’è bisogno, spiegano, non è rendere l’aborto più facile, ma garantire una rete di aiuto e supporto per la madre e il bambino, specie nei casi di gravidanza difficile. La decisione della Suprema corte, concludono, ha reso ancora più importante l’ottavo emendamento.
Intanto la campagna pro-life denominata LoveBoth ha da qualche giorno un nuovo testimonial, particolarmente significativo. Si tratta do Conor O’Dowd, di Drogheda, affetto da sindrome di Down, che in un video dice: “Io amo la mia vita. Per favore, salva i bambini con sindrome di Down, non abrogarci, proteggi l’ottavo emendamento!”.
“Siamo lieti di avere con noi Conor e la sua famiglia”, ha detto la portavoce di LoveBoth, Cora Sherlock, presentando il video. “Conor è solo una delle persone con sindrome di Down che si sono fatte avanti nelle ultime settimane per parlare apertamente delle proposte del governo a favore dell’aborto”.
Secondo il progetto del governo, il ricorso all’aborto sarebbe reso legale in caso di rischio per la vita e la salute della madre o di anomalie fetali, ma i pro-life sostengono che lungo questa strada la normativa finirebbe col permettere l’aborto in molti altri casi, tra i quali la disabilità. “Non è così”, risponde il ministro della salute, Simon Harris, ma i pro-life replicano che nel disegno di legge non c’è nulla che impedisca di inserire la disabilità tra i motivi per legittimare l’aborto.
La campagna per la vita LoveBoth sottolinea che in Gran Bretagna il novanta per cento dei bambini ai quali è diagnosticata la sindrome di Down è abortito. Secondo le stime, la percentuale sarebbe del 65 per cento in Norvegia, del 95 per cento in Spagna e praticamente del cento per cento in Islanda.
Sull’altro piatto della bilancia i pro-life mettono uno studio del 2011 secondo il quale il 99 per cento delle persone con sindrome di Down si definisce felice, mentre solo il quattro per cento dei genitori con figli affetti da sindrome di Down esprime rammarico per la condizione in cui vivono.
Il ministro Harris, dice Cora Sherlock, “vuole escludere le persone con sindrome di Down dal dibattito in corso, ma noi non lo permetteremo”. Di qui la decisione di “reclutare” Conor per la campagna a favore del no all’abrogazione dell’ottavo emendamento.
Nel video
Conor, sorridente, cammina sull’argine di un fiume e dice: “I’m Conor. I love my life. Please save babies with Down syndrome. Do not repeal us. Protect the 8th!”. Un messaggio semplice, ma molto efficace.
Intanto, come spiega il Catholic Herald, è polemica sul ruolo di Google e Facebook nella campagna referendaria.
Nell’imminenza del referendum del 25 maggio, le due società sono intervenute per limitare la pubblicità online rivolta agli elettori irlandesi: Facebook si è concentrata sugli inserzionisti, in massima parte statunitensi, che intendevano pubblicare annunci sui social media irlandesi; Google si è spinta oltre e ha vietato tutte le pubblicità online riguardanti il referendum.
La misura può sembrare neutrale, ma si ritiene che a trarne beneficio sarà la campagna a favore dell’abrogazione dell’ottavo emendamento. Infatti la campagna per il no, abbondantemente tagliata fuori dalla stampa irlandese, si è affidata molto ai social media.
Aldo Maria Valli
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Come la Chiesa finì
pagine 180
prima edizione 2017
seconda e terza ristampa 2018
16 €