Durante tutta questa nuova crisi dolorosamente vissuta dalla Chiesa a causa delle varie vicende di abusi sessuali sono rimasto colpito dal modo burocratico, ma forse sarebbe meglio dire manageriale, di affrontare la questione da parte dei vescovi degli Stati Uniti. Con poche eccezioni (da segnalare quella del vescovo Morlino), essi parlano come amministratori d’azienda alle prese con bilanci da far quadrare e campagne di immagine da realizzare. Annunciano piani, percorsi, esami, discettano di prove e comitati esecutivi, si occupano di procedure e politiche, valutano azioni di coordinamento e normative, dicono che le situazioni vanno disciplinate. Tutto giusto, per carità. Ma l’impressione generale è di freddezza. Anche se continuamente ci sono richieste di perdono, sembra che questi pastori non sappiano parlare con il cuore in mano. Avverti che sono lontani, immersi in un mondo parallelo che non è quello in cui vivono tutti i giorni le persone comuni. Capisco le responsabilità che pesano su di loro e la necessità di rispondere a campagne di stampa a volte molto dure, ma forse se almeno ogni tanto si ricordassero di non essere dirigenti e gestori di un’azienda, ma padri, risulterebbero più convincenti e i fedeli li guarderebbero con maggiore fiducia.
Ciò che non si dice quasi mai, o troppo raramente, è che la crisi attuale è la crisi del prete e del vescovo. È crisi di queste due figure centrali e insostituibili per la vita della Chiesa. Ed è crisi spirituale, con radici teologiche, prima che crisi funzionale.
Chi è il prete? Chi è il vescovo? Ecco le domande che vanno poste di nuovo. È sull’identità sacramentale di queste due figure che ci si deve interrogare. Le procedure e le normative vengono dopo.
Anziché preoccuparsi tanto di rispondere all’opinione pubblica con le parole giuste al momento giusto, secondo logiche di tipo amministrativo e politico, farebbe bene ai pastori rileggersi qualche pagina, che so, del santo Curato d’Ars, Giovanni Maria Vianney.
Sentite qui: «Se comprendessimo bene che cos’è un prete sulla terra, moriremmo: non di spavento, ma di amore… Senza il prete la morte e la passione di Nostro Signore non servirebbero a niente. È il prete che continua l’opera della Redenzione sulla terra… Che ci gioverebbe una casa piena d’oro se non ci fosse nessuno che ce ne apre la porta? Il prete possiede la chiave dei tesori celesti: è lui che apre la porta; egli è l’economo del buon Dio; l’amministratore dei suoi beni».
«Lasciate una parrocchia, per vent’anni, senza prete, vi si adoreranno le bestie».
«Il prete non è prete per sé, lo è per voi».
«Il sacerdozio è l’amore del cuore di Gesù».
«Bisogna fare come i pastori nei pascoli durante l’inverno: accendono il fuoco, ma di volta in volta corrono a raccattare legna da tutte le parti per mantenerlo acceso. Se noi sappiamo, come i pastori, ravvivare continuamente il fuoco dell’amore di Dio nel nostro cuore attraverso le preghiere e le buone opere, non si spegnerà mai».
Non vogliamo lunghi documenti, ma preti e vescovi santi!
Di fronte alle tante lettere che in questi ultimi tempi sono state scritte nel tentativo di far fronte al fenomeno degli abusi sessuali, vengono in mente le parole che don Divo Barsotti riservò ai documenti conciliari, quando scrisse: «Io sono perplesso nei confronti del Concilio: la pletora dei documenti, la loro lunghezza, spesso il loro linguaggio, mi fanno paura. Sono documenti che rendono testimonianza di una sicurezza tutta umana più che di una fermezza semplice di fede».
E ancora: «Nulla mi sembra più grave, contro la santità di Dio, della presunzione dei chierici che credono, con un orgoglio che è soltanto diabolico, di poter manipolare la verità, che pretendono di rinnovare la Chiesa e di salvare il mondo senza rinnovare se stessi».
Alla luce di quanto sta succedendo oggi, vengono i brividi.
