Cari amici, mi ha scritto un parroco. Si chiama don Riccardo e racconta la vicenda di un altro sacerdote, don Marco, da lui ben conosciuto, finito in carcere con l’accusa di molestie nei confronti di una minorenne. Secondo don Riccardo la sentenza è ingiusta e ci si è arrivati in un modo che suscita, quanto meno, parecchie perplessità.
Don Riccardo esprime dolore per la sorte di don Marco e precisa che non è sua intenzione sollevare ulteriore clamore. Vuole soltanto proporre di guardare alla vicenda dal punto di vista di chi, anche sulla base di fatti concreti, si sente accusato ingiustamente.
Ora non sta certamente a me pretendere di stabilire quale sia la verità. Ho deciso però di pubblicare la lettera di don Riccardo perché solleva un problema reale, ovvero quello della facilità con la quale un sacerdote può essere calunniato e del terreno favorevole che la calunnia può trovare in un momento come l’attuale, nel quale la Chiesa cattolica è nell’occhio del ciclone per la crisi degli abusi.
A.M.V.
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Sono un prete della diocesi di Bergamo, parroco in tre parrocchie di media montagna in val Seriana. Da tempo sono affezionato lettore del suo blog, del quale apprezzo contenuti e stile: il suo modo elegante di usare la penna, l’onestà intellettuale di affrontare varie tematiche con retta coscienza, la libertà che nasce dalla volontà di comunicare senza dover compiacere nessuno se non Colui che è la Verità, sono una vera boccata di aria fresca che fa bene al cuore.
È da più di un mese che sento l’esigenza di contattarla, ma ho preferito lasciare sedimentare un po’ le cose. Ho avuto modo di seguire, da vicino, un caso giudiziario che coinvolge un prete, caro amico oltre che compagno di Messa, come dalle mie parti si usa definire i condiscepoli di ordinazione. Don Marco da più di un mese è detenuto in carcere con l’accusa più infamante: pedofilia.
Può immaginare il calvario di questi anni: in accordo con il vescovo, dopo anni di discernimento, dall’autunno 2012 don Marco aveva lasciato il ministero parrocchiale per iniziare un cammino di avvicinamento all’ordine dei frati minori, iniziando il postulandato. Alla fine del percorso, alla vigilia dell’inizio del noviziato scoppia il caso giudiziario: una ragazza diciottenne sporge denuncia dicendo di essere stata molestata nella sua infanzia dal sacerdote, curato dell’oratorio del paese oltre che insegnante di religione nella scuola.
Aberrante il modo in cui don Marco è venuto al corrente della vicenda: alla vigilia della pubblicazione di uno scoop sul Corriere della sera, settimane prima di ricevere l’avviso di garanzia dal Tribunale, la giornalista lo chiama informandolo di quello che l’indomani avrebbe scritto sul giornale e chiedendo dichiarazioni. Altro che presunzione di innocenza!
Ovviamente il cammino religioso di don Marco viene congelato, e inizia l’iter processuale. A parte le prime due udienze, cui per volontà dell’imputato non ho partecipato, poi ho avuto modo di essere presente. Don Marco si è sempre detto innocente e nel primo grado di giudizio ha rifiutato il rito abbreviato per avere la possibilità di difendersi e di dimostrare l’infondatezza delle accuse.
Devo dire che il livore del Pubblico Ministero era impressionante. La parrocchia coinvolta è stata presentata come se fosse il roccolo del peggiore oscurantismo. Una comunità (Serina è un paesotto dell’omonima valle, una costola della Val Brembana, duemila anime, una realtà di forte presenza turistica) presentata al collegio giudicante come un paese arretrato, dove parroco, sindaco, medico e farmacista sono le autorità intoccabili, oltre che il ricettacolo della più becera omertà.
Il primo grado, nonostante il PM avesse chiesto dodici anni di carcere, si conclude con l’assoluzione dell’imputato “perché il fatto non sussiste” e non perché le prove raccolte non permettessero di andare al di là di ogni ragionevole dubbio. Nel dibattimento credo abbia pesato oltre che le contraddizioni di spazio e di tempo della presunta parte offesa, anche una serie di affermazioni che apparivano alquanto inverosimili: le violenze sarebbero avvenute a scuola, in aula, durante le lezioni, oppure in sacrestia prima e dopo la santa Messa (come per il cardinale Pell in Australia) oppure in oratorio, durante le attività estive ma in un’aula dell’oratorio, con la porta aperta, con incuranza del fatto che la situazione poteva essere scoperta da chiunque. Credo abbia pesato anche il quaderno dei verbali della psicologa che nel periodo dell’adolescenza seguì la ragazza (evidentemente con una situazione di fragilità) per conto dei servizi sociali del territorio: dal quaderno infatti non emerge nulla, sebbene la ragazza avesse confidenza con la psicologa, tanto da rivelare anche alcuni dettagli intimi della sua vita personale e alcuni particolari imbarazzanti del suo vissuto familiare. Per di più, la difesa dell’imputato ha messo in luce come da questa fonte si possa leggere il desiderio della ragazza di diventare negli anni delle superiori animatrice per le attività oratoriane estive: inverosimile che, appena terminate le perverse attenzioni del prete, la vittima desiderasse tornare in contatto con lui.
