«A fine luglio ho iniziato a consegnare documenti interni diocesani a un giornalista investigativo nella mia città natale, Buffalo, nello Stato di New York. Tre anni prima, il vescovo Richard J. Malone mi aveva offerto un lavoro come suo assistente esecutivo, che avevo accettato con entusiasmo. Sono stato felicissimo di lavorare per la mia amata Chiesa. Sfortunatamente, nel giro di tre anni, sarei passato da un’entusiasmante assunzione al diventare un informatore prostrato».
Lui si chiama Siobhan M. O’Connor e la sua testimonianza si apre così nell’articolo «Confessioni di un informatore cattolico», pubblicato da First Things (https://www.firstthings.com/web-exclusives/2018/11/confessions-of-a-catholic-whistleblower).
È il racconto di una dolorosa presa di coscienza e della decisione, per il bene della Chiesa, di far trapelare verità nascoste.
Ma perché un bravo e onesto dipendente di un ufficio diocesano, a stretto contatto con il vescovo, decide a un certo punto di diventare un whistleblower, come si dice negli Usa, ovvero una persona che denuncia pubblicamente attività illecite o fraudolente all’interno di un’organizzazione pubblica o privata?
La risposta di O’Connor è contenuta nel riassunto della sua vicenda, che incomincia quando Siobhan capisce in che modo il vescovo, nonostante le pubbliche dichiarazioni a favore del rigore e della trasparenza, gestiva alcuni caso di preti accusati di abusi sessuali.
«Nessun particolare evento – dice O’Connor – mi ha portato a far trapelare documenti dagli archivi segreti della diocesi. Piuttosto, mi misi all’opera dopo aver gradualmente compreso che la verità veniva nascosta all’interno della Cancelleria a scapito degli abusati sopravvissuti, dei cattolici e dell’intero popolo della diocesi. Quando, a marzo, il vescovo Malone ha pubblicato un elenco di quarantadue sacerdoti accusati di abusi sessuali su minori all’interno della nostra diocesi, ho immediatamente saputo che la lista era terribilmente incompleta. Avevo visto le bozze dell’elenco, che comprendeva oltre cento sacerdoti. In un caso particolarmente eclatante la diocesi ha dato questa spiegazione per aver lasciato un prete fuori dalla lista: “Non lo abbiamo rimosso dal ministero nonostante la piena conoscenza del caso, e quindi includerlo nell’elenco potrebbe richiedere una giustificazione”. I sopravvissuti agli abusi che hanno iniziato a chiamare la Cancelleria dopo che la lista è stata pubblicata erano alla ricerca di spiegazioni. Questi uomini e queste donne sofferenti erano comprensibilmente angosciati dal non trovare il nome del loro presunto abusatore violento nella lista diocesana».
Nonostante queste omissioni, racconta O’Connor, il vescovo Malone incominciò a definirsi «un messaggero di trasparenza per la nostra diocesi», e quando la lista dei quarantadue fu resa pubblica dichiarò che vedere i nomi dei violentatori pubblicati dalla stampa avrebbe «liberato e rafforzato» i sopravvissuti.
«Sfortunatamente, in realtà, solo a pochi sopravvissuti è stata offerta questa opportunità di essere davvero liberati e rafforzati. Così, per me è diventato sempre più doloroso testimoniare la dicotomia tra i commenti pubblici del vescovo e le sue azioni interne e le sue mancanze».
Racconta ancora O’Connor: «Mentre lottavo con queste preoccupazioni, incominciarono a emergere in particolare i casi riguardanti due preti, entrambi accusati di aver adescato minorenni e di aver aggredito sessualmente giovani uomini. Contro ognuno di loro c’erano accuse mosse da più vittime, eppure Malone, nonostante avesse una conoscenza dettagliata delle accuse a loro carico, consentì a entrambi di rimanere nel ministero attivo. Il vescovo infatti scrisse diverse lettere di raccomandazione che consentirono a uno dei due sacerdoti di esercitare il ministero sulle navi da crociera ed elogiò pubblicamente l’altro prete. Malone cercò di rassicurare il pubblico dicendo: “Abbiamo affrontato l’intera faccenda in un modo completamente diverso rispetto a quello che è stato fatto nei decenni passati”. Ma io sapevo che dietro le quinte Malone permetteva il perpetuarsi della solita segretezza tossica e che l’inspiegabile inerzia del passato continuava».
