“Nella Chiesa del politicamente corretto Viganò riporta in primo piano il giudizio di Dio”
“Quando ho finito di leggere la terza testimonianza dell’arcivescovo Carlo Maria Viganò , ho avuto subito l’impressione di aver appena letto qualcosa che è destinato a rimanere come uno dei grandi momenti pastorali e letterari nella storia della Chiesa. C’è in quel documento un’aria di grandezza che non posso descrivere completamente. Sono rimasto sbalordito dalla sua qualità soteriologica, dal suo richiamo commovente e tuttavia netto al nostro giorno del giudizio. Oggi non sentiamo quasi mai vescovi o preti che parlano così!”.
Il commento è di monsignor Charles Pope, che così scrive sul National Catholic Register (http://www.ncregister.com/blog/msgr-pope/reflections-on-archbishop-viganos-courageous-third-letter) a proposito dell’ultima testimonianza resa nota dall’ex nunzio negli Stati Uniti Carlo Maria Viganò.
Monsignor Charles Pope, decano e pastore nell’arcidiocesi di Washington, non solo ribadisce che trova credibili le valutazioni e le accuse di Viganò, ma sottolinea quella che chiama la “qualità sacerdotale” che emerge dal testo.
“Per cominciare – scrive – [monsignor Viganò] ha ben presente la condizione morale delle anime. L’arcivescovo mette in guardia dal pericolo rappresentato per le anime dei fedeli dal silenzio e dalle azioni confuse di molti vescovi e sacerdoti e del papa stesso. Lamenta che tutto ciò, insieme alla sottocultura omosessuale nella Chiesa, continua a provocare gravi danni alla Chiesa, danni per tante anime innocenti, per tante giovani vocazioni sacerdotali e per i fedeli in generale”.
Molto tempo fa, osserva Charles Pope, e in un mondo che sembra essere una galassia lontana, quelle che emergono dalla testimonianza di Viganò erano le prime e fondamentali preoccupazioni della maggior parte dei sacerdoti, che si occupavano della salute morale delle anime, inclusa la propria. Oggi invece molti vescovi e sacerdoti, così altri dirigenti della Chiesa e, d’altra, come molti genitori, piuttosto che dell’effettiva condizione morale sembrano molto più preoccupati dei sentimenti e della felicità emotiva di coloro che sono sotto la loro cura”.
Ciò di cui si preoccupano in massima parte i pastori, denuncia Pope, è la correttezza politica di ciò che dicono. Che una persona sia contenta e affermata è oggi apparentemente più importante della chiamata al pentimento e alla guarigione in vista del giorno del giudizio. La felicità apparente ed effimera eclissa la felicità vera ed eterna. Inoltre c’è un silenzio assordante di fronte al peccato. Tutto ciò è sintomo di “una perdita di fede” e di un “blando universalismo” in base al quale tutti, o la grande maggioranza, sono destinati al paradiso, mentre la possibilità dell’inferno è quasi del tutto respinta e raramente predicata.
In questo quadro, scrive Pope, le parole dell’arcivescovo Viganò suonano come quelle di un pastore “vecchi tempi”: prende sul serio i moniti di Gesù sul giorno del giudizio e il bisogno inderogabile di decidere chi vogliamo servire, Dio o il mondo, il Vangelo o la cultura popolare.
Il finale della testimonianza ha particolarmente colpito Pope, per come fa appello agli altri pastori. Eccoli: “Potete scegliere di ritirarvi dalla battaglia, continuare nella cospirazione del silenzio e distogliere lo sguardo dall’avanzare della corruzione. Potete inventare scuse, compromessi e giustificazioni che rimandano il giorno della resa dei conti. Potete consolarvi con la doppiezza e l’illusione che sarà più facile dire la verità domani e poi ancora il giorno dopo. Oppure potete scegliere di parlare. Fidatevi di Colui che ci ha detto ‘la verità vi renderà liberi’. Non dico che sarà facile decidere tra il silenzio e il parlare. Vi esorto a considerare quale scelta sul letto di morte e davanti al giusto Giudice non avrete a pentirvi di aver preso”.