Il PM però decide di appellare. La prima udienza di Appello al tribunale di Brescia inizia con un intervento del Procuratore Generale secondo il quale nulla c’è da eccepire con il primo grado: nel suo ruolo avrebbe potuto respingere l’appello, cosa che, dice, avrebbe fatto, ma “per rispetto al lavoro dei colleghi di Bergamo” opta per proporre il caso alla Corte d’Appello. La presunta parte offesa, appoggiandosi a non ricordo quale deliberazione di qualche ente giudiziario, chiede di essere riascoltata anche presso il collegio giudicante d’Appello, cosa che farà a porte chiuse, quindi senza la presenza del pubblico in aula. Rinvio di udienze, cambio di Procuratore Generale: a gennaio 2018 don Marco viene condannato a sei anni, 15 mila euro di risarcimento oltre che le pene accessorie, benché non si fosse aggiunto un minimo dettaglio che potesse far pensare alla colpevolezza. Gli stessi testimoni della ragazza (ascoltati solo in primo grado) hanno sempre detto di avere raccolto da lei le confidenze riguardo ai presunti palpeggiamenti. La fonte rimane sempre e solo lei. A distanza di un anno, la Cassazione conferma il verdetto d’Appello. Morale della storia, dal 29 gennaio don Marco è in carcere.
La notizia viene data dagli organi di informazione un mese dopo. La comunità di Serina, di fronte a una sentenza che trova profondamente ingiusta ma che pure rispetta, senza la volontà di fare processi in piazza (altrimenti avrebbe agito prima) decide di mandare una lettera all’ex curato, che è stato con loro per dodici anni, sempre amato e stimato. In maniera sorprendente, nel giro di una settimana, vengono raccolte 1300 firme da accompagnare alla lettera. E qui scoppia il caso mediatico.
Tutti i soloni e i leoni da talk-show a scagliarsi sul paese troglodita, oscurantista, medievale e omertoso che, invece di stare dalla parte della povera vittima, ha la sfrontatezza di schierarsi dalla parte dell’orco. Con dignità i serinesi hanno retto al contraccolpo, certamente non voluto né ricercato. Nessuno ha voluto pensare che qualche decina di bigotti baciapile magari da qualche parte possano esistere ancora, ma 1300 persone su 2000 che hanno la forza di metterci la faccia (e i minorenni non hanno firmato) rispetto a un caso bollente come questo è un fatto che qualche domanda dovrebbe sollevarla. Credo che la gente di Serina abbia avuto un coraggio che neppure la Chiesa (penso alla mia Chiesa diocesana ovviamente) ha avuto. Il consensus fidelium qualche volta appare imbarazzante anche per la stessa Chiesa, che preferisce posizioni più comode e pilatesche.
Non nego di vedere in questa vicenda anche lo zampino del Maligno, nella sua atavica battaglia contro Dio e la sua Chiesa, ma questa vicenda, caro dottor Valli, mi angoscia. Non solo per il pensiero di un innocente in carcere, che non è il primo e non sarà l’ultimo, ma anche per la consapevolezza che una vicenda simile possa accadere ad ogni prete, senza che nessuno intervenga. Anche a me. Vuoi far del male a un prete? Calunnia! Quanto più la storia sarà assurda e inverosimile tanto più sarai creduto. Come è stato detto durante il processo di don Marco: l’inverosimiglianza è sintomo di verità; se le accuse fossero inventate sarebbero ovviamente profondamente coerenti!
Don Marco non ha voluto che arrivassero i Carabinieri a prenderlo per condurlo in carcere. Si è presentato da solo, accompagnato dal suo avvocato, da un altro compagno di Messa e da me. Gli ultimi due giorni prima della reclusione li ha trascorsi in casa dell’altro sacerdote che risiede nel capoluogo, per rendere meno angosciante lo strazio suo e della sua famiglia. Don Marco ha voluto celebrare la sua ultima Messa da uomo libero, cui solo io e l’altro sacerdote abbiamo assistito, affidandosi al Signore e alla Vergine, chiedendo la forza di sopportare questa prova e la detenzione a sconto dei suoi peccati e pregando per colei che è stata causa di tutto questo male. Non le nego che io ho pianto per tutta la celebrazione.
Sappiamo, con dolore, anche di tante storie brutte, di preti colpevoli: nella mia esperienza devo riconoscere che tutti i preti che ho incontrato e conosciuto, mi hanno fatto solo del bene, e non credo di essere l’unico fortunato.
Le scrivo non per dare pubblicità ulteriore a questa vicenda, perché l’eccessivo clamore renderebbe ancora più dura l’esistenza intramuraria di don Marco, ma per chiederle che ogni tanto possa spendere una preghiera e una parola anche per i preti calunniati, per quelli condannati ingiustamente e per quelli che, senza essere né tridentini né modernisti, cercano di stare al proprio posto, servendo il Signore, cercando di amare la Chiesa e la propria gente. Di questi tempi si è nella condizione che, di fronte all’acquazzone che si abbatte gagliardo, non si può neppure aprire l’ombrello. Per don Marco, davvero, le cose sono andate così.
La ringrazio della pazienza di avermi letto fino qui.
Che Dio la benedica!
don Riccardo Bigoni
parroco di Villa d’Ogna, Ogna, Nasolino e Valzurio (Bergamo)