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Abusi sui minori. Parla don Di Noto: “No alla congiura del silenzio. Senza indignazione non ci sarà risurrezione”

In questi giorni di trepida attesa della nascita di Gesù Bambino il pensiero va a tutti i bambini del mondo e soprattutto a quelli abusati. Una realtà agghiacciante, ma ancora poco conosciuta.

Fra coloro che da tanto tempo si battono per portarla alla luce e combatterla c’è don Fortunato Di Noto, fondatore dell’Associazione Meter per la tutela dei minori e la lotta contro pedofilia e pedopornografia online. Un significativo punto di riferimento in Italia, riconosciuto nel mondo come una delle massime autorità nella prevenzione del disagio infantile e la progettazione di interventi mirati ad un aiuto concreto alle vittime degli abusi sessuali.

In questa intervista con don Fortunato puntiamo l’attenzione sulla situazione nella Chiesa, senza tralasciare in ogni caso lo sconvolgente quadro complessivo.

Incominciamo con un tema spinoso: abusi sessuali nella Chiesa. Abbiamo più notizie dall’estero che dall’Italia. Perché? Qual è la situazione nel nostro paese?

Le notizie sono frammentate perché negli anni non è stata mai istituita una commissione che raccogliesse i dati che dovevano pervenire dalle numerose diocesi italiane, anche se i vescovi, qualora si fossero trovati nella situazione di dover gestire un caso, avevano un punto di riferimento nella Conferenza episcopale italiana. Le dichiarazioni del presidente della Cei, cardinale Bassetti, confermano che «al momento attuale la Cei non ha in mano dati precisi». Peraltro il cardinale, nella conferenza stampa dopo l’ultima assemblea generale Cei (15 novembre 2018), non ha escluso la creazione in futuro di una commissione indipendente che faccia luce sugli abusi avvenuti nella Chiesa italiana in passato: «La strada – ha dichiarato –

l’ha spianata la Congregazione per la dottrina della fede perché su questi peccati graviora ha abolito la prescrizione».

Tutto questo non ha mai impedito che chierici italiani, segnalati e denunciati (sia alle Procure della Repubblica italiana sia alla Congregazione per la dottrina della fede) abbiano avuto un processo (canonico e penale), siano stati condannati e ridotti allo stato laicale (ne conosco diversi). Il rischio è però l’eccessiva burocratizzazione, che spesso assicura più garanzie al soggetto accusato, e alla difesa del buon nome della diocesi e del vescovo, che non alla possibilità di azioni celeri, chiare, trasparenti, efficaci. Dire che si vuole stare dalla parte delle vittime non è soltanto un proclama, una frase ad effetto: è un prendersi carico, spesso per anni, di una ferita che riguarda la vita intera. Una parte di sé muore, e non è facile ottenere il dono della resurrezione nella carne e nello spirito lacerato. Attualmente non si ha ancora la percezione di ciò che accade e non scatta il rossore della vergogna. Si resta superficiali e con la tendenza a tutelare la struttura Chiesa e non i piccoli, i vulnerabili che hanno subito il male. È chiaro anche che norme, indagini previe e processi devono sempre e comunque garantire la ricerca della verità e una giusta condanna che miri all’accertamento della verità e alla riparazione del danno recato, non dimenticando che ogni pena è sempre rieducativa. Mai chiudere la porta alla speranza: in essa si ritrova la riconciliazione e la possibile vita redenta. Per tutti. Meter onlus, l’associazione da me fondata, in questi trent’anni ha denunciato e seguito diversi casi di vittime di abusi da parte di chierici e operatori pastorali. L’abuso da parte di un chierico è cosa grave, gravissima. La Chiesa italiana, pur con fatica, sta facendo un cammino per offrire risposte giuridiche, pastorali e di cura sulla linea delle indicazioni di Papa Francesco e dei vari organismi preposti. Non siamo, secondo il mio modesto parere, all’anno zero. Però c’è bisogno di un ufficio nazionale ben coordinato, stabile, con persone competenti e umanamente formate ad accogliere e a rispondere ad esigenze e richieste dolorose. Formazione e prevenzione sono i punti chiave. La Chiesa deve essere comunità sicura, accogliente.

