Un fantasma aleggia sul sinodo dei vescovi dedicato ai giovani, ed è l’acronimo LGBT, che sta per Lesbiche, Gay, Bisessuali, Transgender.
Il cardinale Lorenzo Baldisseri, segretario generale dell’assise, ha detto che l’espressione «gioventù LGBT», mai usata in precedenza nei documenti dalla Chiesa, è contenuta nel documento di lavoro che fa da base per la discussione, e vi è contenuta perché si troverebbe nel testo elaborato dai giovani invitati dal Vaticano a fornire le proprie indicazioni preliminari (testo per altro molto contestato da una parte dei giovani, che hanno fatto sapere di non sentirsi rappresentati dal documento finale).
In realtà l’acronimo LGBT nel testo uscito dal confronto fra i giovani non è mai citato, e quando, in conferenza stampa, l’inviata di LifeSiteNews, Diane Montagna, l’ha fatto notare al cardinale, Baldisseri è rimasto stupito. Tuttavia, incalzato dalla giornalista, non ha detto che l’acronimo (ripetiamo: mai usato finora in documenti ufficiali della Chiesa cattolica) sarà tolto. Ha detto invece che i padri sinodali ne discuteranno.
L’acronimo LGBT si trova nel paragrafo 197 dell’Instrumentum laboris, dove si legge: «Alcuni giovani LGBT, attraverso vari contributi giunti alla Segreteria del sinodo, desiderano “beneficiare di una maggiore vicinanza” e sperimentare una maggiore cura da parte della Chiesa, mentre alcune conferenze episcopali si interrogano su che cosa proporre “ai giovani che invece di formare coppie eterosessuali decidono di costituire coppie omosessuali e, soprattutto, desiderano essere vicini alla Chiesa”».
La questione relativa all’uso dell’acronimo non è meramente formale. Nel Catechismo della Chiesa cattolica è scritto (n. 2357) che «l’omosessualità designa le relazioni tra uomini o donne che provano un’attrattiva sessuale, esclusiva o predominante, verso persone del medesimo sesso» e si raccomanda che queste persone siano trattate con il massimo rispetto, ma di LGBT non si parla, sia perché l’espressione possiede una forte connotazione ideologica sia perché riduce la persona alla dimensione sessuale, cosa inaccettabile per la Chiesa, che prende in considerazione la persona nella sua complessità e nella totalità di tutti i suoi aspetti.
Tuttavia nella Chiesa su questo punto ci sono posizioni diverse. Per esempio il gesuita James Martin, consulente per la comunicazione della Santa Sede, da tempo sostiene che la Chiesa dovrebbe riconoscere la cosiddetta comunità LGBT e dar vita a una pastorale adeguata, fondata sul riconoscimento della condizione di gay, lesbiche e transgender. Ecco dunque, da parte di alcuni, il tentativo di utilizzare il sinodo sui giovani per far passare questa visione.
Ben diverse le considerazioni dell’arcivescovo Charles Chaput di Filadelfia, che nel primo giorno del sinodo ha detto apertamente che l’espressione LGBT dovrebbe essere evitata nei documenti ufficiali della Santa Sede, perché la Chiesa non classifica le persone in base ai rispettivi orientamenti sessuali. Ecco perché, ha spiegato, non esiste e non può esistere un «cattolico LGBTQ» (la Q sta per Questioning, ovvero incerto, che si interroga) o un «cattolico transgender», così come non si parla di «cattolico eterosessuale». L’orientamento sessuale, di per sé, non è sufficiente per definire chi siamo.
Pubblicato da Catholic Herald (http://www.catholicherald.co.uk/news/2018/10/04/archbishop-chaput-tells-synod-lgbtq-should-not-be-used-in-documents/) l’intervento di Chaput merita di essere conosciuto, anche perché è facile immaginare che la grande stampa non ne parlerà.
Eccone dunque una sintesi.
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Chi siamo come creature, che cosa significa essere umani, perché dovremmo immaginare di avere una dignità speciale: queste le domande eterne, alla base di tutte le nostre ansie e conflitti. La risposta non si troverà nelle ideologie o nelle scienze sociali, ma solo nella persona di Gesù Cristo, redentore dell’uomo. Significa, naturalmente, che in primo luogo dobbiamo capire, in profondità, perché dobbiamo essere redenti.
Se ci manca la fiducia necessaria per predicare Gesù Cristo, senza esitazioni o scuse, ad ogni generazione, specialmente ai giovani, la Chiesa è solo un altro fornitore di devozioni etiche di cui il mondo non ha bisogno.
In questa luce, ho letto il capitolo IV dell’Instrumentum, paragrafi 51-63, con vivo interesse. Il capitolo fa un buon lavoro di descrizione delle sfide antropologiche e culturali affrontate dai nostri giovani. La descrizione dei problemi di oggi, e la necessità di accompagnare i giovani nel farvi fronte, sono i punti di forza dell’Instrumentum nel suo complesso. Ma credo che il paragrafo 51 sia fuorviante quando parla dei giovani come «guardiani e sismografi di ogni età». Si tratta di false lusinghe, che mascherano una perdita di fiducia degli adulti nell’eterna bellezza e potenza delle credenze che abbiamo ricevuto.
In realtà, i giovani sono troppo spesso prodotti dell’epoca, formati in parte dalle parole, dall’amore, dalla fiducia e dalla testimonianza dei genitori e degli insegnanti, ma più profondamente, oggi, da una cultura che è allo stesso tempo molto attraente ed essenzialmente atea.
Gli anziani della comunità di fede hanno il compito di trasmettere la verità del Vangelo di generazione in generazione, senza che essa sia danneggiata da compromessi o deformazioni. Eppure troppo spesso la mia generazione di leaders, nelle nostre famiglie e nella Chiesa, ha abdicato a questa responsabilità per una combinazione di ignoranza, codardia e pigrizia nel formare i giovani alla capacità di portare la fede nel futuro. Di fronte a una cultura ostile, formare le giovani vite è un lavoro duro. Lungo la mia vita ho visto che la crisi degli abusi sessuali nel clero è proprio il risultato dell’autoindulgenza e della confusione, presenti anche tra coloro che hanno il compito di insegnare e guidare. E i minori – i nostri giovani – ne hanno pagato il prezzo.
Infine, ciò che la Chiesa ritiene vero sulla sessualità umana non è un ostacolo. È l’unico vero cammino verso la gioia e l’integrità. Non esiste una cosa come un «cattolico LGBTQ» o un «cattolico transgender» o un «cattolico eterosessuale», come se i nostri appetiti sessuali definissero chi siamo; come se queste denominazioni descrivessero comunità distinte di diversa ma uguale integrità all’interno della vera comunità ecclesiale, il corpo di Gesù Cristo. Questo non è mai stato vero nella vita della Chiesa, e non è vero ora. Ne consegue che «LGBTQ» e linguaggi simili non dovrebbero essere usati nei documenti della Chiesa, perché il loro uso suggerisce che si tratta di veri e propri gruppi autonomi, e la Chiesa semplicemente non classifica le persone in questo modo.
Spiegare perché l’insegnamento cattolico sulla sessualità umana è vero, e perché è nobilitante e misericordioso, appare di cruciale importanza rispetto a qualsiasi discussione relativa a questioni antropologiche. Purtroppo, in maniera deplorevole, tutto ciò manca nell’Instrumentum laboris. Spero che le revisioni dei padri sinodali possano affrontare questo aspetto.
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Parole sulle quali meditare. E da usare per rimediare agli errori già commessi.
Aldo Maria Valli