Quando il silenzio non è d’oro
Penso che il modo in cui la maggior parte dei mass media si sta occupando della vicenda del memoriale di monsignor Carlo Maria Viganò passerà alla storia del giornalismo. Ma non nel capitolo «Esempi d seguire», bensì nel capitolo «Ecco quel che non si deve fare».
Consiglio la lettura del commento di Damian Thompson su The Spectator, «How the media are covering up for Pope Francis».
«È deprimente – scrive Thompson – vedere i media, sia cattolici sia laici, proteggere papa Francesco dall’accusa esplosiva fatta dal suo ex nunzio negli Stati Uniti, e cioè che ha consapevolmente coperto e tenuto in vita la carriera del cardinale Theodore McCarrick, predatore seriale gay».
L’arcivescovo Carlo Maria Viganò nella sua testimonianza dice di aver personalmente riferito a Francesco nel giugno 2013 che McCarrick aveva «corrotto generazioni di seminaristi e sacerdoti». Eppure il cardinale è rimasto libero di viaggiare, parlare e raccogliere fondi (la sua specialità) fino a quando, travolto dallo scandalo, ha dato le dimissioni (luglio di quest’anno) e il papa non ha potuto fare altro che accettarle.
Thompson ricorda che, sebbene Viganò nel memoriale non ne accenni (perché non fa parte delle vicende di cui è stato testimone) il papa si era già comportato in modo analogo in passato, nei confronti del cardinale Godfried Danneels (un grande elettore di Bergoglio), il quale, pur essendo stato condannato a un’ammenda di 500 mila franchi per aver protetto un parroco gay abusatore, fu invitato da Francesco al sinodo dei vescovi sulla famiglia del 2014.
Ovviamente nessuno nella grande stampa ha rievocato quel precedente, così come nessuno ha ricordato la lunga difesa di Bergoglio nei confronti del vescovo Barros del Cile, l’insabbiatore dei crimini del prete abusatore Karadima, una difesa dalla quale il papa ha cercato di salvarsi in corner (ma in modo assai confuso, introducendo una fumosa differenza tra «prove» ed «evidenze») solo dopo che l’Associated Press ha reso nota una lettera che dimostra che Bergoglio già nel 2015 era stato informato di tutto.
Anziché indagare in queste direzioni, e stabilire eventuali connessioni, la grande stampa ha preferito scagliarsi contro Viganò, bollandolo come strumento nelle mani di un complotto dei tradizionalisti. Un bel modo di fare giornalismo, non c’è che dire.
Come scrive Michael Meier sul Tages-Anzeiger di Zurigo, ammettiamo pure che i tradizionalisti abbiano ordito un complotto e che Viganò sia al loro servizio. E allora? Anche se fosse, resta che le accuse mosse da Viganò attendono una risposta.
Commento di Thompson: «La copertura evasiva di questo scandalo da parte degli intransigenti del Team Francesco è impossibile da giustificare. Alcuni “giornalisti” dovrebbero chiedersi se sono diventati complici nel nascondere l’abuso sessuale. Nel frattempo, la maggior parte dei media laici – ormai quasi privi di specialisti religiosi – si aggrappa pigramente alla narrazione di Francesco come un “Grande Riformatore”.»
Secondo Thompson i cattolici liberal (noi diciamo progressisti o, meglio ancora, modernisti) e i media mainstream ci stanno ingannando su due punti cruciali. Prima di tutto, insistendo sulle motivazioni di Viganò distolgono l’attenzione dalla vera questione, che è stabilire se le affermazioni di Viganò sono vere o no. Punto rispetto al quale nessuno, a partire dal papa, ha ancora risposto. E poi si rifiutano di ammettere che se le malefatte di McCarrick pesano sui pontificati di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, stanno pesando anche su quello di Francesco. Giovanni Paolo II purtroppo nominò McCarrick arcivescovo di Washington e lo fece cardinale sebbene i sospetti sullo Zio Ted fossero diffusi (per informazioni chiedere alla precedente diocesi, Newark). Benedetto XVI purtroppo agì tardi e in modo troppo blando, né ebbe la forza di far rispettare le sue indicazioni. Infine Francesco è accusato di aver sostanzialmente coperto McCarrick, per almeno cinque anni, quando ormai non conoscere i comportamenti degeneri del cardinale era impossibile. Ma la grande stampa, anziché mettere in luce questi punti, continua nella solita narrativa: Francesco Grande Riformatore nel mirino dei cattivi tradizionalisti.
