Un gruppo di indagine, per passare al setaccio le vite dei cardinali che fanno parte del sacro collegio e verificarne scelte e comportamenti a proposito di scandali, abusi o coperture. Il tutto allo scopo di rendere possibile la scelta di un futuro papa non compromesso.
La notizia arriva dagli Stati Uniti e i dettagli, in effetti, sono molto americani. Con il tipico pragmatismo che domina da quelle parti, e con una grande fiducia nel potere del denaro, circa cento persone (tutte, a quanto pare, con risorse economiche di un certo livello e orientamento conservatore) si sono riunite per produrre quello che hanno definito il Red Hat Report (il Dossier berretta rossa, potremmo tradurlo), ovvero un rapporto su tutti i cardinali eleggibili nel prossimo conclave, così da facilitare l’individuazione di un candidato papa che non abbia nulla a che fare con vicende legate a scandali, abusi e insabbiamenti e che si sia dimostrato attivo nel combattere la corruzione morale.
I membri del gruppo, tra i quali figurano accademici, giornalisti e perfino ex agenti dell’Fbi, hanno fatto sapere che prevedono di spendere, per la loro attività di indagine, circa un milione di dollari nel corso del primo anno. Soldi ben spesi, ritengono i promotori dell’iniziativa, che vogliono rispondere così a una crisi che sta scuotendo nelle fondamenta la Chiesa cattolica degli Usa.
Dopo il rapporto del gran giurì della Pennsylvania, su circa trecento preti che hanno commesso abusi nei confronti di più di mille vittime nel corso di settant’anni, la vicenda dell’ex cardinale McCarrick e la pubblicazione del memoriale dell’ex nunzio Carlo Maria Viganò, nell’opinione pubblica americana la questione degli abusi nella Chiesa sta tenendo banco molto più che da noi. A metà settembre otto Stati hanno annunciato indagini e il Vaticano è sempre più nel mirino, con l’accusa di aver ignorato o addirittura coperto il marciume.
In questo contesto ecco la nascita del nuovo gruppo, che si definisce di Better Church Governance, ovvero a favore di un miglior governo della Chiesa, ed i cui componenti non nascondono la scarsa fiducia nell’attuale pontificato, tanto che il direttore, Jacob Fareed, è arrivato a chiedersi: “E se nel 2013 avessimo avuto qualcun altro? Qualcuno più attivo nel proteggere innocenti e giovani?”.
L’iniziativa, almeno per la sensibilità europea, sa molto di provocazione, ma a quanto pare il gruppo fa sul serio. La prima riunione c’è già stata, nella sede dell’Università Cattolica d’America (che comunque ha precisato di non essere coinvolta e di aver soltanto messo a disposizione una sala), e i promotori hanno detto di voler vigilare a vasto raggio: non si occuperanno solo di abusi, ma terranno d’occhio anche il grado di adesione dei cardinali ai “valori tradizionali”.
Certamente l’iniziativa è destinata a suscitare polemiche e ad alimentare ulteriori frammentazioni in una Chiesa, quella americana, già profondamente divisa. “Almeno – ha scritto via Twitter James Martin, il gesuita schierato dalla parte della causa Lgbt – i promotori sono trasparenti nel loro odio”.
Da quel che si sa, i risultati contenuti nel Red Hat Report saranno disponibili al pubblico e il dossier relativo a ogni cardinale includerà una valutazione con tutte le prove disponibili circa eventuali scandali. “I cardinali devono essere ritenuti responsabili pubblicamente, quindi deve esserci una sorta di cultura della vergogna”, ha detto Jacob Fareed.
Il primo rapporto sarà pubblicato entro l’aprile 2020 e ogni cardinale riceverà una valutazione basata su una serie di parametri.
“Così faremo in modo che il papato sia in buone mani” ha detto Fareed, che si è convertito al cattolicesimo dall’Islam nel 2015. “Sarà difficile, lo riconosciamo. Porteremo avanti l’impegno anche con la preghiera e il digiuno. Non possiamo permettere che bambini, innocenti e giovani seminaristi continuino a essere colpiti”.
Secondo Fareed e gli altri artefici del gruppo, uno degli obiettivi è che la pagina di Wikipedia relativa a ogni cardinale riporti la valutazione Better Church Governance, così che i lettori possano farsi un’idea.
“Il nostro obiettivo è promuovere la trasparenza, l’onestà e la responsabilità all’interno delle strutture della Chiesa, a nome sia del clero sia dei laici”, dice Philip Nielsen, direttore esecutivo del gruppo e redattore capo del Red Hat Report.
Kurt Martens, professore di diritto canonico alla Catholic University of America, si è chiesto via twitter se il gruppo sia lecito. La costituzione apostolica di Giovanni Paolo II sull’elezione del papa, fa notare Martens, proibisce “qualsiasi interferenza esterna” in caso di conclave. Non solo: se i cardinali si lasciano influenzare incorrono nel rischio della scomunica. Ma Jacob Fareed ribatte che l’azione del gruppo avverrebbe prima del conclave, quando si tratta di prendere informazioni sui cardinali.
“Dossieraggio”, “spionaggio”: queste le accuse che l’iniziativa si è subito attirata. In realtà di spionaggio non sembra sia possibile parlare, visto che, almeno nelle intenzioni, tutto dovrebbe avvenire alla luce del sole. Certo è che, quanto meno, siamo di fronte a un gruppo di pressione, con l’intento di condizionare scelte e orientamenti dei cardinali. Difficile è anche non avvertire uno sgradevole sentore di maccartismo. Tuttavia la notizia induce a riflettere sul modo in cui, nell’epoca del “cittadino globale” e dei social network, si potrà interagire sempre di più con la vita della Chiesa, anche nei suoi momenti più delicati e decisivi. Come e in quale misura, nella nuova realtà, potrà sopravvivere quella cultura della segretezza che la Chiesa ha elaborato lungo i secoli anche come forma di autotutela?
Aldo Maria Valli