Quell’equivoco sul volontariato
Proseguiamo nella pubblicazione dei contributi del maestro Aurelio Porfiri sullo stato della musica sacra nella Chiesa cattolica.
Oggi l’argomento è il concetto di volontariato, attorno al quale ci sono molti equivoci da dissipare.
A.M.V.
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In molte parti del mondo per la musica liturgica la Chiesa si affida oggi al volontariato. Si deve suonare, si dice, gratuitamente e “con spirito di servizio”. Bella frase. Che andrebbe però applicata a tutti coloro che prestano il proprio servizio per la Chiesa, a incominciare dai sacerdoti. Tuttavia, come ho dettto, è comprensibile che chi presta un servizio (con tutto lo spirito che volete) debba essere sostenuto. Altrimenti non potrà farlo bene e in modo continuativo.
Premesso dunque che sono il primo a sostenere che i sacerdoti debbano essere sostenuti dalla comunità per il servizio che prestano, vorrei ora occuparmi del “volontariato”.
Quante volte al malcapitato organista è successo di sentirsi quasi rimproverare dal sacerdote per aver chiesto un riconoscimento anche economico. L’argomento utilizzato è sempre lo stesso: ci sono i giovani, i ragazzi, gli scout eccetera e tutti suonano per la Messa gratuitamente. Ma sarebbe come dire che se non è disponibile il medico abbiamo comunque lo stregone.
Ora, facciamo un poco di chiarezza. Che cos’è il volontariato? È quel servizio che qualcuno decide di prestare gratuitamente e per cui è qualificato o si qualifica in qualche modo. Se io decido di andare a prestare servizio sulle autoambulanze come volontario, devo essere in grado di svolgere quel dato servizio, altrimenti sarei soltanto di intralcio. Volontario non significa incapace. Conosco un medico che fa volontariato in Africa e che periodicamente va in quel continente per assistere gratuitamente le persone. Ma è comunque un medico, quindi il suo è un volontariato qualificato.
Anche chi fa le pulizie in parrocchia o lava i paramenti deve possedere una necessaria abilità professionale in ordine al servizio svolto. Eppure per chi suona a Messa tutte queste considerazioni, spesso, non valgono. Basta saper suonicchiare il giro di Do e si è abili e arruolati. Non viene richiesta nessuna abilità specifica, nessuna conoscenza della tradizione, dei repertori, della liturgia. Nulla è ritenuto importante. L’unica cosa considerata veramente importante è che tutto sia fatto gratuitamente, senza nessuna considerazione per la qualità del servizio offerto.
Tutto ciò significa che l’interesse per la dignità della liturgia è veramente basso o nullo. Io penso che se non si hanno le risorse economiche per permettersi una musica liturgica dignitosa è meglio non suonare piuttosto che suonare male o cose indegne. Perché non è che una cosa vale un’altra.
Quando ci si trova di fronte al problema di garantire alla liturgia esecutori in possesso di una tecnica all’altezza sembrerebbe logico cercare le risorse necessarie. E invece no. Invece si abbassa il livello delle musiche proposte per la liturgia. E molti pensano che questa sia realmente una soluzione. Non vogliamo impiegare risorse per rendere le cose gradevoli? Allora rendiamo tutto sgradevole!
Se un’organista, un corista, un maestro di coro che hanno un introito derivante da altra attività decidono di offrire gratuitamente il loro servizio professionale a chiese che realmente non si possono permettere di pagare, si rientra nel discorso del volontariato qualificato, sul quale non si può obbiettare. Diciamo chiaramente che c’è un volontariato buono e che alcuni che prestano servizio nella Chiesa sono degni di ogni lode e ogni rispetto. Ma qui il problema è che il volontariato è preteso in ogni situazione e spesso anche in basiliche importanti i compensi sono al limite del risibile. Se parliamo di chiesette con poche persone si fa quello che si può, ma quando parliamo di basiliche che hanno migliaia di pellegrini e visitatori? Mi auguro che in Italia ci siano realtà in cui si corrisponda un onesto emolumento a coloro che cantano e suonano, ma in base alla mia esperienza devo dire purtroppo che ciò che viene riconosciuto è quasi una presa in giro. Eppure parliamo di un’istituzione, la Chiesa cattolica, che solo a Roma possiede il 20 per cento del totale degli immobili e nel mondo ha un patrimonio immobiliare stimato in duemila miliardi. È veramente sempre impossibile trovare le risorse? Il problema spesso non è che non si può, ma che non si vuole e anzi, secondo alcuni, non si deve, e si cerca di mascherare tutto con nobili motivi di sacrificio ai quali poi, in realtà, coloro che li usano come giustificazione non si assoggettano. Ripeto: chi lo può fare e lo vuole fare può scegliere di farlo; ma il volontariato è un’eccezione all’ordinario, non può essere una regola. Che facciamo, chiediamo a tutti i medici di darsi da fare gratuitamente “per spirito di servizio”? Ovviamente, e giustamente, di fronte a una simile proposta chiunque ci riderebbe in faccia.
Alla fine il punto è sempre il solito: che importanza diamo alla liturgia? Se la considerassimo veramente importante vorremmo i paramenti più adeguati, la predicazione più efficace, la musica più adatta. Se organizzo una festa per qualcuno a cui tengo tanto non bado a spese e voglio veramente che la persona sia impressionata dalla cura che metto nel preparare tutto. Ma oramai la liturgia, per molti (per fortuna non ancora per tutti), non rientra più in queste priorità, ma è qualcosa da realizzare per abitudine e senza neanche tanta attenzione. Ma come, ci hanno bombardato con la storia della partecipazione e poi che fanno? Riducono il rito ad una cosa misera. Invece di rendere il rito ancora più splendente per il “popolo partecipante” lo immiseriscono, lo rendono incolore e spento, ben diverso rispetto a ciò che veramente dovrebbe essere.
Aurelio Porfiri