Che cosa potrà mai migliorare nella Chiesa se l’episcopato pensa (è ancora don Barsotti che parla) «di poter rinnovare ogni cosa obbedendo soltanto al proprio orgoglio, senza impegno di santità, in una opposizione così aperta alla legge dell’evangelo che ci impone di credere come l’umanità di Cristo è stata strumento dell’onnipotenza dell’amore che salva, nella sua morte»?
Datemi del sempliciotto, ma manderei i signori vescovi americani, con tutto il rispetto, a lezione dal Santo Curato d’Ars e da don Divo Barsotti.
Tutta da leggere è la riflessione del bravo vescovo Robert Morlino di Madison.
«Siamo una Chiesa fatta di peccatori, ma siamo peccatori chiamati alla santità. Allora, che cosa c’è di nuovo? La novità è l’apparente accettazione del peccato da parte di alcuni nella Chiesa e gli sforzi apparenti di coprirlo da parte loro e di altri. A meno che e finché non prendiamo sul serio la nostra chiamata alla santità, noi, come istituzione e come individui, continueremo a soffrire il “salario del peccato”».
«Per troppo tempo abbiamo diminuito la realtà del peccato – ci siamo rifiutati di chiamare peccato un peccato – e abbiamo scusato il peccato in nome di un’errata nozione di misericordia. Nei nostri sforzi per essere aperti al mondo siamo diventati fin troppo disposti ad abbandonare la Via, la Verità e la Vita. Allo scopo di evitare di offendere, offriamo a noi stessi e agli altri buone maniere e consolazione umana».
«Ma per essere chiari, nelle situazioni specifiche che ci stanno interessando, stiamo parlando di atti sessuali devianti – quasi esclusivamente omosessuali – fatti da chierici. Stiamo parlando anche di proposte omosessuali e di abusi contro seminaristi e giovani sacerdoti da parte di potenti sacerdoti, vescovi e cardinali. Stiamo parlando di atti e azioni che non solo violano le sacre promesse fatte da alcuni, in breve, il sacrilegio, ma violano anche la legge morale naturale per tutti. Chiamarli altrimenti sarebbe ingannevole e non farebbe che ignorare ulteriormente il problema».
«Ci si è impegnati a fondo per mantenere separati gli atti che rientrano nella categoria degli atti di omosessualità, ormai accettabili dal punto di vista culturale, dagli atti di pedofilia pubblicamente deplorevoli. Vale a dire che fino a poco tempo fa i problemi della Chiesa sono stati dipinti solo come problemi di pedofilia – questo nonostante chiare prove del contrario».
«È giunto il momento di essere onesti sul fatto che i problemi sono entrambi e che sono più numerosi. Cadendo nella trappola di analizzare i problemi in base a ciò che la società potrebbe trovare accettabile o inaccettabile, si ignora il fatto che la Chiesa non ne ha MAI considerato accettabile nessuno – né l’abuso dei ragazzi, né l’uso della propria sessualità al di fuori della relazione coniugale, né il peccato di sodomia, né l’ingresso di chierici in rapporti sessuali intimi, né l’abuso e la coercizione da parte di coloro che hanno autorità».
«È tempo di ammettere che c’è una sottocultura omosessuale all’interno della gerarchia della Chiesa cattolica che sta scatenando grandi devastazioni nella vigna del Signore. L’insegnamento della Chiesa dice chiaramente che l’inclinazione omosessuale non è di per sé peccaminosa, ma è intrinsecamente disordinata in modo da rendere ogni uomo che sia stabilmente afflitto da essa inidoneo ad essere sacerdote. E la decisione di agire su questa inclinazione disordinata è un peccato così grave che grida al cielo vendetta, specialmente quando si tratti di sfruttamento dei giovani o dei vulnerabili. Tale malvagità dovrebbe essere odiata con un odio perfetto. La stessa carità cristiana esige che si odi la malvagità così come si ama il bene. Ma mentre odiamo il peccato, non dobbiamo mai odiare il peccatore, che è chiamato alla conversione, alla penitenza e alla rinnovata comunione con Cristo e con la sua Chiesa, attraverso la sua inesauribile misericordia».
Grazie vescovo Morlino!
Aldo Maria Valli