Alla fine, la decisione della Corte d’appello di Parigi è arrivata in serata: fino a quando una commissione dell’Onu non deciderà a fondo sul suo caso, Vincent Lambert dovrà ricevere alimentazione e idratazione.
Il tribunale “ordina allo Stato francese (…) di adottare tutte le misure per applicare le misure provvisorie richieste dal Comitato internazionale sui diritti delle persone con disabilità il 3 maggio 2019 per il mantenimento degli alimenti e dell’idratazione”.
Sarà dunque l’Onu a decidere, entro sei mesi, se difendere la vita di chi, a causa delle sue condizioni, non si può difendere da solo.
Ieri mattina l’uccisione di Vincent Lambert mediante eutanasia era incominciata e i medici dell’ospedale Chu Sébastopol di Reims avevano interrotto alimentazione e idratazione.
Nonostante l’appello della madre Viviane al presidente Emmanuel Macron, la macchina della morte si era messa in moto.
“Quando Vincent ha visto i suoi genitori, che gli hanno comunicato al decisione dei medici, Vincent si è messo a piangere: lui sente tutto quello che succede attorno a lui”, ha dichiarato David Philippon, fratellastro di Vincent e contrario all’eutanasia. Un’altra parte della famiglia, in particolare la moglie, vuole invece la morte dell’uomo.
Sulla vicenda di Vincent Lambert Jeanne Smits ha intervistato per LifeSiteNews il cardinale Raymond Burke.
A.M.V.
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Eminenza, lei sicuramente conosce il caso di Vincent Lambert in Francia, un uomo tetraplegico, di 42 anni, con una lesione cerebrale. Le autorità sanitarie e amministrative hanno deciso di smettere di idratarlo e nutrirlo perché è stato considerato in un cosiddetto “stato vegetativo” e “non avrebbe voluto vivere in questo modo”. Questo caso tocca questioni serie riguardo al rispetto della vita umana. Qual è il suo punto di vista o, più precisamente, il punto di vista della Chiesa su questa situazione?
Sono profondamente preoccupato per la situazione di Vincent Lambert, nel timore che sia messo a morte per l’omissione di nutrizione e idratazione, come accadde tragicamente nel caso di Terri Schindler Schiavo negli Stati Uniti nel marzo 2005 e di Eluana Englaro in Italia nel febbraio 2009. Sono profondamente preoccupato per Vincent Lambert e per le molte altre vittime dell’eutanasia, perché è chiaro che, se la sottrazione di nutrimento e idratazione sarà ritenuta giustificata nel caso di Vincent Lambert, nessuno che si troverà in una condizione di grave indebolimento godrà del rispetto fondamentale per la sua vita.
Ritirare la nutrizione e l’idratazione, che sia fornita da mezzi naturali o artificiali, è eutanasia per omissione, cioè, secondo la definizione di eutanasia fornita da Papa Giovanni Paolo II, nella sua enciclica Evangelium Vitae (25 marzo 1995), “un’azione o un’omissione che di natura sua e nelle intenzioni procura la morte, allo scopo di eliminare ogni dolore” (n. 65). Papa Giovanni Paolo II, nella stessa enciclica, ha chiarito che l’insegnamento sull’eutanasia “si basa sulla legge naturale e sulla parola scritta di Dio”.
Il primo precetto della legge naturale è la protezione e la promozione di tutta la vita umana, specialmente della vita umana che è pesantemente gravata da bisogni speciali o gravi malattie o età avanzata.
Nel caso di Vincent Lambert le autorità francesi sostengono che la sua mancanza di autocoscienza e coscienza del mondo intorno a lui – che in realtà è contestata, come si vede dalle sue reazioni agli stimoli della madre in particolare – indicano che si trova in uno “stato vegetativo” in cui non avrebbe voluto trovarsi. Queste circostanze – stato vegetativo e desiderio personale – possono essere una giustificazione per interrompere la somministrazione di cibo e acqua?
