Cari amici, la rivista Radici cristiane mi ha intervistato a proposito del mio libro Claustrofobia. La vita contemplativa e le sue (d)istruzioni, edito da Chorabooks. Un’intervista a vasto raggio, nella quale Cinzia Notaro mi invita a riflettere sui motivi profondi e sulla portata dell’attacco in corso contro la vita contemplativa e la Tradizione.
Per gentile concessione di Radici cristiane propongo qui il testo dell’intervista. Buona lettura.
A.M.V.
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Claustrofobia, un libro del giornalista e saggista Aldo Maria Valli, rivela un vero e proprio attacco da parte della gerarchia cattolica alla vita contemplativa, mistica ed ascetica nei monasteri di clausura: vita dedicata all’orazione, alla contemplazione del mistero divino, alla riparazione dei peccati. Tutto messo al bando.
Abbiamo intervistato Valli per capire come e perché sia stato possibile mettere in pericolo un tale prezioso tesoro della millenaria Tradizione della Chiesa, disprezzando la scelta di chi consacra la propria vita alla preghiera, in nome di una spiritualità volta al sociale: gli effetti per la fede e la Chiesa potrebbero essere disastrosi.
DOMANDA: Quanto e in che modo i due documenti, la costituzione apostolica Vultum Dei quaerere del 2016 e l’istruzione applicativa Cor orans del 2018, contribuiscono ad indebolire l’autonomia dei monasteri, minacciando la loro indipendenza e la missione affidata da Nostro Signore?
I due documenti hanno contenuti ambigui. In alcune parti esprimono riconoscenza per la vita di preghiera condotta nei monasteri di clausura, ma nella sostanza disconoscono il valore di questa esperienza di fede e finiscono per snaturarla. Le modalità, per riassumere, sono essenzialmente due: da un lato si spinge perché i monasteri perdano la loro storica autonomia, dall’altro si fa in modo che le monache siano indotte a uscire sempre di più nel mondo, ad esempio a motivo dell’aggiornamento, quasi fossero manager e non donne consacrate. Nel complesso, anche se i due documenti hanno formalmente parole di stima verso le monache di clausura, emerge una visione tutta orizzontale dell’esperienza di fede, per cui l’attività caritativa e sociale sarebbe più importante di quella che si conduce nell’isolamento e nel nascondimento, là dove in primo piano c’è il rapporto con Dio.
La Cor orans tende a limitare, se non a sopprimere, l’autonomia per creare comunità allargate che di fatto stravolgono la vita monastica. Nel documento, in modo più o meno esplicito, si fa capire che l’isolamento non è un valore e va superato, come se fosse un problema e non il frutto di una scelta spirituale consapevole. Si parla in continuazione della necessità di federarsi e di associarsi, di collaborare, di creare forme di condivisione, di dar vita a strutture di collegamento, di lavorare secondo un indirizzo unitario, come se l’autonomia e l’originalità del monastero (sotto tutti i profili, da quelli spirituali e religiosi a quelli storici e culturali) fossero non tesori da valorizzare, ma inutili residui di un passato da dimenticare.
DOMANDA: Leggendo l’articolo 7 della Vultum Dei quaerere non si può non tener conto di alcune iniziative prese nel 2012 , dal titolo Una nuova visione della vita consacrata: solo una coincidenza o un vero progetto?
Come dicevo, nei documenti c’è questa idea di fondo secondo la quale sarebbe necessario un rinnovamento. La Tradizione è sminuita, mentre l’accento è posto sul cambiamento. Ma è un cambiamento che lascia perplessi, perché mina le basi stesse della vita contemplativa. Nell’introduzione al mio piccolo libro una monaca di clausura spiega: «La forma particolarissima della nostra vita di claustrali non è sempre immediatamente comprensibile alla sensibilità contemporanea: essa ci ricorda la spiritualità del deserto, dove Dio conduce la sua sposa e amata per parlarle cuore a cuore, lontana da ogni cosa creata che possa distrarla da Lui. La clausura, fino ad oggi, è stata il segno dell’incontro esclusivo con Dio, del ritiro dal mondo per affermare l’importanza imprescindibile della ricerca di Dio: il primato di Dio. In questo senso il piccolo libro di Aldo Maria Valli fa riflettere. È permeato infatti da una domanda: perché? Perché toccare un tesoro così prezioso, qualcosa che funziona da più di mille anni? Qual è la posta in gioco? Quali i veri obiettivi?».
Io credo che il punto sia proprio questo. E la risposta della monaca mi sembra convincente: il grande desiderio di rinnovamento e cambiamento nasconde l’intento di distruggere i monasteri, così come finora sono esistiti nella Chiesa. Si tratta dell’ultima fortezza a cui mira il nemico, l’ultimo baluardo dove ancora resistono la preghiera e una vita «sprecata» unicamente per la lode di Dio. Ecco il vero obiettivo degli ultimi documenti che si occupano di questa realtà complessa e delicata: sotto lo slogan che raccomanda ossessivamente di evitare l’isolamento si intravvede la volontà di arrivare alla creazione di un «nuovo» monachesimo, dove tutte le monache siano sottoposte alle identiche forme di aggiornamento e indottrinamento, fino a cambiare le regole di vita.