«Dato che lavoravo a stretto contatto con il vescovo Malone – spiega O’Connor – ero in grado di portare le mie preoccupazioni direttamente alla sua attenzione. Ma quando gli parlai, il vescovo mi disse di non preoccuparmi perché lui stava già affrontando questi problemi. Non era così. Malone permise a un prete di continuare a essere un pastore attivo nonostante il Consiglio di revisione diocesano avesse raccomandato di rimuoverlo in vista di una valutazione approfondita. Mesi dopo, anche lo staff dirigenziale dell’ufficio del vescovo esaminò le accuse contro questo sacerdote e raccomandò che fosse rimosso completamente dal ministero. Eppure, nonostante queste decise raccomandazioni da parte di due dei suoi più stretti organi di consulenza, Malone non fece assolutamente nulla. E fu proprio questo tipo di inazione che alla fine mi costrinse ad agire».
«Ciò a cui stavo assistendo – racconta l’ex dipendente diocesano – mi fece impazzire, mi spezzò il cuore e appesantì la mia anima. Di settimana in settimana, la mia coscienza si sentiva come se fosse in una morsa sempre più stretta. La mia preghiera principale divenne un appello di tre parole: “Dio, aiutami!”. In quanto cattolico, e lo sono da sempre, mi sembrò strano cercare l’aiuto del Signore nel confrontarmi con comportamenti mendaci al più alto livello della mia Chiesa locale. Eppure incominciai a rendermi conto che Dio mi aveva messo nel posto giusto al momento giusto e che mi avrebbe concesso la forza di fare la cosa giusta. Mentre mi rendevo conto che le forze dell’ordine avrebbero dovuto indagare sulla nostra diocesi, sapevo anche che sarebbe stato un processo lungo. Perché avvenissero cambiamenti rapidi, sarebbe stato necessario portare la verità fuori dalla Cancelleria».
Fu così che Siobhan M. O’Connor fece il grande passo. «Durante i mesi precedenti, avevo osservato che le tenaci indagini di un particolare giornalista avevano avuto un impatto diretto sul vescovo Malone. Una e-mail o una richiesta di Charlie Specht, della WKBW-TV [una televisione locale di Buffalo, N.d.T.], avrebbero costretto il vescovo a fare la cosa giusta. Usando i documenti che ho trafugato e consegnato a lui, Charlie ha realizzato tre reportage esplosivi che hanno portato a cambiamenti immediati e vitali. Ad esempio, uno dei predetti sacerdoti non è stato più autorizzato a esercitare il ministero, perché alla fine è stato ritenuto responsabile degli abusi ed estromesso. In seguito i leader locali si sono uniti ai membri della nostra diocesi per chiedere risposte da parte del vescovo. I sopravvissuti si sono fatti avanti e hanno ricevuto il sostegno della nostra comunità. E questo slancio è aumentato da quando la nostra storia è stata portata a livello nazionale dalla trasmissione “60 Minutes” della CBS».
«Dopo essere diventato un informatore – conclude O’Connor – ora cerco di essere interprete della riforma e del rinnovamento della Chiesa che amo. Ai miei amici cattolici dico spesso che in questo momento siamo impegnati in una battaglia per l’anima stessa della nostra Chiesa. La mia preghiera è che là fuori ci siano più impiegati diocesani in grado di liberare la verità. Quanto a me, le azioni che ho intrapreso mi hanno certamente lasciato con il cuore pesante, ma con la pace nell’anima».
Aldo Maria Valli