“Cari preti, riscopriamo la virtù della prudenza”
Cari amici, dopo la pubblicazione della testimonianza di don Riccardo, il parroco che ha raccontato la triste vicenda di don Marco, finito in carcere con l’accusa di abusi in base a prove quanto meno labili, ho ricevuto molti commenti. Particolarmente significativo è quello che vi propongo qui. Lo ha inviato un altro parroco, anche lui lombardo, che preferisce mantenere l’anonimato. Un’analisi molto chiara, che si conclude con una domanda da prendere in considerazione: siamo proprio sicuri che la “vecchia” Chiesa, quando adottava certe precauzioni che in seguito sono state giudicate sorpassate e inammissibili, si comportasse in modo bigotto e sbagliato? Non era, quella, semplice prudenza? E non sarebbe una lezione da recuperare a fronte dei frutti avvelenati di certe “liberazioni” avvenute, in campo morale, anche all’interno della Chiesa stessa?
A.M.V.
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Gentile Aldo Maria Valli, sono un parroco lombardo e le confido che la lettera di don Riccardo ha suscitato in me una riflessione che mi ha accompagnato a lungo, alimentando il desiderio di scriverle.
Per noi preti lombardi l’esperienza oratoriana è un passaggio obbligato e appena ordinati veniamo incaricati dell’educazione religiosa dei più giovani.
Io sono nato e cresciuto in oratorio; è stato il luogo della mia infanzia, dell’adolescenza, dove è nata la mia vocazione. È tra le sue mura che ho profuso le mie forze giovanili nell’incontrare Gesù. L’oratorio (se non è solo motivo di aggregazione, ma ambiente di fede) è il luogo dove un prete giovane può esprimere pienamente il suo senso paterno sacerdotale, dove può portare a pienezza quella castità che non è repressione, ma sublimazione e imitazione di Cristo.
Il pensiero che vorrei condividere con lei non è un giudizio sulla vicenda – non la conosco e me ne guardo bene dal prendere una posizione a priori – ma nasce dalla consapevolezza che un episodio del genere potrebbe capitare anche a me.
Innanzitutto mi sono chiesto: fin dove la confidenza di un parroco con i propri ragazzi deve arrivare e come comportarsi per essere santamente prudenti?
Il Catechismo della Chiesa cattolica definisce la prudenza come la virtù grazie alla quale “applichiamo i principi morali ai casi particolari senza sbagliare e superiamo i dubbi sul bene da compiere e sul male da evitare” (n. 1806). È una questione di approccio alla realtà, è la lotta tra uno sguardo cauto e uno malizioso. La persona prudente è colei che vede e compie il bene, ma sa anche intravedere il possibile male e lo evita. Malizioso, invece, è colui che vede il male dove non c’è, ha uno sguardo sul reale che inquina tutto e rende impossibile il bene autentico.
Come potersi difendere da uno sguardo malizioso su di noi?
Mi sono venute in mente alcune attenzioni comportamentali raccontatemi in seminario e allora derise come abitudini medievali. I seminaristi del liceo quando andavano a letto si toglievano la talare (perché allora era obbligatorio indossarla) da sotto le coperte e le mani dovevano rimanere fuori dal letto. Negli studi teologici l’attenzione era puntata sul fatto che ognuno dovesse rimanere nella sua stanza e non era consentito l’ingresso nella camera di altri. Poi, una volta presi i voti, non veniva data la facoltà al giovane sacerdote di confessare le ragazze e le donne giovani, così da evitare possibili scandali (mi permetta una battuta: oggi dovrebbero proibire di confessare gli adolescenti maschi). In ultimo il sacerdote, anche se non più giovane, doveva, durante la direzione spirituale, tenere socchiusa la porta.
Devo ammettere la mia colpevolezza, perché anch’io ho ritenuto questi atteggiamenti espressione di una Chiesa medievale, bigotta e da ammodernare. Bene, ho cambiato idea. La mia vita sacerdotale e la mia esperienza nella pastorale me ne hanno dato ragione.
Sarebbe interessante, attraverso sacerdoti più esperti, ridefinire questa “deontologia professionale”, riscoprire la prudenza del ministero sacerdotale che “nel particolare sa applicare, senza dubbi e senza sbagliare, il bene”.
L’ultima domanda che la lettera di don Riccardo mi ha suscitato è: ma quella Chiesa vecchia e bigotta aveva uno sguardo malizioso oppure era consapevole di un’antropologia segnata profondamente dal peccato e come tale desiderosa di salvare anime? Il suo sguardo era colpevolmente malizioso o era semplicemente uno sguardo prudente?
Un parroco di una diocesi della Lombardia