Ma l’educazione sessuale a scuola non funziona
«Io penso che nelle scuole bisogna fare educazione sessuale» ha detto Francesco rispondendo alla domanda di un giornalista sul volo di ritorno da Panama, domanda riguardante la piaga delle gravidanze precoci nell’America Latina.
Eppure chiunque si occupi di educazione sa che la cosiddetta educazione sessuale a scuola è stata ed è un fallimento, specialmente là dove, come in Sudamerica, i problemi sono più gravi. Non lo dicono i cattolici tradizionalisti, bacchettoni e ipocriti sempre condannati da laicisti, progressisti e cattolici à la page. Lo dicono studi e indagini condotte da laicissimi istituti di ricerca.
È il caso di un ampio studio realizzato da Cochrane, rete globale di ricercatori nel campo della salute, su più di 55 mila giovani adolescenti sottoposti a «programmi di salute sessuale e riproduttiva» in diverse aree del mondo, dall’Europa all’Africa sub-sahariana all’America Latina.
La conclusione dei ricercatori è che i corsi di educazione sessuale a scuola «non hanno alcun effetto sul numero di giovani persone infette da HIV ed altre malattie sessualmente trasmissibili». Idem per quanto riguarda la riduzione delle gravidanze precoci.
Secondo lo studio, solo quando le scuole forniscono incentivi per rimanere in classe oltre l’orario scolastico standard (per esempio offrendo la divisa scolastica gratuita o piccoli pagamenti in contanti), c’è un miglioramento, con una riduzione delle malattie sessualmente trasmissibili e delle gravidanze indesiderate. Ma tutto ciò non ha nulla a che fare con l’educazione sessuale.
Già alcuni anni fa il British Medical Journal scrisse che «contrariamente a quanto si possa pensare, invece di migliorare la salute sessuale, interventi di educazione sessuale possono peggiorare la situazione».
Gli studi più seri e approfonditi spiegano che i risultati migliori si hanno non quando si fa educazione sessuale, ma educazione morale nel senso più ampio, ovvero quando si trasmettono ai giovani alcuni principi che riguardano il valore della persona, del corpo e dell’astinenza, nonché quando si sottolinea l’importanza di proteggere se stessi (in tutte le dimensioni, compresa quella sessuale) da un uso consumistico. Ciò che davvero fa la differenza non è insegnare la sessualità da un punto di vista tecnico, ma educare al valore dell’attesa, del dono di sé, della condivisione. Solo che tutto ciò a scuola non si fa, perché a scuola prevale la visione funzionalistica della sessualità e alla fine tutto si riduce, quando va bene, alla questione dell’uso dei profilattici.
Non a caso la Chiesa ha sempre sostenuto, come ha sottolineato per esempio il cardinale Angelo Bagnasco, che l’educazione all’affettività e alla sessualità per la sua delicatezza non dovrebbe far parte del quadro strutturale della scuola, dal momento che viene spesso utilizzata per trasmettere una certa visione ideologica.
Ecco perché le parole di Francesco hanno provocato sconcerto in non pochi cattolici.
Ci ha scritto per esempio un lettore: «Sono rimasto veramente allibito dall’iniziativa di Bergoglio di chiedere l’insegnamento dell’educazione sessuale nelle scuole. Sono un medico ormai avanti negli anni. Non ho oscurato la conoscenza della sessualità ai miei tre figli e, come nonno, consiglio (con discrezione) i miei figli a fare altrettanto con i loro figli. Non avrei mai accettato che l scuola desse informazioni in sovrapposizione a ciò che sono capace di fare io. Anche perché solo io (genitore, non io-io) capisco il grado di maturazione e preparazione dei miei figli e nipoti. Pensare di trattare i bambini di una classe tutti allo stesso modo è più dannoso che educativo. Come si può immaginare che bambini che vivono in una famiglia in cui i genitori fanno esibizione della propria sessualità possano essere educati nello stesso modo di bambini in cui la sessualità si vive con giusta riservatezza? Non basta parlare di preservativi (sono tutte balle che siano completamente utili nella prevenzione delle malattie sessualmente trasmissibili. Le prostitute li usano tutte, eppure sono un campionario di malattie. Evidentemente qualcuno gliele avrà trasmesse. Ma è un discorso lungo da svolgere) e ciclo mestruale. Esiste la priorità di una educazione all’affettività prima che alla sessualità».
