Si avvicinano i due viaggi di Francesco negli Emirati Arabi Uniti (3 – 5 febbraio) e in Marocco (30 – 31 marzo) e torna, implacabile, la retorica del dialogo, che utilizza in modo strumentale la visita di san Francesco al sultano al-Malik al-Kāmil, avvenuta a Damietta ottocento anni fa, nel 1219.
Il tentativo è quello di accreditare un parallelo tra papa Francesco e san Francesco, presentando entrambi come paladini del dialogo. Ma così si travisa la realtà storica. Perché Francesco d’Assisi non andò dal sultano per «dialogare», ma per convertirlo.
Di fronte al diluvio zuccheroso che si abbatterà su di noi nel corso dei due viaggi, occorrerà corazzarsi con l’antivirus della conoscenza. Occorrerà ricordare che oggi i cristiani sono i più perseguitati nel mondo, e lo sono, per lo più, da musulmani. E occorrerà ricordare, soprattutto, l’ambiguità dell’affermazione di Francesco in Evangelii gaudium, prontamente usata dai sostenitori dell’indifferentismo religioso per sostenere che adoriamo tutti lo stesso Dio, secondo la quale i musulmani «adorano con noi un Dio unico, misericordioso» (n. 252).
Che la frase sia quanto meno fuorviante non lo dice il sottoscritto. Lo dice il padre gesuita Samir Khalil Samir, uno dei massimi studiosi dell’Islam, il quale in un magistrale intervento osserva che quel concetto espresso dal papa va preso «con cautela». Perché se è corretto sostenere che i musulmani adorano un Dio unico e misericordioso, la frase del papa può lasciare intendere che le due concezioni di Dio siano uguali. E invece non è così. Invece, scrive il padre Samir, «nel cristianesimo Dio è Trinità nella sua essenza, pluralità unita dall’amore», e dunque «è un po’ più che sola clemenza e misericordia».
In realtà «abbiamo due concezioni abbastanza diverse dell’unicità divina». Infatti, se «quella musulmana caratterizza Dio come inaccessibile, la visione cristiana dell’unicità trinitaria sottolinea che Dio è Amore che si comunica: Padre-Figlio-Spirito, oppure Amante-Amato-Amore, come suggeriva Sant’Agostino».
Ma anche l’idea di misericordia è profondamente diversa. Il Dio dell’Islam «fa misericordia a chi vuole e non la fa a coloro a cui non vuole». Nel Corano (48:25) leggiamo infatti che «Dio fa entrare nella Sua misericordia chi Egli vuole». Niente a che fare con l’idea «Dio è Amore» (1 Giovanni 4:16).
«La misericordia – osserva ancora il padre Samir – nel caso dell’Islam è quella del ricco che si china sul povero e gli concede qualcosa. Ma il Dio cristiano è Colui che scende verso il povero per innalzarlo al suo livello; non mostra la sua ricchezza per essere rispettato (o temuto) dal povero: dona se stesso per far vivere il povero».
Molti altri sono i punti ambigui di Evangelii gaudium rispetto al rapporto tra cristianesimo e Islam, e c’è da immaginare che nel caso dei due prossimi viaggi papali saranno di nuovo sfruttati per imporre una visione fuorviante del dialogo. Per esempio, Francesco scrive che nel Corano Gesù e Maria sarebbero «oggetto di profonda venerazione», ma, a dire il vero, se la considerazione può stare in piedi nel caso di Maria (effettivamente venerata da alcune donne musulmane), Gesù non è per nulla venerato nel Corano, perché considerato un grande profeta, famoso per i suoi miracoli, ma molto inferiore a Maometto. «In realtà – scrive Samir – tutto ciò che si dice di Gesù nel Corano è l’opposto degli insegnamenti cristiani. Egli non è Figlio di Dio: è un profeta e basta». E «non è nemmeno l’ultimo dei profeti perché invece il “sigillo dei profeti” è Maometto (Corano 33:40)». E «la rivelazione cristiana è vista solo come una tappa verso la rivelazione ultima, portata da Maometto, cioè l’Islam».
Prima di dire, come certamente sentiremo dire, che cristiani e musulmani venerano lo stesso Dio, occorrerà poi ricordare che «l’Islam si oppone a tutti i dogmi cristiani fondamentali», ma bisognerà fare un distinguo anche in campo morale.
Quando ci verrà ricordato che i bravi musulmani, proprio come i bravi cristiani, fanno la carità e si occupano dei poveri, bisognerà rispondere che in realtà l’etica musulmana raramente è universale, come quella cristiana. Infatti, se il cristiano è chiamato a fare del bene a tutti, indipendentemente da fede, cultura e lingua del bisognoso, il musulmano è chiamato ad aiutare chi fa parte della comunità.
E quando ci diranno che sia i bravi cristiani sia i bravi musulmani digiunano, bisognerà ricordare che i due digiuni sono profondamente diversi, perché quello musulmano è di tipo legalistico ed esteriore (se fai questo, sei nel giusto), mentre quello cristiano ha come scopo l’avvicinarsi al sacrificio di Gesù sulla croce, che è qualcosa di semplicemente incomprensibile per l’Islam.
Sentiremo poi certamente dire, altro ritornello, che sia i cristiani sia i musulmani hanno i loro fondamentalisti (e infatti Evangelii gaudium lo dice), ma giustamente il padre Samir osserva: «Personalmente, non metterei i due fondamentalismi sullo stesso piano». Infatti se i fondamentalisti cristiani (i quali raramente usano le armi) sono tali al prezzo di snaturare completamente il Vangelo, i fondamentalisti musulmani possono sempre dire che Maometto fece più di sessanta guerre e che dunque, visto che Maometto è il “modello eccellente” (Corano 33:21), usare la violenza è legittimo e doveroso.
Fermiamoci qui. E facciamo un accenno al logo della visita di Francesco in Marocco: «Il logo – spiega il Vaticano – è stato scelto tra circa cinquanta disegni inviati da artisti che hanno risposto ad un concorso. Ritrae una croce e una mezzaluna, a sottolineare il carattere interreligioso tra cristiani e musulmani».
In realtà il logo è qualcosa di diverso. Basta guardare: è una croce formata utilizzando una mezzaluna. Non ritrae una croce e un a mezzaluna, ma è precisamente una fusione dei due simboli. Il che sembra confermare l’idea soggiacente a Evangelii gaudium, e cioè che, in fondo, tra le due religioni non ci sono differenze o, per lo meno, non ce ne sono di sostanziali.
A una religione ibrida del genere fece riferimento C.S. Lewis nel suo libro The Last Battle (L’ultima battaglia, romanzo finale delle Cronache di Narnia), ma anche nella realtà esiste un movimento simile: si chiama Chrislam e, nato in Nigeria negli anni Ottanta del secolo scorso, è formato da fedeli che riconoscono come testi sacri sia la Bibbia sia il Corano.
Vogliamo dunque diventare chrislamisti?
Per quanto mi riguarda la risposta è molto semplice: no, grazie!
Aldo Maria Valli
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