In generale, la tragedia degli abusi è molto più grande di quanto possa sembrare. I dati raccolti da Meter sono sconvolgenti. Tratteggiano un quadro agghiacciante rispetto alle piccole vittime e ai predatori perversi e lucidi che ne approfittano. Gli abusi sessuali su minori prepuberi – parliamo di pedofilia e pedopornografia ai danni di bambini al di sotto dei tredici anni – sono sempre in aumento, non soltanto in Italia, ma in tutto il mondo. La produzione di materiale pedopornografico è la dimostrazione palese di un vasto e intenso mercato, nel quale milioni di bambini sono sottomessi alle molteplici forme di sfruttamento e di schiavitù sessuale. Decine di milioni i bambini coinvolti in tutto il mondo. Secondo il Report Meter  2017 sono più di 140 milioni le bambine e le ragazze e 75 milioni i bambini e i ragazzi vittime di abusi sessuali. Ma a fronte di ciò solo 79 paesi hanno una legislazione in materia. Sessanta non hanno una definizione specifica di «pornografia infantile» e ventisei non si occupano di reati informatici. E ancora: si contano circa due milioni di video, che coinvolgono anche neonati, e milioni di foto che ritraggono corpi non ancora sbocciati devastati dalle violenze più elaborate e sofisticate.

Una vera e propria strage, di cui nessuno vuole parlare: siamo di fronte ad una emergenza di proporzioni enormi. Tutti insieme, Chiesa, istituzioni e privati cittadini, possiamo fare tantissimo. In circa trent’anni Meter ha fatto tanta strada: con le sue segnalazioni ha operato per contrastare e prevenire, formando migliaia di persone. Sono state ventitré le operazioni internazionali e nazionali delle forze dell’ordine tra il 2003 e il 2018, più di 170 mila i siti corrispondenti a decine di milioni di link, più di 30 milioni le foto e i video pedopornografici segnalati in diversi paesi, più di  settemila le persone denunciate e duemila quelle indagate, più di cinquecento gli arresti in Italia e nel mondo ed infine più di mille le vittime di abuso aiutate e sostenute grazie ai centri di ascolto e accoglienza Meter.

Abusi e omosessualità. Quale la relazione?

L’abuso è abuso, da chiunque venga attuato, ed è un crimine, un reato e un grave peccato. L’errore è immaginare, anche perché condizionati dai media, che il fenomeno degli abusi sessuali riguardi solo una categoria sociale e che avvenga solo nella Chiesa cattolica. Quanto sarebbe interessante e utile avere commissioni di inchiesta indipendenti, in grado di concentrarsi anche sulle altre confessioni religiose e sulle organizzazioni politiche, sociali, culturali!

Nella Chiesa cattolica il problema è senz’altro grave, drammatico, a lungo sottovalutato e gestito male. Sappiamo ormai con certezza che nell’ottanta per cento dei casi gli abusi sono stati compiuti da sacerdoti, religiosi e religiose con un orientamento omosessuale, e che la situazione, nei seminari e non solo, è una questione seria, sfuggita di mano. Se la dobbiamo dire tutta, la percentuale di efebofili e pederasti è altissima.

Papa Francesco ha più volte chiarito la questione: nel dubbio, certe persone non entrino in seminario e nel periodo di formazione. Qualora ci siano criticità radicate e fondate, meglio non farle proseguire. Ma tutto questo va esteso anche agli eterosessuali. Il problema riguarda tutti coloro che vivono disordini affettivi e relazionali, in situazioni in cui le fragilità non sanate provocano disordini. Il ruolo dei formatori è fondamentale. Con la speranza che i formatori siano sereni, equilibrati, lungimiranti. E anche su questo occorre lavorare.

I documenti di cui siamo in possesso pongono una domanda: chi controlla i controllori? Ecco qui il ruolo e il servizio del vescovo e dei suoi stretti collaboratori. Le più recenti dichiarazioni pubbliche di Papa Francesco sono state come una bomba. L’ omosessualità tra i preti e i religiosi, ha detto, «è qualcosa che mi preoccupa, perché forse a un certo punto non è stato affrontato bene. Nella formazione dobbiamo curare molto la maturità umana e affettiva. Quella dell’omosessualità è una questione molto seria, che occorre discernere adeguatamente fin dall’inizio con i candidati, se è il caso. Dobbiamo essere esigenti. Nelle nostre società sembra addirittura che l’omosessualità sia di moda e questa mentalità, in qualche modo, influisce anche sulla vita della Chiesa».

Ciò non esclude l’accoglienza e la necessità di evitare giudizi affrettati e approssimativi. È vero che la Chiesa è un ospedale da campo, ma nell’ospedale è necessario disporre di buoni medici, che sappiano guarire le ferite e non lasciare tutto come è stato. La domanda è sempre la stessa: che preti vuole la Chiesa?

Clericalismo. Il papa dice che è questo il problema. Lei quale definizione dà di “clericalismo”? Ed è d’accordo con l’analisi di Francesco?

