Ascolto la radio, leggo le notizie in internet. E mi accorgo che torna continuamente quell’espressione: “stato vegetativo”. La riferiscono a Vincent Lambert, l’uomo di quarantadue anni che nel Centre Hospitalier Universitaire (Chu) di Reims, Francia, è ricoverato da dieci anni in conseguenza di un trauma cranico legato a un incidente stradale.
Vincent, stando ad alcuni specialisti, vive in uno stato “di coscienza minima” (état pauci-relationnel o état de conscience minimal plus), secondo altri in uno stato “vegetativo cronico” (état végétatif chronique). Sta di fatto che ora i medici del Chu hanno chiesto di sospendere ogni cura, anche quelle fisiologicamente essenziali per la vita come l’idratazione e la nutrizione. Insomma, per dirla in parole povere, Vincent è stato condannato a morte per fame e sete.
Non essendo uno specialista, non voglio stare a disquisire su che cosa si debba intendere per “stato vegetativo”. Noto solo che l’espressione è alquanto ambigua. E, di certo, se con “stato vegetativo” si intende lo stato di una persona del tutto assente, senza più capacità di contatto con il mondo esterno e coscienza, questo non è il caso di Vincent, il quale, fra l’altro, respira in modo autonomo.
Basta guardare e ascoltare. Ecco l’ultimo video realizzato dai genitori di Vincent.
La voce che si sente è della mamma, Viviane. E gli occhi di Vincent parlano. Quello che si sta mandando a morte è un uomo vivo.
Riporto qui ampi stralci di un bell’articolo dedicato alla vicenda da don Roberto Colombo, dell’Università Cattolica.
A.M.V.
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Non possiamo rimanere indifferenti
[…] L’accoglienza, il rispetto e la tutela di ogni vita umana, in qualunque condizione si trovi, è oggi il punto più debole (eppure decisivo) della società, della politica e dello stato. Non accogliere tutti equivale a scartare qualcuno, praticamente a farlo fuori (moralmente, giuridicamente o fisicamente): tertium non datur.
[…] Se questo è accaduto anche in passato, ciò che ferisce il cuore e indigna l’animo — e rende inaccettabile la “congiura del silenzio” imposta dal “politicamente (s)corretto” — è, al presente, il sovrapporsi di una “cultura dell’indifferenza” trasversale alle società e alle politiche. «Quest’attitudine egoistica, di indifferenza, ha preso oggi una dimensione mondiale, a tal punto che possiamo parlare di una globalizzazione dell’indifferenza.
[…] L’indifferenza verso il prossimo e verso Dio è una reale tentazione anche per noi cristiani». Noi che abbiamo conosciuto che «Dio non è indifferente al mondo, ma lo ama fino a dare il suo Figlio per la salvezza di ogni uomo» (Papa Francesco, Messaggio per la Quaresima 2015).
[…] Pur trovandosi in una condizione di grave incapacità relazionale con il mondo esterno e le persone a lui vicine (nulla potendosi dire con ragionevole certezza sulla eventuale riduzione o assenza della sua “coscienza interna” o “profonda”), il paziente [Vincent] non è connesso ad un ventilatore (la respirazione è autonoma) né sottoposto a stimolazione cardiaca (il battito è spontaneo), e neppure oggetto di terapie intensive o subintensive che possano configurare una situazione clinica ed etica di “accanimento terapeutico”.
I periti clinici nominati dal tribunale amministrativo di Châlons-en-Champagne nel novembre 2018 «considerano che la risposta ai bisogni fondamentali primari (alimentazione, idratazione, escrezione, prevenzione cutanea, igiene di base) non configura, per certi pazienti in stato vegetativo comprovato, come per Vincent Lambert, un accanimento terapeutico [“acharnement thérapeutique”] o una ostinazione irragionevole [“obstination déraisonnable”]» (Rapport, p. 24).
Alla stessa conclusione erano giunti 70 medici e specialisti clinici che avevano studiato i dati disponibili del paziente, aggiungendo inoltre che «è evidente che Vincent Lambert non è in fin di vita» e le sue condizioni cliniche, pur gravi, sono abbastanza stabili (pubblicato in: «Le Figaro», 18 aprile 2018).
Questa obiettiva osservazione clinica esclude che sia appropriato medicalmente e corretto eticamente applicare a questo malato il giusto principio di rispettare il sopraggiungere ormai inevitabile della morte e non opporsi al decorso naturale dell’agonia con interventi inappropriati che prolungano solamente la sofferenza del morente.
[…] Come hanno ricordato recentemente l’arcivescovo di Reims, monsignor Éric de Moulins-Beaufort, e il vescovo ausiliare della stessa diocesi, monsignor Bruno Feillet, nella situazione di Vincent «è in gioco l’onore di una società umana non lasciare che uno dei suoi membri muoia di fame o di sete e fare tutto il possibile per mantenere fino alla fine le cure appropriate. Permettersi di rinunciarvi perché una tale cura ha un costo o perché sarebbe inutile lasciar vivere la persona umana rovinerebbe lo sforzo della nostra civiltà. La grandezza dell’umanità consiste nel considerare come inalienabile e inviolabile la dignità dei suoi membri, specialmente i più fragili», in qualunque condizione essi si trovino. «Preghiamo ancora e invitiamo a pregare affinché la nostra società francese non si impegni sulla via dell’eutanasia» (13 maggio 2019). E «l’eutanasia è una grave violazione della Legge di Dio, in quanto uccisione deliberata moralmente inaccettabile di una persona umana. […] Per eutanasia in senso vero e proprio si deve intendere un’azione o un’omissione che di natura sua e nelle intenzioni procura la morte, allo scopo di eliminare ogni dolore» (San Giovanni Paolo II, Lettera enciclica Evangelium vitae, n. 65) […].
Staccare l’idratazione e la nutrizione significa spegnere la corrente elettrica che consente al nostro sistema nervoso di controllare il buon funzionamento del nostro corpo e non fornire più metaboliti, energia, elettroliti e acqua per la fisiologia umana. È contro la vita e la dignità della persona. Anche se una legge o una sentenza consentono questa azione, essa resta inaccettabile e indegna di una società fondata sul rispetto e l’accoglienza della vita di tutti.
Roberto Colombo
Facoltà di Medicina e Chirurgia Università Cattolica del Sacro Cuore
L’Osservatore Romano, 18-19 maggio 2019