Ed ecco una lettrice: «Da maestra elementare ho dovuto accettare l’ingresso nelle mie classi dei cosiddetti esperti di “educazione all’affettività”, che altro non era che educazione sessuale. Visti i risultati deprimenti di questi progetti, sono convinta che avrei fatto meglio da sola: una onesta informazione scientifica e un minimo di responsabilizzazione sarebbero bastate».
Con il consueto linguaggio che lascia intendere che è vero A ma anche B (si legga in proposito qui) Francesco nella risposta data in aereo ha precisato che «bisogna offrire un’educazione sessuale oggettiva, come è, senza colonizzazioni ideologiche», ma il problema è che a scuola anhe quando non c’è una vera e propria colonizzazione ideologica c’è comunque il prevalere di una visione tutta orizzontale e profana della vita, dalla quale è eliminata ogni dimensione soprannaturale e che pretende di risolvere con la tecnica questioni che meritano invece di essere affrontate attraverso l’insegnamento e l’uso delle virtù morali.
Che l’uscita di Francesco sia stata quanto meno singolare a confronto con la linea sempre tenuta dalla Chiesa cattolica (ovvero che l’educazione sessuale spetta in primo luogo ai genitori, all’interno della complessiva educazione della persona), è dimostrato dall’entusiasmo con il quale le sue parole sono state accolte da chi combatte la visione cristiana della persona e della sessualità.
Ecco, a riprova, il commento di una esponente dei Radicali italiani: «Da convinta anticlericale, e proprio perché convinta anticlericale, non posso non rilevare come l’affermazione perentoria di papa Francesco (“il sesso è un dono di Dio”) sia rivoluzionaria, ponendosi in antitesi a duemila anni di cultura cattolica sessuofobica, per cui le pratiche sessuali erano se non diaboliche comunque innominabili (si fa, ma non si dice), sempre volte unicamente al fine della procreazione, e che mal celavano una considerazione della donna prossima allo zero. Papa Francesco non si limita a enunciare parole nuove, ma indica giustamente un obiettivo nuovo da raggiungere, conseguente a tali parole: corsi di educazione sessuale, preferiremmo informazione sessuale, ma non facciamo le pulci al papa) nelle scuole. Oggi mi preme sottolineare che papa Francesco ha rotto un tabù che è rimasto tale sotto tutti i suoi predecessori, da Pietro in poi».
Che dire? Difficile condensare in poche righe una tale serie di falsità, a dimostrazione o di un’ignoranza abissale o di una totale malafede o di entrambe.
Francesco non è certamente il primo papa che dice che il sesso è un dono di Dio. Basti pensare alla teologia del corpo di san Giovanni Paolo II all’interno del suo insegnamento su sessualità e matrimonio. Quanto poi all’idea secondo la quale prima di Francesco la Chiesa aveva una considerazione della donna prossima allo zero, evidentemente chi sostiene queste assurdità non ha mai letto la Mulieris dignitatem dello stesso san Giovanni Paolo II, vero e proprio inno alla donna.
Ma perché stare a perdere tempo con chi, anziché informarsi e capire, preferisce crogiolarsi nei propri pregiudizi?
Ciò che inquieta, e rattrista, è che le parole del papa, purtroppo, siano tali da meritare il sostegno entusiastico di coloro che hanno sempre sostenuto (aborto, eutanasia) la cultura non della vita, ma della morte.
Aldo Maria Valli