La Chiesa è comunità di credenti, di redenti risorti in Cristo. Se la riduciamo a luogo di potere è automatica la degenerazione. Il vescovo diventa l’intoccabile e non è più un servo, uno schiavo come Gesù Cristo; il prete diventa il carrierista che utilizza ogni mezzo per conservare in naftalina il potere e non è più un uomo che ha ricevuto il dono di servire una comunità. Il clericalismo si supera se ci riconosciamo tutti battezzati, chiamati a un cammino di conversione, se rinunciamo alle seduzioni del male, se sappiamo riconoscere che siamo tutti fratelli pur avendo ruoli e servizi diversi. Percepisco la difficoltà di Francesco nel governo e nel restare al timone della barca di Pietro, che è la Chiesa. Il clericalismo non serve a nessuno. Più che una malattia è un male che copre il male. Il clericalismo produce una Chiesa non voluta da Gesù Cristo. La cosa che mi preoccupa di più è che quando un prete è chiamato all’episcopato spesso dimentica di essere prete. Dimentica di essere un battezzato. Il clericalismo è l’antitesi della presenza dei piccoli nella Chiesa, e dobbiamo pensare che sono i piccoli che riformano veramente la Chiesa.

Che cosa si aspetta dal vertice del prossimo febbraio in Vaticano con i rappresentanti di tutte le Conferenze episcopali del mondo?

Mi aspetto che si dia spazio alle esperienze più avanzate. Che in Vaticano si lasci parlare anche chi da molti anni è impegnato sul campo. C’è un paradosso (lo dico con sommessa umiltà): Meter non è mai stata invitata a questi tavoli di lavoro! Ed ha trent’anni di esperienza! Siamo stati pionieri nel mondo contro la pedofilia, gli abusi, la pedopornografia, anche nella Chiesa. Non si pretende nulla, ma colpisce che non siamo stati invitati. Prima di tutto dobbiamo dire chiaro e tondo che la pedofilia è un crimine e che tutti coloro che se ne macchiano sono criminali. Questo vertice sarà positivo e apprezzabile se non ripiegherà sul clericalismo. Inviterei anche gli esponenti delle altre confessioni religiose. Ascolterei di più per operare meglio. Si ascoltino sempre le comunità che soffrono e hanno sofferto. Si valorizzino gli uffici specifici nelle varie Conferenze episcopali. Si mettano in rete le associazioni operative che si occupano del fenomeno. Si eviti la burocratizzazione: al centro ci sia  sempre al centro la persona.

Secondo lei quali sono i ritardi più gravi da parte della Chiesa nel combattere gli abusi?

Ancora oggi non abbiamo una strategia per gestire il fenomeno. È vero, ci sono le norme: ma poi? Ogni vescovo deve agire secondo la sua sensibilità personale. Puoi dettare alcune linee guida, d’accordo: ma poi resti solo davanti alle anime ferite. Spesso ancora oggi c’è chi chiede silenzio, ma la pedofilia non ha bisogno del silenzio: occorre invece che se ne parli! Il silenzio è mafia, intesa come mentalità generatrice del male. Molto spesso le vittime sono sole, abbandonate. Nessuno le accoglie realmente, le ascolta, le accompagna, le cura. Dobbiamo dirlo! Spesso i pastori siedono su «cattedre di pestilenza» e non su cattedre d’amore. Piano piano stiamo superando una tradizione di omertà secondo cui i panni sporchi si lavano in famiglia, ma molto resta da fare.

In generale, le notizie sono sempre più sconvolgenti. La pedopornografia, non solo nella Chiesa, sembra non avere ostacoli. Lei ha più volte sostenuto che il silenzio sugli abusi è intollerabile. Ha anche scritto al papa. È fiducioso per il futuro?

Sì, ho scritto diverse volte a Papa Francesco, per assicurargli la mia vicinanza e per dichiarare che l’impegno contro la pedofila e gli abusi è un mandato evangelico nella Chiesa. Per sostenere che si può e si deve fare di più. Dobbiamo indignarci, protestare, agire. Invece succede che leggiamo una notizia che parla di abusi sessuali su neonati e nessuno si indigna. Il male vincerà se noi resteremo in silenzio. Ho imparato molto dalla vita e dalla sofferenza dei piccoli. Non resterò mai in silenzio. Lo dico come uomo e come prete.

Nel solo 2017 Meter ha denunciato 502 links con 4292 foto e 4412 video con bambini abusati. Ed erano bimbi tra zero e due anni! Un orrore per il quale si fatica a trovare le parole. Ma è un dato tremendamente reale. Gli abusi proliferano, indisturbati e non contrastati, anche perché non c’è una doverosa reazione. Una tragedia nella tragedia.

Quale regalo desidera per Natale?

Immagino il bambino Gesù nella grotta di Betlemme, già inchiodato in croce. Ecco: desidererei che si ricordi che la Chiesa nasce da quella grotta. Lì c’è un bambino protetto e amato dalla madre, Maria, e da Giuseppe, suo padre. Il mio desiderio? Passare da quella croce alla risurrezione. Per tanti. Per tutti.

A cura di Aldo Maria Valli

Aldo Maria Valli:
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