“Al crocifisso abbiamo staccato le braccia, saranno le lancette che permetteranno di segnare le ore e i minuti”.
Dice così il signor vescovo di Innsbruck, Hermann Glettler, amante dell’arte moderna, spiegando perché ha pensato di appendere Nostro Signore Crocifisso all’incontrario, usandolo alla stregua di un orologio. Un braccio segnerà le ore, l’altro i minuti.
A volte mi spiace di non aver studiato da psichiatra, perché sarebbe davvero interessante capire come certi nostri pastori possano toccare queste vette di spiritualità e inculturazione della fede.
Il vescovo Glettler, non nuovo alle innovazioni (emblematica la sua decisione di far distribuire la comunione ai ragazzini, nonostante la perplessità delle stesse giovani anime coinvolte) ha fatto ora un passo avanti. Recuperato un vecchio Crocifisso di legno, l’ha preso, gli ha staccato le braccia, l’ha appeso a testa in giù e ha detto: “Ecco il nuovo orologio”.
Orologio? Sì. “Man mano che il tempo scorre, le braccia formano le diverse costellazioni e il corpo statico del Cristo morto prende all’improvviso vita, il che rappresenta un momento di liberazione dalla croce e un superamento della stessa morte”.
Come non assegnare a sua eccellenza il titolo di uomo giusto al posto giusto in questa Chiesa sempre più in uscita?
Tanto più che, dice il signor vescovo, l’opera esprime “la capacità di movimento del corpo umano, figura tradizionale del Rinascimento”, ma contemporaneamente “riprende il tema barocco della dinamicità”.
Che peccato non possedere la stessa sensibilità del vescovo Glettler e non poter apprezzare appieno queste sue interpretazioni. Qualcosa, tuttavia, riusciamo a intuire. Per esempio, che nella Chiesa in uscita il vescovo è già molto avanti.
“Finché Dio avrà la barba, io sarò femminista” si poteva leggere fino a qualche tempo fa sulla facciata della cattedrale. Un’opera d’arte, anche questa. Realizzata da una signora e prontamente fatta propria da Glettler. Un gigante.
Bene. Trasferiamoci ora sulla bella isola di Malta, dove l’arcivescovo Charles Scicluna, uomo di punta di Bergoglio nella gestione dei casi di abusi sessuali commessi da chierici, ha recentemente inviato un sacerdote a parlare al suo posto durante un programma televisivo, e il sacerdote si è dimostrato all’altezza, perché ha spiegato che Dio “ha creato” le persone omosessuali e che le relazioni omosessuali, lungi dall’essere condannate dalla Chiesa, sono anzi viste come forme legittime di amore.
“Manderò al posto mio qualcun altro, perché è molto bravo nel rispondere alle domande che vorrete porre”, ha detto monsignor Scicluna ai produttori del programma tv. E infatti il sostituto, don Kevin Schembri, “teologo e giurista che insegna all’Università di Malta”, è stato bravissimo.
Dopo aver guardato un video nel quale due protestanti difendono con forza la loro scelta di rifiutare l’omosessualità come voluta da Dio stesso, Schembri si è detto sicuro: i due evangelici soffrono chiaramente di “omofobia” e le Sacre Scritture non condannano veramente la sodomia.
Quando poi il conduttore televisivo ha sottoposto a don Kevin i passi biblici in cui la sodomia è condannata, e anche il passo della Genesi su Dio che crea l’uomo e la donna, il prete ha replicato: “Chiunque sia gay o lesbica, è anche uomo o donna. Quindi il gay è un uomo con un orientamento sessuale gay, e la lesbica è una donna che ha un orientamento sessuale lesbico. Dio li ha creati uomo e donna. Quindi non c’è contraddizione”.
Ma come? Il Catechismo della Chiesa cattolica (n. 2357) non dice che gli atti omosessuali sono “intrinsecamente disordinati” e non ricorda che secondo le Scritture sono espressione di “grave depravazione”?
Sì, ma siamo seri. La Chiesa in uscita è più avanti. E don Kevin Schembri l’ha dimostrato da par suo.
Ottimo. Ecco dunque un altro uomo giusto al posto giusto. Tanto più che don Schembri insegna teologia, liturgia e diritto canonico all’Università di Malta, coordina i programmi dei master su famiglia e matrimonio ed è anche difensore del vincolo e promotore di giustizia presso il tribunale dell’arcidiocesi.
E chiudiamo con un bel po’ di uomini giusti e donne giuste al posto giusto. Sono tutti coloro che a Venezia hanno partecipato a una cena di gala nella chiesa di Santa Maria dei Derelitti o dell’Ospedaletto.
Nelle immagini si vedono alcune modelle (vestite, diciamo così, succintamente) a tavola, proprio davanti all’altare dedicato alle Anime Purganti.
Veniamo a sapere inoltre che finti sposi dopo la passarella nella navata hanno posato davanti alla mensa coram populo, da anni piazzata di fronte all’altare maggiore, al cui centro c’è il tabernacolo a tempietto opera di Baldassare Longhena. In più, un falso prete in camice e casula ha atteso coppie di falsi nubendi onde simulare una falsa cerimonia nuziale.
Molto bene. Un bell’esempio di inculturazione, non c’è che dire. Resta da capire perché mai il Patriarcato di Venezia, precisando che la chiesa non è sconsacrata, abbia parlato di “inaccettabile uso deliberatamente commerciale” del luogo sacro, di mancanza di rispetto e di oltraggio alla fede e alla sensibilità religiosa. Forse la Chiesa di Venezia non si è ancora ben sintonizzata sulla lunghezza d’onda di quella Chiesa in uscita che, andando ben al di là delle consuetudini e degli schemi precostituiti, utilizza i luoghi sacri con fantasia, creatività e spirito aperto. Per esempio come osterie e ristoranti.
Aldo Maria Valli