Viganò screditato? Ecco come lui stesso risponde
L’arcivescovo Carlo Maria Viganò, l’ex nunzio negli Stati Uniti che ha rivelato di aver informato papa Francesco del caso McCarrick fin dal marzo 2013, ha rilasciato una nuova dichiarazione scritta, che respinge come false alcune ricostruzioni che ora circolano con l’obiettivo di screditarlo.
La vicenda riguarda un articolo del New York Times del 2016, nel quale si sosteneva che l’allora nunzio negli Usa annullò un’indagine sui comportamenti sessuali dell’arcivescovo John Nienstedt, poi giudicato innocente dalle autorità civili.
Il NYT sostenne che nell’aprile 2014 Viganò ordinò a due vescovi ausiliari dell’arcidiocesi di St. Paul e Minneapolis di bloccare l’inchiesta su Nienstedt e di distruggere una lettera che gli avevano scritto per protestare contro la sua decisione.
Il NYT fondò la sua ricostruzione dei fatti su un memoriale di padre Dan Griffith, delegato per la protezione dei minori nell’arcidiocesi di St. Paul e Minneapolis, secondo il quale l’ordine di Viganò fu motivato dalla decisione di coprire tutto ed evitare scandali.
Riemersa ora allo scopo di screditare l’ex nunzio e minare la sua credibilità, l’accusa ha spinto Viganò a intervenire con una dichiarazione scritta, datata 26 agosto 2018, nella quale parla di falsità contro di lui.
Nella sua dichiarazione Viganò racconta di aver incontrato Neinstedt e due vescovi ausiliari – Lee A. Piché e Andrew Cozzens – il 12 aprile 2014, nella nunziatura apostolica a Washington, per discutere delle indagini in corso sull’arcivescovo, ma padre Griffith non era presente.
Durante l’incontro gli furono sottoposte alcune dichiarazioni giurate, fra le quali una che sosteneva che Nienstedt “aveva avuto una relazione con una guardia svizzera durante il suo servizio in Vaticano, circa vent’anni prima”.
Viganò spiega che “questi affidavit furono raccolti dallo studio legale Greene Espel, scelto da padre Griffith a nome dell’arcidiocesi per indagare sull’arcivescovo Nienstedt”. Aggiunge che lo studio appartiene al gruppo Lawyers for All Families, “schierato contro l’arcivescovo Nienstedt e a favore dell’approvazione del matrimonio tra persone dello stesso sesso nello Stato del Minnesota”.
“Investigatori privati del Greene Espel – spiega Viganò – avevano condotto un’inchiesta in modo squilibrato e accusatorio, e ora volevano immediatamente estendere le indagini alla Guardia Svizzera Pontificia, senza aver prima ascoltato l’arcivescovo Nienstedt”. Per questo motivo il nunzio disse che gli sembrava giusto ascoltare prima Nienstedt, secondo il principio audiatur et altera pars, e i vescovi furono d’accordo.
Il vescovo Piché telefonò subito a padre Griffith, informandolo del buon esito dell’incontro e dicendo che una soluzione del caso era prossima. Ma il mattino seguente a Viganò arrivò una lettera dei due vescovi ausiliari, nella quale si diceva che il nunzio aveva suggerito di fermare l’indagine.
Sorpreso, Viganò chiamò il vescovo Pichè per chiedergli spiegazioni e gli ordinò di rimuovere la lettera dai computer e dagli archivi della diocesi. Non voleva passare come un insabbiatore. Aveva solo chiesto di ascoltare la versione di Nienstedt prima di procedere con altri provvedimenti.
Scrive infatti Viganò: “Non ho mai detto a nessuno che Greene Espel avrebbe dovuto interrompere l’inchiesta, e non ho mai ordinato di distruggere alcun documento. Ogni affermazione contraria è falsa. Tuttavia incaricai uno dei vescovi ausiliari, Lee A. Piché, di rimuovere dal computer e dagli archivi dell’arcidiocesi la lettera che asseriva falsamente che avevo suggerito che l’indagine fosse fermata. Ho insistito su questo per proteggere non solo il mio nome, ma anche quello della Nunziatura e del Santo Padre che sarebbero stati danneggiati”.
Viganò riferisce di non aver più saputo nulla fino al novembre successivo, quando, all’annuale assemblea della Conferenza episcopale degli Stati Uniti, a Baltimora, incontrò nuovamente i due vescovi ausiliari, Pichè e Cozzens, i quali gli presentarono un rapporto e gli riferirono di averlo consegnato anche al cardinale Marc Ouellet, prefetto della Congregazione per i vescovi, durante una visita a Roma.
Davanti ai due ausiliari Viganò esaminò il documento e vide che “conteneva ancora la falsa dichiarazione”. Quindi incaricò Piché e Cozzens di scrivere al cardinale Ouellet, presso la congregazione a Roma, per correggere la dichiarazione.
Viganò è in possesso sia della lettera inviata dai due vescovi ausiliari al cardinale Ouellet sia di una sua lettera a Ouellet.
