Le parole di Paolo contro la sodomia andrebbero “contestualizzate” perché l’apostolo non aveva una conoscenza appropriata delle coppie “omoaffettive”. Questa la tesi sostenuta da don Gian Luca Carrega, biblista delegato della diocesi di Torino per la “pastorale degli omosessuali”. Una posizione contestata ieri su Duc in altum da Claudio Miselli, secondo cui la Lettera ai romani in realtà è molto chiara quando parla di “atti ignominiosi”.
Riflessioni, quelle di Claudio Miselli, che hanno suscitato ampio interesse e sulle quali torna oggi Giovanni Formicola, con questo contributo che ci ha inviato.
A.M.V.
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Caro e stimatissimo Valli, leggo sul suo sito questa tesi di don Carrega: “Nelle città pagane Paolo si trova di fronte a un fenomeno che non ha gli strumenti per comprendere. Lo considera una devianza. Ma non ha mai conosciuto una coppia omoaffettiva: non possiamo giudicare con categorie moderne quello che allora non esisteva”. E ancora: “Paolo e Gesù vivono in un’epoca precisa, non si possono estrapolare testi e non contestualizzarli”.
E va bene, Paolo era dunque un sempliciotto – diremmo oggi un “cafoncello di paese” -, che non aveva gli “strumenti per comprendere” la sofisticata maturità affettiva operante nella grande città. Un giudizio che somiglia molto a quello che i nuovaiorchesi upper class di oggi riservano ai loro compatrioti e concittadini repubblicani e quindi per forza buzzurri e arretrati.
Però Platone non era un provinciale. Ateniese quando Atene era Atene, intellettuale di spicco del tempo, lo possiamo definire un nuovaiorchese di quell’epoca. Possedeva inoltre prestigiosi titoli accademici e ben quattro secoli prima di Paolo aveva capito quello che c’era da capire, e certo qualche “coppia omoaffettiva” l’aveva conosciuta, visto l’andazzo attorno a lui.
Ed ecco che cosa scriveva: “[…] bisogna considerare che l’uno e l’altro sesso hanno avuto da natura questo piacere della copula in vista della procreazione, e che invece le unioni di maschi con maschi e di femmine con femmine sono contro natura” (Le Leggi, 636c, che prosegue, 636d, con un riferimento al mito di Ganimede, cioè all’unione erotica tra un adulto, Zeus, e un giovinetto, ch’era costume a Creta come conseguenza di questa propensione contro natura).
E in un altro punto dello stesso dialogo il gigante della filosofia di tutti i tempi ribadisce il concetto, stavolta in termini prescrittivi. “[…] i maschi non si uniscano tra loro o con ragazzi, usando gli altri come se fossero donne per una materiale unione carnale” (836c), e “[…] che nessuno abbia l’ardire […] di spargere la propria semenza, non consacrata ed illegittima, in seno a concubine, o, sterile e contro natura, su maschi” (841d).
Gentile don Carrega, le chiedo: tutto questo come si dovrebbe “contestualizzare”?
Ci vorrebbe forse un eterno Totò: “Ma mi faccia il piacere!”.
Giovanni Formicola