In Vaticano “regna un clima di paura e di incertezza”. “Francesco è molto bravo nel mettere in moto le cose, ma alla fine ci sono solo oscillazioni”. “Fin dall’inizio non ho mai creduto a una sua parola”.
Voci uscite dal Vaticano. Voci anonime. Sappiamo solo che tra esse c’è anche quella di un cardinale. Il giornale che le pubblica è il tedesco Der Spiegel, che dedica al papato di Francesco una lunga inchiesta.
Dunque, stando a queste testimonianze, in Vaticano il clima sarebbe di paura ma anche di incertezza. Paura perché chi è critico si sente sotto controllo, non libero di esprimere le proprie valutazioni. Incertezza perché spesso, come nel caso della comunione per i coniugi protestanti dei cattolici (questione molto avvertita in Germania), non c’è una linea chiara.
Il quadro che emerge dall’inchiesta contrasta con l’immagine pubblica del papa argentino e del suo pontificato. A dispetto delle richieste, più volte avanzate da Francesco, di parresia, ossia di libertà e coraggio nell’esprimere le proprie idee, anche in contrasto con quelle del papa, nei sacri palazzi dominerebbe non la trasparenza, ma il sospetto. Il giornale riporta un giudizio di Marie Collins, ex membro della commissione vaticana per la tutela dei minori, secondo la quale alle “belle parole in pubblico” corrisponderebbero “azioni opposte a porte chiuse”.
Der Spiegel non è certamente noto per la pacatezza dei suoi giudizi. Tempo fa, per esempio, l’ambasciata d’Italia in Germania fu costretta a protestare per un articolo nel quale il giornale tedesco lanciava un durissimo attacco al nuovo governo italiano (“promette agli italiani il paradiso in terra ma vuol far pagare il conto ai vicini”, l’Italia è un “paese di scrocconi”), tuttavia i risultati dell’inchiesta coincidono con le valutazioni che, sia pure a mezza bocca e sempre dietro rigoroso anonimato, arrivano sempre più spesso dai sacri palazzi.
Uno dei problemi di maggiore portata, riferisce il giornale, è il silenzio dietro al quale il papa si trincera davanti a questioni che non possono essere ignorate. Ha taciuto di fronte alle critiche mosse dai quattro cardinali con i dubia, ha taciuto di fronte al memoriale dell’arcivescovo Viganò, ha taciuto di fronte alla petizione di migliaia di donne cattoliche che gli hanno scritto chiedendogli di rispondere chiaramente alle osservazioni dell’ex nunzio negli Usa. “Il papa – si chiede dunque il giornale – è ancora padrone della situazione?”.
Gli inviati dello Spiegel sono andati anche in Argentina e qui, a differenza che in Vaticano, hanno trovato persone disposte a parlare a viso aperto. Particolarmente rilevante è la testimonianza di una donna, Julieta Añazco, abusata sessualmente da un prete, Ricardo Giménez, quando aveva solo sette anni. L’abuso avvenne in una tenda, durante un campeggio di bambini, approfittando del sacramento della confessione.
Julieta, originaria di La Plata, non lontano da Buenos Aires, solo in seguito ha scoperto che padre Giménez era già stato trasferito a causa di precedenti accuse di abuso su minori.
Nel 2013, qualche mese dopo l’elezione di Bergoglio, Julieta e altre tredici vittime di padre Giménez decisero di scrivere una lettera al papa. Descrivevano i fatti, spiegavano quanto forte fosse ancora la loro sofferenza, raccontavano che alcuni soffrivano di depressione (fino al tentato suicidio) e che altri erano caduti nella tossicodipendenza, mentre il prete abusatore continuava a celebrare la messa ed a stare a contatto con bambini e giovani.
La lettera fu inviata a Francesco, per posta raccomandata, nel dicembre 2013. Tre settimane dopo, racconta Julieta, dall’Italia arrivò un avviso di ricevimento, ma dal papa solo silenzio. “Non abbiamo saputo più nulla”. E don Giménez nel frattempo è stato ancora trasferito: ora presta servizio in una casa di cura per anziani.