Poi Viganò ricorda: “Proprio il giorno in cui la notizia apparve sul New York Times , il 21 luglio 2016, il Santo Padre chiese al Cardinale Parolin di telefonare al Nunzio a Washington (Christophe Pierre), ordinandogli di aprire immediatamente un’indagine sulla mia condotta, così che io potessi essere denunciato al tribunale incaricato di giudicare l’insabbiamento”.
Lo stesso giorno, ricorda Viganò, “informai la sala stampa della Santa Sede, nelle persone di padre Lombardi e Greg Burke”. Inoltre, “con l’autorizzazione del sostituto della Segreteria di Stato, l’allora arcivescovo Becciu, l’avvocato americano Jeffrey Lena, che lavorava per la Santa Sede, si recò alla Congregazione per i vescovi, dove trovò documenti che dimostrano che la mia condotta era stata assolutamente corretta”.
Lena consegnò a Viganò un rapporto scritto che lo scagionava, eppure la sala stampa vaticana non ritenne necessario rilasciare una dichiarazione a difesa del nunzio per confutare il New York Times.
In ogni caso, quando l’inchiesta ordinata da papa Francesco fu completata, “la Nunziatura rispose anche al Cardinale Parolin con un rapporto dettagliato, che ristabilì la verità e dimostrò che la mia condotta [di Viganò, ndr] era stata assolutamente corretta. Questo rapporto si trova nella Segreteria di Stato del Vaticano e nella Nunziatura di Washington”.
Conclude Viganò: “Il 28 gennaio 2017 scrissi sia all’arcivescovo Pierre sia all’arcivescovo Hebda (il successore di Nienstedt), chiedendo loro di correggere pubblicamente il memorandum Griffith. Nonostante le e-mail e le telefonate ripetute, non ho mai ricevuto risposta”.
Aldo Maria Valli
Qui di seguito l’intera dichiarazione di monsignor Viganò.
Statement by Archbishop Carlo Maria Viganò regarding the Archdiocese of St. Paul-Minneapolis
Accusations against my person appeared in the media – in July 2016, when I had already left my mission in Washington, D.C. – following the publication of a memorandum written by Father Dan Griffith, the then delegate for the protection of minors in the Archdiocese.
These accusations – alleging that I ordered the two Auxiliary Bishops of Minneapolis to close the investigation into the life of Archbishop John C. Nienstedt – are false.
Father Griffith was not present during my meeting at the Nunciature with the Archbishop and the two Auxiliaries on April 12, 2014, during which several affidavits containing accusations against Archbishop Nienstedt were handed to me.
These affidavits were collected by the firm, Greene Espel, who was retained by Father Griffith on behalf of the Archdiocese to investigate Archbishop Nienstedt. This firm belongs to the group “Lawyers for All Families,” who fought against Archbishop Nienstedt over the approval of same-sex marriage in the State of Minnesota.
In one of these affidavits, it was claimed that Archbishop Nienstedt had had an affair with a Swiss Guard during his service in the Vatican some twenty years prior.
Private investigators from the Greene Espel firm had conducted an inquiry in an unbalanced and prosecutorial style, and now wanted immediately to extend their investigation to the Pontifical Swiss Guard, without first hearing Archbishop Nienstedt.
I suggested to the bishops who came to the Nunciature on April 12, 2014, that they tell the Greene Espel lawyers that it appeared to me appropriate that Archbishop Nienstedt be heard before taking this step – audiatur et altera pars – which they had not yet done. The bishops accepted my suggestion.
But the following day, I received a letter signed by the two auxiliaries, falsely asserting that I had suggested the investigation be stopped.
I never told anyone that Greene Espel should stop the inquiry, and I never ordered any document to be destroyed. Any statement to the contrary is false.
However, I did instruct one of the auxiliary bishops, Lee A. Piché, to remove from the computer and the archdiocesan archives the letter falsely asserting that I had suggested the investigation be halted. I insisted on this not only to protect my name, but also that of the Nunciature and the Holy Father who would be unnecessarily harmed by having a false statement used against the Church.
The very day the news appeared in the New York Times, on July 21, 2016, the Holy Father asked Cardinal Parolin to phone the Nuncio in Washington, D.C. (Christophe Pierre), ordering that an investigation into my conduct be opened immediately, so that I could be reported to the tribunal in charge of judging abuse cover-up by bishops.
I informed the Vatican Press Office in the persons of Father Lombardi and Mr. Greg Burke. With the authorization of the Substitute of the Secretary of State, then-Archbishop Becciu, Mr. Jeffrey Lena – an American lawyer working for the Holy See – went to the Congregation for Bishops where he found documents proving that my conduct had been absolutely correct.
Mr. Lena handed a written report exonerating me to the Holy Father. In spite of this, the Vatican Press Office did not deem it necessary to release a statement refuting the New York Times article.
The Nunciature also responded to Cardinal Parolin with a detailed report, which restored the truth and demonstrated that my conduct had been absolutely correct.
This report is found in the Vatican Secretariat of State and at the Nunciature in Washington, DC.
On January 28, 2017, I wrote to both Archbishop Pierre and Archbishop Hebda (who had succeeded Nienstedt), asking them to publicly correct the Griffith memorandum. In spite of repeated emails and phone calls, I never heard back from them.
August 26, 2018