DOMANDA: Nel suo libro si parla di modifica, sradicamento, rinnovamento e trasformazione della tradizione degli istituti di vita contemplativa: un vero e proprio processo diretto a minacciare le fondamenta del monachesimo . Sono cambiamenti epocali sotto l’attuale pontificato, derivanti dalla teologia della liberazione condizionata dal marxismo tendente a svuotare il senso universale e spirituale della Chiesa?
La domanda esigerebbe una risposta molto articolata e complessa. Certamente Francesco ha dimostrato a più riprese di avere una visione della vita di fede che poco si concilia con quella dei monasteri di clausura. L’insegnamento dell’attuale pontificato mette in primo piano l’assistenza ai migranti, l’aiuto ai poveri, la Chiesa «in uscita» e «ospedale da campo». Nella cattolicità ci sono sempre state sensibilità diverse e anche quella del papa argentino va rispettata. La cosa si fa però preoccupante nel momento in cui, attraverso documenti come quelli dei quali ci stiamo occupando, vediamo che un certo tipo di spiritualità è messo in pericolo. Io non sono un teologo, ma un giornalista, e dunque, anziché proporre mie interpretazioni, preferisco rifarmi ancora alle parole della monaca di clausura che ha scritto l’introduzione al libro e il cui grido di dolore è all’origine della mia opera: «Con quale sgomento noi, suore di clausura, assistiamo a questa lotta, condotta con la prepotenza, le minacce e la coercizione psicologica! Anche perché tutto si compie nel silenzio e nel nascondimento dei monasteri. Uno sterminio silenzioso del monachesimo, sotto il profilo spirituale e culturale, ma anche materiale (attraverso il controllo dei beni dei monasteri); sterminio di una struttura millenaria giunta pressoché intatta fino a noi. Dobbiamo procedere a un cambio epocale per “aggiornare la millenaria vita contemplativa”, ci viene detto dall’alto, e occorre farlo in tempi rapidi, entro il maggio 2019. E di nuovo torna la domanda: perché? Perché tanta fretta? Perché questa ossessione?».
DOMANDA: La costituzione apostolica Sponsa Christi di Papa Pio XII affronta il tema della mistica consacrazione di coloro che volontariamente con spirito di sacrificio e di zelo, con la propria immolazione nel silenzio, nella penitenza, desiderosi di servire Dio e di combattere la buona battaglia della fede seguendo la via della perfezione, promuovono il bene della Chiesa e di tutti i fedeli cristiani. Oggi invece, con il pretesto dell’aggiornamento e della formazione, tutto passa in secondo piano, come se fosse più importante la vita su questa terra e la soddisfazione dei bisogni temporali dell’uomo: cambio di paradigma?
Nella sua domanda c’è già la risposta. Oggi prevale questa visione orizzontale e sociale della vita di fede e della Chiesa. Non si capisce che del monachesimo, così come è giunto fino a noi, a beneficio dell’intera Chiesa, abbiamo più che mai bisogno. Abbiamo bisogno delle monache e dei monasteri perché sono baluardi della fede e della preghiera. In un mondo in cui anche la Chiesa tende a secolarizzarsi abbiamo bisogno di questa purezza, di questa diversità. Invece i nuovi documenti sembrano più che altro preoccupati del modo in cui normalizzare e liquidare i monasteri, anche con toni impositivi. Nell’esortazione apostolica Gaudete et exsultate del 19 marzo 2018 si legge con sgomento la seguente frase: «Non è sano amare il silenzio ed evitare l’incontro con l’altro, desiderare il riposo e respingere l’attività, ricercare la preghiera e sottovalutare il servizio» (n. 26). Parlare in questi termini del silenzio e della preghiera, arrivando ad equipararli alla ricerca del «riposo» e contrapponendoli al servizio, significa non capire, o non voler capire, che cos’è la vita contemplativa e non cogliere, o non voler cogliere, la sua importanza anche sotto il profilo sociale. Possiamo dire infatti che la vita contemplativa, con la sua radicalità, è proprio il modo più profondo di dedicarsi al mondo, perché è tutta concentrata nel mettere in rapporto terra e Cielo.
DOMANDA: Viene da chiedersi cosa ci sarà alla base della nuova vocazione alla vita monastica se non l’occuparsi esclusivamente del Sommo ed unico bene, Dio?
Il grido di dolore accorato delle monache mi ha colpito profondamente. Ho sempre pensato ai monasteri come a luoghi certamente di sacrificio, ma anche di pace. Ho scoperto invece che le monache di clausura sono inquietate, e questa volta non per aggressioni esterne, ma per un progetto che arriva dai vertici della Chiesa. Tutto ciò, da semplice osservatore e semplice fedele, mi fa pensare. Non so che cosa ci riserverà il futuro, ma intuisco che la battaglia che si sta combattendo, per la conservazione della fede, ha nei monasteri un fronte decisivo. L’unica domanda che conta è sempre la stessa: «Quando Dio ritornerà troverà la fede sulla terra?» ( Luca 8,8). Ecco, se noi snaturiamo la vita contemplativa certamente mettiamo a rischio la sopravvivenza della fede stessa.