La Congregazione per la dottrina della fede, in risposta a due domande riguardanti la somministrazione di cibo e acqua per una persona in quello che è chiamato “stato vegetativo” (1 agosto 2007), ha dato un’interpretazione autorevole della legge naturale in tali casi: “Un paziente in uno stato vegetativo permanente è una persona dotata di dignità umana fondamentale e deve pertanto ricevere cure ordinarie e proporzionate che includano, in linea di principio, la somministrazione di acqua e cibo anche con mezzi artificiali”. Come osserva la risposta: “In questo modo si prevengono la sofferenza e la morte per fame e disidratazione”. L’unica eccezione è il caso in cui il corpo non può più assimilare acqua o cibo.
Papa Giovanni Paolo II ha illustrato l’insegnamento sul dovere morale di fornire “cure normali dovute agli ammalati in questi casi”, che include nutrizione e idratazione, nel suo discorso ai medici cattolici riguardo alla cura di coloro che si dice che siano in “uno stato vegetativo” (20 marzo 2004). Ha dichiarato: “Vorrei sottolineare in particolare come la somministrazione di acqua e cibo, anche se fornita da mezzi artificiali, rappresenti sempre un mezzo naturale per preservare la vita, non un atto medico. Il suo uso, inoltre, dovrebbe essere considerato, in linea di principio, ordinario e proporzionato, e come tale moralmente obbligatorio, nella misura in cui e fino a quando non si è visto che ha raggiunto la sua vera finalità, che nella fattispecie consiste nel fornire nutrimento al paziente e alleviamento della sua sofferenza”.
Pensa che sia corretto applicare le parole “stato vegetativo” a un essere umano?
Il termine “stato vegetativo” deve essere usato con grande cura, perché può portare a considerare colui che soffre come meno che umano. Come ha osservato Papa Giovanni Paolo II nel suo discorso appena citato:
Di fronte ad un paziente in simili condizioni cliniche, non manca chi giunge a mettere in dubbio il permanere della sua stessa “qualità umana”, quasi come se l’aggettivo “vegetale” (il cui uso è ormai consolidato), simbolicamente descrittivo di uno stato clinico, potesse o dovesse essere invece riferito al malato in quanto tale, degradandone di fatto il valore e la dignità personale. In questo senso, va rilevato come il termine, pur confinato nell’ambito clinico, non sia certamente il più felice in riferimento a soggetti umani. In opposizione a simili tendenze di pensiero, sento il dovere di riaffermare con vigore che il valore intrinseco e la personale dignità di ogni essere umano non mutano, qualunque siano le circostanze concrete della sua vita. Un uomo, anche se gravemente malato o impedito nell’esercizio delle sue funzioni più alte, è e sarà sempre un uomo, mai diventerà un “vegetale” o un “animale”.
Giovanni Paolo II ha ricordato un principio morale fondamentale: “Del resto, è noto il principio morale secondo cui anche il semplice dubbio di essere in presenza di una persona viva già pone l’obbligo del suo pieno rispetto e dell’astensione da qualunque azione mirante ad anticipare la sua morte” (discorso ai partecipanti al congresso internazionale su I trattamenti di sostegno vitale e lo stato vegetativo, n. 4).
Anche i nostri fratelli e le nostre sorelle che si trovano nella condizione clinica dello “stato vegetativo” conservano tutta intera la loro dignità umana. Lo sguardo amorevole di Dio Padre continua a posarsi su di loro, riconoscendoli come figli suoi particolarmente bisognosi di assistenza.
Come cattolici, abbiamo un ruolo particolare in questa situazione in cui molte leggi positive vanno contro la legge naturale che richiede rispetto per la vita umana innocente?
Data la gravità della situazione, in particolare per Vincent Lambert e, in generale, per tutte le persone in condizioni simili, le persone di buona volontà e i cattolici hanno l’obbligo di chiedere che lo Stato e le strutture sanitarie rispettino l’inviolabile dignità della vita umana innocente, in particolare la vita dei nostri fratelli e sorelle con pesanti fardelli di bisogni speciali, gravi malattie o età avanzata, che sono i più titolati per avere la cura dello Stato e del prossimo. Nel caso di Vincent Lambert, il nostro dovere di salvaguardare la legge naturale significa insistere sul fatto che gli sia fornita la normale cura per una persona nella sua condizione.