Cari amici, mi ha scritto un diacono dalla lunga esperienza. Punta l’attenzione su certi atteggiamenti “disinvolti” dei preti, in gran parte conseguenza dell’ideologia del padre-amico, con tutto ciò che la distorsione comporta.
A.M.V.
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Caro Aldo Maria, ti scrivo alcune considerazioni che da molti anni mi frullano nella testa e che hanno trovato conferma nella bella lettera sulla “prudenza” che ti è stata inviata dall’anonimo parroco lombardo.
Da tanti anni osservo preoccupato gli atteggiamenti “disinvolti” del clero giovane nel rapportarsi con i laici, maschi o femmine.
Spesso ho visto preti, rigorosamente privi di ogni segno che li identifichi come tali, comportarsi in modo cameratesco con smancerie fatte di baci e abbracci, con atteggiamenti sciocchi e frivoli, o sottilmente seducenti, mascherati da un rapporto di amicizia alla pari.
Ho sempre giudicato pericolose quelle situazioni nelle quali i giovani preti si stavano mettendo dando, apparentemente, l’impressione di voler dimostrarsi più forti delle tentazioni.
Pur non facendo riferimento a indicazioni comportamentali “vetus ordo” date dai seminari di un tempo, giudico estremamente negativi e pericolosi certi atteggiamenti dei preti, giovani o meno giovani, per due considerazioni radicate nell’esperienza maturata in ambito professionale e in ambito famigliare.
Sono stato per venticinque anni a Bologna il responsabile del Programma terapeutico per tossicodipendenti Progetto uomo.
Nella formazione degli educatori si è sempre fermamente insistito sul ruolo professionale che impediva all’operatore di accorciare la distanza sia fisica che relazionale con il residente della comunità.
Quindi niente atteggiamenti amicali alla pari, espressioni affettive che possono essere equivocate, ma sempre la coscienza che l’efficacia dell’intervento di aiuto è strettamente connesso al ruolo professionale.
In venticinque anni ho avuto la conferma che tutte le volte in cui l’educatore ha infranto queste regole deontologiche si sono aperti spazi a sentimenti e pulsioni con complicazioni che hanno spesso portato a veri drammi esistenziali.
Non per merito mio, ma per le indicazioni che mi sono venute dalle figure che hanno guidato la mia vita spirituale, ho avuto chiaro, anche prima di diventare papà, il modello divino di ogni paternità.
Essere padre è incompatibile con l’ideologia che, a partire dagli anni Settanta del secolo scorso, ha voluto che i padri fossero amici dei figli.
I preti, anche se giovani, debbono sempre aver presente che il ministero affida loro la responsabilità di esercitare la paternità nei confronti del gregge loro affidato.
Certi comportamenti sono incompatibili con l’essere padre.
Da ultimo, per porre termine alla serie di considerazioni troppo seriose, non guasta un po’ di ironia.
Nonostante i miei settantasette anni e i quarantotto di matrimonio, se la mia sposa mi cogliesse in atteggiamenti di frivole, se pur innocenti, smancerie con una parrocchiana (come a volte si vede fare da parte di qualche prete) una volta tornato a casa dovrei mettere in conto una non metaforica botta sulla testa.
Nella speranza di non averti annoiato, grazie per l’attenzione
Claudio Miselli, diacono
Monterenzio (Bologna)