Oggi, 11 ottobre , ricorre l’anniversario (anche allora, fra l’altro, era un giovedì) della solenne apertura del Concilio Vaticano II e della storica allocuzione di papa Giovanni XXIII: “Gaudet Mater Ecclesia”.
Avrei voluto scriverne prima, ma ho festeggiato una nipotina che oggi compie tre anni, e capite che i doveri di un nonno sono importanti!
Sarò sincero: c’è stato un tempo in cui mi sono identificato con il discorso di papa Giovanni. Allora pensavo che i “profeti di sventura”, come li chiamò Roncalli, fossero davvero tali. Poi ho dovuto constatare che avevano più di una ragione.
Quando risento l’incipit del discorso del papa (“Gaudet Mater Ecclesia… La Madre Chiesa si rallegra…) mi prende un misto di commozione e di sconforto. Commozione perché immagino i sogni coltivati da chi credeva nel Concilio in buona fede (dico che lo immagino perché all’epoca avevo quattro anni); sconforto perché gran parte di quei sogni si sono trasformati in incubi, come vediamo in questo nostro tempo.
Non sarà male, tuttavia, ricordare che in “Gaudet Mater Ecclesia” papa Giovanni, pur manifestando un ottimismo che oggi, alla luce degli eventi successivi, ci può apparire ingenuo, ribadisce ripetutamente la volontà di riaffermare e confermare il magistero.
Dice infatti in un passaggio centrale: “Nell’indire questa grandiosa assemblea, il più recente e umile Successore del Principe degli Apostoli, che vi parla, si è proposto di riaffermare ancora una volta il Magistero ecclesiastico, che non viene mai meno e perdura sino alla fine dei tempi”. E poi, più avanti: “Quel che più di tutto interessa il Concilio è che il sacro deposito della dottrina cristiana sia custodito e insegnato in forma più efficace”. E ancora: “… perché tale dottrina raggiunga i molteplici campi dell’attività umana, che toccano le persone singole, le famiglie e la vita sociale, è necessario prima di tutto che la Chiesa non distolga mai gli occhi dal sacro patrimonio della verità ricevuto dagli antichi”. E ancora: “Il ventunesimo Concilio ecumenico … vuole trasmettere integra, non sminuita, non distorta, la dottrina cattolica, che, seppure tra difficoltà e controversie, è divenuta patrimonio comune degli uomini”.
Come si vede, la volontà di confermare i fratelli nella fede, senza cambiarla, è ribadita più volte. Tuttavia “Gaudet Mater Ecclesia” contiene anche parole che hanno permesso di scardinare il proposito iniziale. Eccole: “Però noi non dobbiamo soltanto custodire questo prezioso tesoro, come se ci preoccupassimo della sola antichità, ma, alacri, senza timore, dobbiamo continuare nell’opera che la nostra epoca esige, proseguendo il cammino che la Chiesa ha percorso per quasi venti secoli … Altro è infatti il deposito della Fede, cioè le verità che sono contenute nella nostra veneranda dottrina, altro è il modo con il quale esse sono annunziate, sempre però nello stesso senso e nella stessa accezione”.
Ecco, è in questa fenditura che si sono infilati i fautori di quel “rinnovamento” che ha poi condotto agli abusi: il modo di presentare la dottrina. La stessa fenditura utilizzata anche oggi per cambiare quella dottrina che, secondo papa Giovanni, doveva invece restare immutata.
I paladini del rinnovamento, come vessillo, hanno scelto una parola: pastorale. Approfittando di un passaggio di “Gaudet Mater Ecclesia” nel quale il papa dice che “si dovrà adottare quella forma di esposizione che più corrisponda al magistero, la cui indole è prevalentemente pastorale”, è nata una sorta di ideologia della pastorale, un “pastoralismo” che ha poi condotto a numerose malattie, come lo spontaneismo (pensiamo alla liturgia!) e l’attivismo, ma anche il cedimento di fronte al laicismo e al secolarismo.
Ebbe un bel dire papa Giovanni che “è evidente come non mai che la verità del Signore rimane in eterno”. In realtà, nel momento stesso in cui invocò lo spirito pastorale aprì la porta alla contestazione dottrinale.
Ma c’è poi un altro passaggio di “Gaudet Mater Ecclesia” che fu utilizzato in modo strumentale. Si trova là dove il papa disse: “Quanto al tempo presente, la Sposa di Cristo preferisce usare la medicina della misericordia invece di imbracciare le armi del rigore”.
Ecco un’altra fenditura che ha permesso l’ingresso dell’equivoco, dell’abuso e dell’eterodossia. Accanto a “pastorale”, “misericordia” è diventata il vessillo dei rinnovatori a oltranza.
In “Gaudet Mater Ecclesia”, insomma, c’erano già i virus che hanno poi portato la Chiesa ad ammalarsi. E a poco valse il tentativo di bilanciamento attuato da papa Giovanni. È vero: lui disse che “la Chiesa cattolica, mentre con questo Concilio ecumenico innalza la fiaccola della verità cattolica, vuole mostrarsi madre amorevolissima di tutti, benigna, paziente, mossa da misericordia e da bontà verso i figli da lei separati”, ma la fiaccola della verità cattolica, in realtà, fu presto messa da parte e si puntò sempre di più su un’idea di misericordia sganciata dall’idea di giustizia.
Consiglio ai giovani, se non l’hanno ancora fatto, di leggere “Gaudet Mater Ecclesia”. Sono passati cinquantasei anni e la barca di Pietro, governata dai successori di Giovanni in acque spesso tempestose, ha continuato in un modo o nell’altro a navigare. Ma davvero lì, in “Gaudet Mater Ecclesia”, c’è già, in nuce, tutta la storia, e tutto il dramma, della Chiesa postconciliare.
Aldo Maria Valli