DOMANDA: Alla fine a cosa si mira? Si vuole cambiare il volto e l’anima della vecchia Europa che ha visto in san Benedetto da Norcia il patriarca del monachesimo occidentale, facendo crollare un pilastro gigantesco della civiltà cristiana?
Non so dire che cosa ci sia di preciso dietro l’attacco alla vita monastica come l’abbiamo sempre conosciuta. Forse, oltre a interessi economici, c’è anche una grande componente di ignoranza e superficialità. Si ignora il valore culturale dell’esperienza monastica, come ci è stata illustrata molto bene da Benedetto XVI nella celebre lezione tenuta nel 2008 al Collège des Bernardins di Parigi, quando mise in evidenza il ruolo chiave dei monasteri nella trasmissione della cultura classica alla modernità. Penso che l’attacco ai monasteri si inserisca in un quadro più ampio. Il compianto cardinale Carlo Caffarra diceva spesso: «È d’urgenza drammatica che la Chiesa ponga fine al suo silenzio circa il soprannaturale». Ora, purtroppo, notiamo che la situazione è ancora più grave: abbiamo non solo il silenzio circa il soprannaturale, ma la volontà di colpire la vocazione di coloro che hanno scelto di consacrare le proprie vite al rapporto orante con Dio, nel silenzio, nell’isolamento e nel nascondimento.
DOMANDA: Forse non è un caso che il Papa emerito abbia scelto di chiamarsi Benedetto XVI conducendo, dopo le sue dimissioni, un’esistenza nella preghiera, nella contemplazione, ed esprimendo in tal modo piena opposizione allo smantellamento della tradizione di vita claustrale?
Benedetto XVI ha scelto di vivere ritirato per tante ragioni. Certamente noi oggi lo possiamo assimilare a un monaco e penso che questo pensiero sia di aiuto ai monaci e alle monache che gli vogliono bene. Non penso che il tipo di vita condotto dal papa emerito possa essere considerato un modo di opporsi allo smantellamento dei monasteri, però è importante restare uniti nella preghiera a Joseph Ratzinger, il quale, poco prima di divenire pontefice, tenne a Subiaco, nel monastero di Santa Scolastica, un bellissimo discorso nel quale disse fra l’altro che oggi abbiamo più che mai bisogno di uomini e donne «il cui intelletto sia illuminato dalla luce di Dio e a cui Dio apra il cuore». L’esempio, disse, è Benedetto da Norcia, «il quale, in un tempo di dissipazione e di decadenza, si sprofondò nella solitudine più estrema, riuscendo, dopo tutte le purificazioni che dovette subire, a risalire alla luce, a ritornare e a fondare a Montecassino la città sul monte che, con tante rovine, mise insieme le forze dalle quali si formò un mondo nuovo. Così Benedetto, come Abramo, diventò padre di molti popoli».
DOMANDA: Riporto parte del comunicato stampa di Gustavo Raffi, gran maestro del Grande Oriente d’Italia, all’indomani dell’elezione di Bergoglio: «Con Papa Francesco nulla sarà come prima. La semplice croce che ha indossato sulla veste bianca lascia sperare che una Chiesa del popolo ritrovi la capacità di dialogare con tutti gli uomini di buona volontà e con la Massoneria che, come insegna l’esperienza dell’America Latina, lavora per il bene e il progresso dell’umanità, avendo come riferimenti Bolivar, Allende, Josè Marti, solo per citarne alcuni. È questa la “fumata bianca” che aspettiamo dalla Chiesa del nostro tempo». Si può dunque affermare che dietro queste scelte ci sia un forte spirito rivoluzionario?
Che cosa posso rispondere? Mi limito a dire che le parole del gran maestro massone mi inquietano profondamente.
DOMANDA: Possiamo dire con certezza che ci troviamo di fronte ad una Chiesa dirottata dal modernismo e dal protestantesimo, entrambi condannati dai precedenti Papi pre-conciliari e che, come dichiarò Paolo VI, «attraverso qualche fessura il fumo di Satana è entrato nella Chiesa»?
Paolo VI è stato dichiarato santo, quindi evidentemente la stessa Chiesa ha preso molto sul serio le sue parole, comprese quelle sul fumo di Satana. Quanto a modernismo e protestantesimo, mi sembra evidente che i vertici della Chiesa cattolica oggi abbiano intrapreso un percorso che va proprio in quella direzione, come dimostra l’onore dato a Lutero. Tutto ciò è paradossale se pensiamo alla profonda crisi dell’esperienza religiosa protestante. Si nota a volte nella Chiesa cattolica una sorta di cupio dissolvi, di desiderio di auto-annientamento, che lascia sgomenti. Anziché esaltare la bellezza della propria Tradizione si preferisce abbracciare l’esperienza di chi, storicamente, ha fallito.