Secondo lo Spiegel, durante il periodo in cui Bergoglio fu arcivescovo molte delle vittime degli abusi a Buenos Aires si rivolsero a lui per chiedere aiuto, ma “a nessuno fu permesso di parlargli”. Julieta Añazco e altre vittime ora chiedono che contro i loro violentatori si arrivi a un processo da parte delle autorità argentine. Ben sessantadue, riferisce il giornale, sarebbero i processi di questo tipo in corso nel paese sudamericano.
Tuttavia, dice Julieta, “la situazione per noi resta difficile, perché nessuno ci crede; vorremmo raggiungere il papa, ma non è interessato a noi”.
Un altro testimone che parla senza rifugiarsi dietro l’anonimato è Juan Pablo Gallego, legale di alcune vittime di abusi, il quale arriva addirittura a sostenere che “Francesco è ora in esilio a Roma: lì, per così dire, ha trovato rifugio”.
Particolarmente scottante è la vicenda di padre Julio César Grassi, arrestato e chiuso in carcere per aver abusato di ragazzi nella fascia di età compresa tra undici e diciassette anni. Secondo Gallego, Bergoglio fu il confessore di Grassi e ordinò a uno studio legale un corposo rapporto, di 2.600 pagine, per difendere Grassi dalle accuse.
“Nel 2006 – riferisce Gallego – ebbi una conversazione con Bergoglio. Stava sulle sue, diffidente, e non disse nulla sul fatto che la Chiesa pagava gli avvocati di Grassi. L’immagine attuale, di un papa Francesco aperto e comprensivo, non combacia con quella dell’uomo davanti al quale mi trovai in quel momento”.
Di recente, all’interno di un documentario Intitolato Abusi sessuali nella Chiesa: il codice del silenzio
si vede una giornalista che, all’inizio di un’udienza in piazza San Pietro, pone al papa, a gran voce e in spagnolo, una domanda specifica sul caso Grassi: “Santità, circa il caso Grassi, lei ha cercato di influenzare la giustizia argentina?”. Il papa, che in un primo tempo sembra non cogliere la domanda, a un certo punto si ferma e guarda la giornalista con l’aria di chi non ha capito bene. Allora l’inviata ripete la domanda in modo ancora più chiaro, scandendo le parole, al che il papa, scuotendo la testa, e con un’espressione che è un misto di stupore e disprezzo, risponde: “Nada”. La giornalista tuttavia non demorde e chiede: “Perché ha commissionato una contro-inchiesta?”. E il papa, di nuovo, accompagnando le parole con un gesto della mano, risponde: “Non l’ho mai fatto”.
Nel documentario, realizzato dal giornalista Martin Boudot, si ricorda che Bergoglio nel libro Il cielo e la terra, scritto dal futuro papa con il rabbino Abraham Skorka, a proposito di abusi sessuali commessi da preti dice: “Non è mai accaduto nella mia diocesi” (siamo a pagina 55 dell’edizione italiana, Mondadori), ma le testimonianze raccolte da Boudot vanno in senso contrario a questa affermazione.
Circa il caso Grassi, risulta che effettivamente nel 2010 la Conferenza episcopale argentina commissionò una contro-inchiesta tesa a screditare le vittime, accusate di “falsità, menzogne, inganno e invenzione”. Scopo del documento era ribaltare il giudizio del tribunale di primo grado, che aveva condannato il prete a quindici anni di carcere. “Una sottile pressione sui giudici” la definì uno dei giudici della commissione d’appello.
Avvicinato da Boudot, un giovane, una delle vittime di Grassi, ha raccontato della sua paura di ritorsioni. Ha detto di aver ricevuto minacce e che qualcuno è entrato in casa sua per rubare materiale relativo al processo: “Alla fine il tribunale mi ha inserito in un programma di protezione dei testimoni. Non dimenticherò mai quello che padre Grassi continuava a ripetere durante il processo: Bergoglio, diceva, non ha mai lasciato la mia mano”.
Boudot ha chiesto di poter intervistare il pontefice, ma gli è stato negato.
Aldo Maria Valli