Queste, dice monsignor Pope, sono parole “potenti”. Richiamano san Giovanni Crisostomo, papa san Gregorio Magno, sant’Alfono Maria de’ Liguori. “Non ricordo di aver ascoltato molte volte un vescovo moderno o anche un sacerdote che abbia parlato in questo modo”.
“Molti fedeli che mi scrivono – aggiunge Pope – dicono che i loro sacerdoti e vescovi non menzionano mai il peccato mortale, l’inferno o il giudizio. E se predicano sul peccato usano astrazioni e stanno sulle generali, ricorrono ad eufemismi ed a termini sicuri come ‘ingiustizia’ e ‘ferita’. Nella sua lettera invece l’arcivescovo Viganò scrive come se non avesse mai preso in considerazione il promemoria che chiede ai pastori di usare parole così confuse che nessuno ha davvero idea di cosa stai dicendo. No, l’arcivescovo esce allo scoperto e dice: “Questa gravissima crisi non può essere correttamente affrontata e risolta fintanto che non chiamiamo le cose con il loro vero nome. Questa è una crisi dovuta alla piaga dell’omosessualità, in coloro che la praticano, nelle sue mozioni, nella sua resistenza ad essere corretta. Non è un’esagerazione dire che l’omosessualità è diventata una piaga nel clero e che può essere debellata solo con armi spirituali. È un’ipocrisia enorme deprecare l’abuso, dire di piangere per le vittime, e però rifiutare di denunciare la causa principale di tanti abusi sessuali: l’omosessualità. È un’ipocrisia rifiutarsi di ammettere che questa piaga è dovuta ad una grave crisi nella vita spirituale del clero e non ricorrere ai mezzi per porvi rimedio”.
Bisogna ammettere, commenta monsignor Charles Pope, che pochissimi vescovi o sacerdoti disposti a parlare in modo così chiaro, lasciando da parte gli eufemismi. Ci sono delle eccezioni, ma sono troppo poche.
Papa Francesco, dice Pope, non risponde. “Ha intrapreso una politica di ambiguità armata e quando gli vengono poste domande legittime risponde con il silenzio”. Né si può dimenticare che solo quattro cardinali hanno manifestato i loro dubia. “Perché? Dove sono gli altri? Nelle ultime settimane il papa ha persino lasciato intendere che potrebbe esserci un’indagine negli archivi vaticani. Ma quando? Come? E fino a che punto?”.
“Sono profondamente grato per la dose di religione dei vecchi tempi che l’arcivescovo Viganò ci ha donato. È bello sentire un arcivescovo chiamare il peccato per nome; mostrare preoccupazione per la condizione morale delle anime, non solo per lo stato emotivo; mettere in guardia dal giudizio e convocare tutti noi per decidere, non solo per nascondere, offuscare e preoccuparsi di andare d’accordo con tutti, mentre le anime si perdono… Alcuni saranno sicuramente irritati dal linguaggio forte dell’arcivescovo. Ma vi chiedo: è davvero così diverso dal modo in cui parlò il Signore Gesù?”
A giudizio di monsignor Pope, la lettera dell’arcivescovo Viganò passerà alla storia come uno dei più grandi momenti di integrità pastorale, in un’epoca di timido silenzio da parte di troppi alti prelati e sacerdoti. “Possa il coraggio dell’arcivescovo ispirare molti altri a farsi avanti rispettosamente ma chiaramente, insistendo sulla necessità delle risposte e sull’onestà. Possa il suo avvertimento circa il giorno del Giudizio essere salutare. Che il pentimento, il rinnovamento e il coraggio possano crescere nella realtà della Chiesa di Dio!”.
Aldo Maria Valli