Prosegue la riflessione del maestro Porfiri sui dolori del musicista di musica sacra e sullo stato della liturgia nella Chiesa cattolica.
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Da una decina d’anni ormai mi trovo su Facebook e, facendo parte di vari gruppi che hanno a che fare con la musica liturgica, ho osservato un fenomeno che penso la dica lunga sulla considerazione in cui sono tenuti coloro che operano nel campo della musica per la liturgia. Si leggono le richieste più disparate di poter avere copie di questo o quello spartito, senza considerare che le copie pirata privano del giusto guadagno autori ed editori. Ammetto che anch’io qualche volta ho fatto questo errore, e sarei ipocrita se non lo dicessi. Ma a mia parziale discolpa devo precisare che ho fatto questo sbaglio nei casi in cui lo spartito era ormai introvabile, fuori catalogo, o il compositore era d’accordo visto che ancora deteneva i diritti dei suoi brani. Per il resto, ho cercato sempre di stare bene attento a non violare i diritti di editori e autori. Ovviamente quando è il compositore stesso che volontariamente mette a disposizione alcuni dei suoi brani gratuitamente, anche come strategia di promozione, niente da dire. Ma negli altri casi contrabbandare spartiti ancora protetti da copyright è semplicemente illegale. Ho visto che in alcuni gruppi Facebook alcuni amministratori mettono in guardia da questo commercio illegale, il quale comunque continua. Il problema vero è che molti non si rendono conto dell’illegalità che si commette, come se piratare gli spartiti fosse normale.
So già quello che alcuni pensano e chiedono: ma noi, che facciamo il servizio liturgico volontariamente, dobbiamo pure pagarci gli spartiti? Certo che dovete. Come ho già detto abbondantemente, il volontariato, così come è inteso dalla Chiesa oggi, squalifica la dignità e il decoro della liturgia. Vado a Messa in bellissime chiese del centro storico di Roma e vi assicuro che il livello della liturgia è così infimo da mettere i brividi. Generalmente cerco di evitare Messe in cui si canta, per evitare di uscire meno edificato di quando sono entrato, ma in generale, a parte il problema della musica sacra, è proprio la liturgia a essere tenuta in scarsissima considerazione. Vedo celebranti che fanno quello che vogliono e fedeli che non sanno quello che fanno. La diseducazione liturgica ha superato il livello di guardia, ma sembra che a nessuno importi qualcosa.
Quanto al musicista, l’unica cosa che conta è che non sia pagato, mai. Non deve essere pagato se suona, non deve essere pagato se dirige, non deve essere pagato se compone. Ma come deve vivere un musicista di musica sacra? I buoni(sti) ti dicono che dovrebbe fare altro per vivere e poi nel tempo disponibile dedicarsi alla Chiesa, quasi che la musica per la Chiesa fosse niente più che un hobby, come il bricolage o il giardinaggio. Ma perché allora non applicare questo principio anche ai sacerdoti? “Oggi per la Messa viene un sostituto, perché il parroco ha il turno in fabbrica”. Il lavoro parrocchiale come un di più, da svolgere nel tempo libero. Ma se andate da un medico e vi dice che quello per lui è un hobby, perché per mantenersi fa il metronotte, vi fate visitare? Certamente no. Ma allora perché l’idea del professionismo non deve valere anche per il musicista di Chiesa? Ciò che davvero mi fa impazzire è che nella Chiesa cattolica, specie nei nostri paesi latini, si dà per scontato che non pagare il musicista vada bene, perché è segno della “gratuità del servizio”. Peccato che questa espressione io l’abbia spesso sentita pronunciare da preti che hanno comunque le spalle economicamente ben coperte, e in quel caso è facile fare i buoni!
Nel 2011 è stata emanata una legge sul copyright da parte del Vaticano. Ma in realtà si occupa quasi esclusivamente dello sfruttamento economico dell’opera del Pontefice. Di tutto il resto non si parla. Perché?
Come ho detto in precedenza, la vera questione è che ormai è stata rimossa l’esigenza stessa di una musica dignitosa nella liturgia. Io non voglio fare il partigiano della forma straordinaria del rito romano, ma immagino che se a un sacerdote che celebra in questa forma fosse comunicato che al posto dell’organista suoneranno i giovani con la chitarra, gli prenderebbe un sacrosanto coccolone. Tutto ciò dovrebbe essere normale anche per la forma ordinaria, ma non lo è. Anzi, guai se si dice il contrario.
Oggi chi si dedica alla composizione musicale per la liturgia cercando di fare le cose con dignità è veramente un abitante di quelle periferie di cui parla il Papa argentino, qualcuno che viene ritenuto quasi inutile, uno scarto. E non è giusto.
In un’omelia del 2006 per la festa di san Giuseppe, Benedetto XVI disse: “Il lavoro riveste primaria importanza per la realizzazione dell’uomo e per lo sviluppo della società, e per questo occorre che esso sia sempre organizzato e svolto nel pieno rispetto dell’umana dignità e al servizio del bene comune. Al tempo stesso, è indispensabile che l’uomo non si lasci asservire dal lavoro, che non lo idolatri, pretendendo di trovare in esso il senso ultimo e definitivo della vita. Al riguardo, giunge opportuno l’invito contenuto nella prima lettura: ‘Ricordati del giorno di sabato per santificarlo: sei giorni faticherai e farai ogni lavoro; ma il settimo giorno è il sabato in onore del Signore, tuo Dio’ (Es 20, 8-9). Il sabato è giorno santificato, cioè consacrato a Dio, in cui l’uomo comprende meglio il senso della sua esistenza ed anche dell’attività lavorativa. Si può, pertanto, affermare che l’insegnamento biblico sul lavoro trova il suo coronamento nel comandamento del riposo. Opportunamente nota al riguardo il Compendio della dottrina sociale della Chiesa: ‘All’uomo, legato alla necessità del lavoro, il riposo apre la prospettiva di una libertà più piena, quella del sabato eterno (cfr Eb 4, 9-10). Il riposo consente agli uomini di ricordare e di rivivere le opere di Dio, dalla Creazione alla Redenzione, di riconoscersi essi stessi come opera Sua (cfr Ef 2, 10), di rendere grazie della propria vita e della propria sussistenza a lui, che ne è l’autore’ (n. 258)“. Quindi, dignità del lavoro e importanza di consacrare a Dio la festa nel modo più degno e pieno possibile. E per questo c’è bisogno del lavoro dei sacerdoti, dei sacrestani, dei fioristi e anche dei musicisti, a cui va garantito un onesto sostentamento.
Aurelio Porfiri