«Il New York Times del 28 agosto 2018 ha riferito parte di un colloquio di papa Francesco con Juan Carlos Cruz, la più nota vittima cilena degli abusi sessuali del sacerdote Karadima e del vescovo Barros. Inspiegabilmente, nel colloquio con Cruz, il papa avrebbe parlato del suo incontro con Kim Davis, in occasione della visita a Washington, il 24 settembre del 2015, affermando che non aveva saputo nulla sul suo caso prima dell’incontro. Di fronte a tale affermazione del papa, mi vedo obbligato a raccontare come i fatti si sono realmente svolti».
Scrive così monsignor Carlo Maria Viganò all’inizio di un nuovo memoriale (che ci ha fatto pervenire), dedicato questa volta a un episodio specifico: l’incontro che la signora Kim Davis ebbe con il papa in nunziatura a Washington nel settembre 2015.
Kim Davis, lo ricordiamo, è la cancelliera (di religione cristiana protestante apostolica) di una contea del Kentucky che, facendo valere il suo diritto all’obiezione di coscienza, nel 2015 rifiutò di firmare la licenza matrimoniale a coppie gay, e per questo finì in carcere, nonostante la Corte suprema avesse garantito che per motivi religiosi le persone potessero continuare a sostenere che per precetto divino il matrimonio fra persone dello stesso sesso non può essere ammesso.
È dunque la sera del 23 settembre 2015, siamo nella nunziatura di Washington. Il papa è lì perché sta visitando gli Usa e il nunzio Viganò chiede al pontefice di concedergli una mezz’ora, perché desidera sottoporre alla sua attenzione, ed eventuale approvazione, un’iniziativa delicata ma facilmente realizzabile: incontrare personalmente, e in modo del tutto riservato in nunziatura, al di fuori della luce dei media, la signora Kim Davis, funzionaria della Rowan County nel Kentucky, la prima cittadina americana condannata e imprigionata per una settimana per aver esercitato il suo diritto all’obiezione di coscienza.
Racconta Viganò: «All’inizio del nostro incontro, la sera del 23 settembre, diedi al papa un appunto di una pagina in cui era sintetizzato il caso della Davis. Il papa si mostrò immediatamente favorevole a tale iniziativa, ma aggiunse che l’incontro avrebbe avuto risvolti politici, e affermò “io di queste cose non me ne intendo, quindi è bene che lei senta il parere del cardinal Parolin”».
«Erano già le 9:30 di sera, perciò – continua Viganò – mi recai di persona con due dei consiglieri della nunziatura (un italiano e un lituano) all’albergo poco distante, dove era ospitato il seguito del papa. Poiché avevo preavvertito telefonicamente del mio arrivo, mi attendevano nella hall dell’hotel sua eccellenza monsignor Angelo Becciu (sostituto della Segreteria di Stato) e sua eccellenza monsignor Paul Gallagher (segretario per i Rapporti con gli Stati, responsabile della sezione politica della Segreteria di Stato). Essi mi avvertirono subito che il cardinal Parolin si era già ritirato nella sua stanza, e non ritennero opportuno disturbarlo, dato che facilmente avrebbero potuto metterlo al corrente del nostro incontro la mattina seguente».
«Ci riunimmo, quindi, in un salottino dell’albergo. Come ho già detto eravamo in cinque. Consegnai a loro lo stesso appunto che avevo dato al papa, esponendone il contenuto e spiegando il motivo della mia visita, che era stata richiesta dal papa. Dopo le considerazioni sul caso, monsignor Becciu si mostrò immediatamente favorevole a che il papa avesse a ricevere privatamente la Davis, prima che lasciasse Washington per New York. Monsignor Gallagher, pur mostrandosi favorevole all’idea, attesa l’importanza di difendere il diritto all’obiezione di coscienza, disse che era opportuno verificare dal punto di vista del “common law” se vi fossero ragioni che sconsigliavano l’incontro, e cioè se la procedura giudiziaria intentata alla Davis era conclusa o ancora aperta. Lo feci quindi parlare al telefono con il canonista della nunziatura, il quale prima di diventare sacerdote era stato giudice nei tribunali militari americani e poi professore di diritto canonico. Dopo il colloquio chiarificatore con il canonista, il quale disse che non c’erano ostacoli procedurali, monsignor Gallagher diede un parere incondizionatamente favorevole a che il papa avesse a ricevere la Davis».
«L’indomani mattina, dopo la Messa che il papa aveva concelebrato con noi in nunziatura, riferii al papa il parere positivo dei suoi due principali collaboratori, i quali avrebbero poi riferito al cardinal Parolin del nostro incontro. Il papa diede quindi il suo consenso, ed io organizzai il modo per far venire in nunziatura la Davis senza che nessuno se ne accorgesse, facendola accomodare in un salotto separato. Tutto fu molto facilitato dal fatto che la Davis si trovava già a Washington, dove era stata invitata per ricevere un riconoscimento ufficiale (The Cost of Discepleship Award) dal Family Research Council. Prima che avvenisse detto incontro, avvertii il fotografo dell’Osservatore Romano che non avrebbe dovuto rilasciare le fotografie di questo incontro senza l’autorizzazione dei superiori. Egli naturalmente osservò la consegna, ma prese molte fotografie, mai pubblicate, attualmente custodite nell’archivio fotografico dell’Osservatore Romano. Così pure feci previamente promettere alla Davis che non ne avrebbe dato notizia ai media se non dopo il ritorno del papa a Roma al termine della visita pastorale negli USA. La Davis mantenne fedelmente la sua promessa».