Conclusione di Thompson (qui il suo articolo: https://spectator.us/2018/08/how-the-media-are-covering-up-for-pope-francis/): «Se il capo di un’altra organizzazione si fosse reso colpevole di tali complicità, non solo sarebbe stato costretto a dimettersi, ma avrebbe potuto finire sul banco degli imputati».
Intanto, se vi resta un po’ di tempo, vi consiglio di fare un giro (è sempre utile) nel blog del mitico Father Z, ovvero padre John Zuhlsdorf, il quale, di fronte alle mancate risposte di Francesco, è andato a spulciare tra le affermazioni del papa nella Evangelii gaudium (2013), dallo stesso Francesco considerata la magna charta del suo pontificato.
Ebbene, leggete un po’ qui che cosa scriveva il papa a proposito delle situazioni di conflitto tra posizioni e idee diverse.
«Di fronte al conflitto, alcuni semplicemente lo guardano e vanno avanti come se nulla fosse, se ne lavano le mani per poter continuare con la loro vita. Altri entrano nel conflitto in modo tale che ne rimangono prigionieri, perdono l’orizzonte, proiettano sulle istituzioni le proprie confusioni e insoddisfazioni e così l’unità diventa impossibile. Vi è però un terzo modo, il più adeguato, di porsi di fronte al conflitto. È accettare di sopportare il conflitto, risolverlo e trasformarlo in un anello di collegamento di un nuovo processo. “Beati gli operatori di pace” (Mt 5,9)» (n. 227).
Nobili parole. Da confrontare con la risposta che il papa, sul memoriale Viganò, ha dato ai giornalisti durante il volo di ritorno da Dublino: «Leggete voi, attentamente, il comunicato e fate voi il vostro giudizio. Io non dirò una parola su questo. Credo che il comunicato parla da sé stesso, e voi avete la capacità giornalistica sufficiente per trarre le conclusioni. È un atto di fiducia: quando sarà passato un po’ di tempo e voi avrete tratto le conclusioni, forse io parlerò. Ma vorrei che la vostra maturità professionale faccia questo lavoro: vi farà bene, davvero. Va bene così».
Me le parole della Evangelii gaudium, aggiungo io, vanno confrontate anche con quelle che il papa ha detto ieri, durante la messa del mattino a Santa Marta, durante un’omelia che i mass media omaggianti hanno interpretato all’unisono come una risposta a Viganò: «Dire la sua e poi tacere. Perché la verità è mite, la verità è silenziosa, la verità non è rumorosa… Con le persone che non hanno buona volontà, con le persone che cercano soltanto lo scandalo, che cercano soltanto la divisione, che cercano soltanto la distruzione, anche nelle famiglie: silenzio. E preghiera».
Ecco la tattica. Chi non è in linea, chi non entra nel Team Francesco, è automaticamente uno che cerca non la verità, non risposte, ma solo scandalo e divisione. Dunque, silenzio.
E in effetti di silenzi Francesco ne sta accumulando parecchi.
Quattro cardinali gli inviano i dubia su Amoris laetitia? Silenzio.
Un bel numero di cattolici gli fa giungere una correctio filialis in cui denunciano gli errori di Amoris laetitia? Silenzio.
Gli fanno osservare che ha nominato prelato dello Ior e responsabile di Casa Santa Marta un monsignore che a Montevideo viveva more uxorio con un comandante della guardia svizzera? Silenzio.
Perché non va in Argentina? Silenzio.
Non rispondere (oppure lanciare messaggi obliqui e dal tono allusivo, come sul volo di ritorno da Dublino) è un modo costruttivo di porsi di fronte al conflitto?
Immaginiamo già la risposta. Silenzio.
Aldo Maria Valli