Teste mozzate in chiesa. Se l’arte è all’insegna del “famolo strano”

E adesso abbiamo anche l’altare delle teste mozzate. Succede a Gallarate, industriosa cittadina in provincia di Varese, dove, nella basilica di Santa Maria Assunta, il nuovo altare è composto da due lastre, una sopra e una sotto, in mezzo alle quali ci sono cento teste. Tutte a vista, in onice bianco, appartenenti a personaggi storici, pagani e cristiani (http://www.ticinolive.ch/2018/11/12/gallarate-quellaltare-di-teste-mozzate-che-non-piace/)

L’effetto è piuttosto raccapricciante e viene da chiedersi che cosa c’entrino le teste mozzate con un altare cattolico. È vero che presso certe popolazioni l’altare veniva usato per praticare sacrifici umani e forse in tali occasioni alcune teste venivano mozzate. Ma il sacrificio che si compie sopra un altare cattolico, in fin dei conti, è di un altro genere.

Opera di Claudio Parmiggiani e consacrato alla presenza dell’arcivescovo di Milano, Mario Delpini, l’altare, secondo la spiegazione fornita dal vicario episcopale Ivano Valagussa, ha un preciso significato: “I volti che compongono l’altare sono tutti raccolti in unità, le due lastre bianche uniscono le persone, testimoni del flusso della storia; tutti sono chiamati per volontà di amore ad essere una sola cosa in Gesù Cristo, il suo corpo offerto al Padre, l’umanità nuova trasfigurata dal dono dello Spirito, vero tempio di Dio edificato con pietre vive per essere abitazione di Dio stesso tra gli uomini. La celebrazione del memoriale della Pasqua, l’Eucaristia, è attrazione, convocazione, comunione, sacrificio per una santità di vita che si esprime nella fraternità, nel servizio, nella carità e nella missione evangelica. Da qui nasce la Chiesa dalle genti e in uscita”.

Secondo l’autore, “il nuovo altare per la basilica di Santa Maria Assunta di Gallarate si riassume in una mensa derivante dalla giustapposizione di due luminose lastre marmoree sovrapposte che trattengono e proteggono, quasi materno pellicano, una moltitudine di teste antiche; reliquie ed emblemi di una sacralità, di una umanità, di una totalità”.

Materno pellicano?

Io sono un povero ignorante, ma intuisco che quando un’opera ha bisogno di così tante ed elaborate spiegazioni, c’è qualcosa che non funziona.

Interessanti sono comunque i commenti fioccati nel web. Tra i più benevoli: “Opera che lascia disorientati e attoniti”, “teologicamente inquietante”, “orribile”, “brutta”, “mostruosa”, “spaventosa”, “truculenta”, “di cattivo gusto”.

Qualcuno si chiede se l’autore si sia ispirato a Robespierre, altri ipotizzano che invece abbia preso a riferimento gli ossari che ci sono in alcune chiese.

A me l’altare ha fatto venire alla mente i depositi di teschi delle vittime di Pol Pot trovati in Cambogia. Mentre Marco Tosatti ha pensato a uno tzompantli, ovvero una di quelle strutture che  nelle culture precolombiane del Centro America servivano per cucire insieme o infilare i teschi dei prigionieri di guerra e delle vittime sacrificate alle divinità (https://www.marcotosatti.com/2018/11/13/ma-che-bello-il-nuovo-altare-della-madonna-a-gallarate-sembra-proprio-uno-tzompantil/).

Poi ci sono quelli che hanno pensato a cose da mangiare: “un sacchetto di scamorze”, “un pacchetto di popcorn”, “un pezzo di torrone” (io, lo confesso, oltre a Pol Pot ho pensato anche a una scatoletta di Tic Tac).

Nel frattempo un utente di Twitter ha scoperto che le teste usate per la costruzione dell’altare di Gallarate erano già state esposte “sciolte”,  in una galleria londinese. O per lo meno sembrano loro (https://www.marcotosatti.com/2018/11/14/gallarate-le-teste-dellaltare-erano-state-gia-esposte-a-londra-tre-anni-fa-sono-nuove-o-riciclate/).

I decollati sono stati dunque riciclati? Ah, saperlo. Se così fosse, non sarebbe bello, anche perché sono costati un bel po’ di quattrini.

Intanto, perché non mettere in contatto l’autore dell’altare delle teste mozzate con l’artista che ha realizzato la ferula biforcuta donata al papa dai giovani? Potrebbero scaturirne notevoli realizzazioni.

E per un’eventuale mostra ho già in mente il titolo, preso in prestito da Carlo Verdone: “O’ famo strano? Ma sì, famolo”.

Aldo Maria Valli

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