«Il papa, nel primo pomeriggio del 24 settembre, prima di partire per New York, entrò come previsto nel salotto dove lo aspettavano la Davis e suo marito, l’abbracciò affettuosamente, ringraziandola per il suo coraggio, e invitandola a perseverare. La Davis rimase molto emozionata e si mise a piangere. Fu poi ricondotta al suo albergo su un’auto guidata da un gendarme pontificio, accompagnata da un monsignore americano dello staff della nunziatura».
Prosegue Viganò: «Rientrato il papa a Roma da Filadelfia dopo l’Incontro mondiale con le famiglie, la notizia del suo incontro con la Davis scoppiò su tutti i media. Una valanga di telefonate, fax e email arrivarono alla nunziatura di Washington e alla Sala Stampa Vaticana, molti con insulti e proteste, ma anche tanti favorevoli all’incontro del papa con la Davis. Il New York Times, in un articolo del 30 settembre del 2015, riporta che “Vatican officials initially would not confirm that the meeting occurred, finally doing so on Wednesday afternoon, while refusing to discuss any details” [”I funzionari vaticani inizialmente non confermarono che l’incontro fosse avvenuto, poi lo fecero mercoledì pomeriggio, ma rifiutando di entrare nei dettagli”]. La Sala Stampa Vaticana emise poi un comunicato, senza che mai io fossi consultato dai superiori dalla Segreteria di Stato, in cui si affermava che il papa non aveva mai ricevuto in udienza privata la Davis, e che al massimo avrebbe potuto averla salutata tra molte altre persone prima di partire per New York».
Il New York Times del 2 ottobre 2015 scrive: «But the Rev. Thomas Rosica, a Vatican spokesman, said on Friday that the office of Archbishop Viganò had extended the invitation to Ms. Davis and that the pope was probably not briefed about her case. And the Rev. Federico Lombardi, the chief Vatican spokesman, depicted the meeting as one meet-and-greet among many”». Insomma, secondo la versione ufficiale Viganò estese l’invito alla signora Davis ma il papa probabilmente non era stato informato sul suo caso, e padre Lombardi, allora direttore della sala stampa vaticana, derubricò l’incontro a un rapido saluto informale.
Continua Viganò: «L’indomani mattina, verso le sei ora di Washington – ricordo bene perché ero appena entrato nella cappella della nunziatura – ricevevo una telefonata concitata dal Cardinal Parolin, il quale mi disse “Devi venire subito a Roma perché il papa è furioso con te!”».
«Partii appena mi fu possibile e fui ricevuto dal papa alla Domus Sanctae Marthae, verso le sette di sera del 9 ottobre, alla conclusione di una delle sessioni pomeridiane del secondo Sinodo sulla famiglia. Il papa mi ricevette per quasi un’ora, in modo affettuoso e paterno. Si scusò immediatamente con me, per avermi dato questo disturbo di venire a Roma, e si effuse in continui elogi nei miei confronti per come avevo organizzato la sua visita negli USA, per l’incredibile accoglienza che aveva ricevuto in America, come mai si sarebbe aspettato. Con mia grandissima sorpresa, durante questo lungo incontro, il papa non menzionò neanche una volta l’udienza con la Davis!».
«Appena terminata la mia udienza con il papa, telefonai subito al Cardinal Parolin, e gli dissi: “Il papa è stato buonissimo con me. Non una parola di rimprovero, solo elogi per il successo della sua visita negli Usa”. Al che il Cardinal Parolin mi rispose: “Non è possibile, perché con me era furioso nei tuoi confronti”. Questo il riassunto degli eventi».
Afferma dunque Viganò: «Come menzionato all’inizio, il 28 agosto 2018, il New York Times riportava un’intervista con Juan Carlos Cruz, in cui il Cruz riferiva che durante il suo incontro con il papa, nell’aprile 2018, Francesco gli avrebbe parlato del caso della Davis. Secondo Cruz il papa avrebbe affermato “I did not know who the woman was [non sapevo chi fosse la donna] and he [Msgr. Viganò] snuck her to say hello to me [la intrufolò per un rapido saluto] and of course they made a whole publicity out of it [fecero una grande pubblicità fuori]. And I was horrified [rimasi inorridito] and I fired that nuncio [licenziai quel nunzio]”».
Ora, dichiara Viganò, «uno dei due mente». Ma Chi? Cruz o il papa?
«Quello che è certo – scrive Viganò – è che il papa sapeva benissimo chi fosse la Davis, e lui e i suoi stretti collaboratori avevano approvato l’udienza privata. I giornalisti possono sempre verificare, chiedendo ai prelati Becciu, Gallagher e Parolin, nonché al papa stesso».
«È comunque evidente – conclude Viganò nella sua dichiarazione firmata – che papa Francesco ha voluto nascondere l’udienza privata con la prima cittadina americana condannata e imprigionata per obiezione di coscienza».
Aldo Maria Valli
Chi volesse leggere l’intero documento di monsignor Viganò lo trova qui: Caso Kim Davis