Ecco perché la diagnosi di Benedetto XVI è corretta. E sarebbe bene ascoltarlo
Nel giro di alcuni giorni sono avvenuti tre fatti sui quali i cattolici, ma non solo, si interrogano. Ci riferiamo al rifiuto del papa di lasciarsi baciare l’anello, al suo inginocchiarsi davanti ai leader politici del Sud-Sudan per baciare loro i piedi e infine al testo che Benedetto XVI ha scritto e diffuso a proposito degli abusi sessuali nella Chiesa. Come sempre, diverse e di segno opposto le reazioni. Chi scrive non ha nascosto il proprio sconcerto per i primi due fatti e la sua gratitudine nei confronti di Benedetto XVI per il testo sugli abusi. Ora ne parliamo con monsignor Nicola Bux, teologo e liturgista, già consultore di diverse congregazioni vaticane e autore di numerosi libri molto apprezzati dai lettori.
Bergoglio che si inginocchia e bacia i piedi ai leader politici sud-sudanesi è un’immagine che provoca, in molti fedeli, non solo perplessità, ma profondo sconcerto e rifiuto. Ecco il papa (il papa!) – che durante le Sante Messe da lui celebrate non si inginocchia mai davanti al Santissimo Sacramento – addirittura prostrato davanti ad alcuni uomini. Ma perché? Che senso ha? “Un grande gesto a favore della pace”, abbiamo sentito dire, anche da parte di qualche cattolico. Ma davvero è un gesto a favore della pace? Non è piuttosto un rendere culto all’uomo?
Qual è, monsignor Bux, la sua valutazione?
È umanamente comprensibile che il papa abbia fatto questo gesto per implorare la pace tra fazioni che sono in lotta indipendentemente dal loro credo. Tuttavia il papa, che è il vescovo di Roma, è consapevole di essere il Vicario di Cristo, il quale ha detto “Vi do la mia pace”, quella che il mondo non può dare. Sarebbe stato significativo se egli avesse invitato tutti i convenuti a inginocchiarsi, insieme, davanti al Santissimo Sacramento, per implorare la pace da Colui che la pace può darla davvero. In tal modo si sarebbe anche sciolto il dilemma che lei sta ponendo.
Impossibile non tornare indietro di qualche giorno e pensare a un altro gesto sconcertante da parte di Bergoglio, quando, a Loreto, non si è lasciato baciare l’anello “per ragioni igieniche”, come è stato costretto a spiegare, immagino con un certo imbarazzo, il portavoce vaticano. Monsignor Bux, siamo arrivati a punti di incongruenza e assurdità di fronte ai quali è difficile trovare spiegazioni. Che sta succedendo?
Un teologo progressista, Hans Küng, racconta un aneddoto significativo. È un fatto realmente accaduto e riguarda il premio Nobel Thomas Mann, il quale, quando si recò in udienza da Pio XII, pretese di baciare l’anello piscatorio del papa e questi non si ritrasse affatto. Anzi, il papa rimase piacevolmente sorpreso dal gesto dello scrittore di fama mondiale e di fede luterana. Ciascuno riconobbe nell’altro un’autorità nella propria sfera di influenza senza venir meno alle proprie prerogative. Qualcuno avrebbe detto: “Potere dei segni”! Perché l’anello del pescatore significa l’obbedienza del papa, quale successore di Pietro, a Gesù Cristo. In certo senso, richiama tutto il contenuto e la forma del primato petrino.
Infine non possiamo ignorare l’ultimo intervento di Benedetto XVI a proposito degli abusi sessuali nella Chiesa, un documento che ha fatto il giro del mondo e che, al di là di un omaggio formale a Bergoglio, è una presa di distanza dalla linea vaticana in materia. Lei come giudica il testo di Joseph Ratzinger? E perché, a suo giudizio, Benedetto XVI ha sentito il bisogno di scriverlo e renderlo noto?
Un fine osservatore politico lo ha definito un “atto di governo” in questo momento di confusione e sbandamento. Si può governare davvero solo se c’è un pensiero in grado di insegnare, ovvero di comunicare, la dottrina, che in greco si chiama didachè. “L’insegnamento è come un cibo, il cui possessore è colui che lo distribuisce” (san Gregorio Nazianzeno). Visto che oggi si parla tanto di pastorale, quale pasto si dovrebbe dare se non quello della dottrina? Si può supporre che Benedetto abbia voluto attendere la conclusione del summit sugli abusi, in Vaticano, prima di proporre la sua diagnosi e la sua terapia, ritenendosi insoddisfatto delle conclusioni raggiunte nell’incontro. Non sarebbe, secondo Benedetto, il clericalismo la causa di tutto, ma ciò che avvenne progressivamente nel ventennio dagli anni Sessanta agli anni Ottanta del secolo scorso, l’allontanamento da Dio, all’interno della stessa Chiesa ritenuto un discorso non pratico. Un vero atto di paternità, quello di Benedetto XVI, verso il popolo di Dio.
Monsignor Bux, qualcuno però, anche fra i cattolici, sostiene che l’analisi di Benedetto XVI è sbagliata, perché gli abusi c’erano anche prima del Sessantotto…
Qui occorre chiarire. La chiave di comprensione è il superamento del limite. Con quello che definiamo il Sessantotto, intendendo così il cosiddetto processo di “liberazione” in campo morale e specialmente sessuale, non esiste più un’autorità suprema, un padre; non esiste Dio. E pensare che in natura c’è un limite a ogni cosa, come la riva all’acqua del mare! Così, ai nostri giorni, nella Chiesa si è giunti a dichiarare la possibilità di un fraternalismo mondiale, senza il Padre, scambiando il cristianesimo per una filosofia umanitaria. Poi dalla crisi della fede in Cristo è derivata la crisi della fede nella norma assoluta, con il tentativo di abolire la distinzione tra il bene e il male. Tutto ciò c’era anche prima del Sessantotto? Certamente, ma non nelle stesse proporzioni, e comunque era ritenuto peccato, immorale. Dopo il Sessantotto – come sottolinea giustamente Benedetto XVI – tutto ciò è stato invece considerato non solo come permesso, ma addirittura come conveniente. Taluni teologi (che sarebbe giusto chiamare “mondo-logi”, perché diluiscono Dio nel mondo) hanno perfino abolito dal loro lessico il peccato e le sue conseguenze, dimenticando che Egli è venuto nel mondo per un giudizio: affinché coloro che non vedono possano vedere, e quelli che vedono diventino ciechi (Gv 9,40). Per fortuna la gente è anti-Sessantotto esistenzialmente (si veda il libro di Giovanni Formicola, Il ’68. Macerie e speranza, Cantagalli 2018, p.78). La liturgia pasquale afferma che il peccato di Adamo ha reso necessaria la salvezza di Gesù Cristo. Dunque la Chiesa non deve vergognarsi di Cristo, anche se questo comporta il martirio.
A cura di Aldo Maria Valli