Perché in questo mondo impazzito dobbiamo tornare al buon senso cristiano
“Per tanti, troppo cristiani oggi i veri problemi sono tutti nel mondo: la guerra, il terrorismo, la fame, l’ingiustizia sociale. Tutti problemi seri, per carità! Ma sono davvero i problemi più gravi?”.
Chi si pone la domanda è Corrado Gnerre, apologeta cattolico, docente, autore di molteplici pubblicazioni. Lo fa nel libro La buona battaglia. Apologetica cattolica in domande e risposte (Chorabooks), un libro molto bello e molto opportuno, perché in modo semplice, con stile divulgativo, l’autore ribadisce alcune verità cattoliche che dovrebbero essere evidenti ma oggi, a fronte di una Chiesa che spesso appare impegnata a rincorrere il mondo più che ad annunciare il Vangelo di Gesù, vanno riaffermate e riproposte.
La domanda riportata all’inizio va al cuore di un problema evidente. Per tanti cristiani, e soprattutto per tanti cattolici, anche alla luce del magistero dell’attuale pontefice, sembra proprio che il destino dell’uomo si giochi oggi sul terreno sociale ed economico (basti pensare al modo ossessivo con il quale si batte su migrazioni ed ecologia), tralasciando la questione del rapporto uomo-Dio, delle cose ultime e del giudizio divino.
Fa bene pertanto Gnerre a scrivere: “Forse, a riguardo, un po’ di ripasso del catechismo non farebbe male. Dio non è venuto nel mondo per eliminare la guerra e il terrorismo, né per offrire il panino a tutti risolvendo i problemi della fame e della giustizia sociale, ma per portare la Salvezza con la S maiuscola”.
Certamente, e l’autore lo sottolinea, i cristiani, quali abitanti della città terrena, devono battersi per la giustizia, a favore dei più poveri e perché tutti i problemi nati dal peccato siano affrontati nel modo più efficace possibile, ma prima di tutto devono riconoscere che il peccato esiste e dunque che il problema riguarda il nostro rapporto con Dio e che Gesù dona un riscatto che non è la “liberazione” proposta dalle ideologie di quaggiù, ma la vita eterna di lassù. Ecco perché l’azione sociale dei cristiani è tanto più efficace quanto più avviene in nome di Dio e per la salvezza dell’anima.
Il libro di Gnerre è godibilissimo perché l’autore ha uno stile accattivante e perché le sue riflessioni nascono dalle domande poste dai lettori di Radici cristiane, il che è garanzia di concretezza. Innumerevoli i temi affrontati.
Un lettore chiede: ma davvero il cristianesimo è nemico del progresso? E allora Gnerre, con pazienza, risponde che semmai è vero il contrario, perché il pensiero cristiano è pensiero razionale, ed è proprio su questa base che l’Occidente cristiano ha potuto svilupparsi nel segno della ricerca scientifica. Altro che Chiesa contro la scienza!
Ma è vero che il Medioevo cristiano è stato un periodo buio? Macché! La prima rivoluzione industriale risale proprio al Medioevo. Nei secoli dall’XI al XIII è nata una tecnologia che ha fatto da presupposto alla rivoluzione industriale del secolo XVIII. E come si può definire buia l’epoca di Tommaso d’Aquino e delle cattedrali?
Ma è vero che non può esistere carità senza verità, come dice Benedetto XVI in Caritas in veritate? E non è che facendo dipendere la carità dalla verità si corre il rischio di svilire l’amore e di cadere in una visione troppo intellettuale? Ma no! “L’amore deve sempre essere giudicato dalla verità, altrimenti può diventare anche la cosa più terribile di questo mondo”. Un padre che lascia la moglie per “amore” di un’altra donna non fa il bene. Stalin che stermina milioni di piccoli proprietari per “amore” del socialismo non fa il bene. Robespierre che manda la gente alla ghigliottina per “amore” della rivoluzione non fa il bene. L’amore sganciato dalla verità può sfociare nella distruzione e nell’autodistruzione. “C’è chi si lamenta che oggi c’è poco amore. Verrebbe voglia di dire: no, non è così, oggi ciò che manca non è l’amore, ma la consapevolezza della Verità, che è un’altra cosa”.
Ma è vero che difendere la proprietà privata non è da cristiani perché si va contro i poveri? Ma no! L’uomo è naturalmente portato verso la proprietà privata, perché è presidio di libertà. Ecco perché i regimi totalitari prima o poi minano la proprietà privata. È stato proprio il cristianesimo a determinare un’estensione del diritto alla proprietà. “Ognuno è re a casa sua”, si diceva nel Medioevo. Altra cosa è il capitalismo cieco, il super-capitalismo che concentra la proprietà di beni e ricchezze nelle mani di pochissimi. Di qui l’importanza dei corpi intermedi, ma non è con l’abolizione della proprietà privata che si combatte la concentrazione della ricchezza nelle mani di pochi. La proprietà privata, e la Chiesa lo insegna, è garanzia di libertà, ma certamente per il cristiano deve restare un mezzo e non diventare un fine.
Bastano questi pochi cenni per capire che il libro pur spaziando su una grande varietà di temi (si parla anche, per esempio, di liturgia, sport, arte, sessualità, san Francesco, preghiera, animalismo, celibato ecclesiastico, misericordia e misericordismo, morte e vita eterna, magia, dogmi, il Graal, sovranismo…), ha una sua coerenza, perché c’è un filo conduttore: ovvero mostrare che la fede cristiana, lungi dall’imporre all’uomo pesi insopportabili dai quali è necessario liberarci, è in realtà dalla nostra parte.
La chiave di lettura credo si trovi nella risposta che Gnerre dà al primo lettore. Il capitolo è intitolato Siamo in un mondo di pazzi! E il lettore scrive: “Qui non si capisce più nulla. Si mette in discussione ciò che è scontato. Il normale viene ritenuto anormale e l’anormale normale. Ma che cosa è successo?”.
E quale può essere la risposta? Eccola: “Caro lettore, lei ha perfettamente ragione. Punto. Non si dovrebbe aggiungere nulla alle sue parole, ma purtroppo siamo giunti a quei tempi già profetizzati dal grande scrittore inglese, Gilbert Keith Chesterton, il quale disse che sarebbero arrivati anni in cui sarebbe stato necessario perfino combattere per dimostrare che d’estate le foglie sono verdi. Ci siamo: ciò che è ovvio necessità di dimostrazione, mentre ciò che ovvio non è (ed è perfino innaturale) viene accettato come se nulla fosse”.
Perché siamo a questo punto? L’intero libro, in fondo, risponde proprio a tale domanda. Siamo a questo punto perché, avendo abbandonato Dio e avendo messo l’uomo al posto di Dio, siamo come bambini perduti in un mondo senza regole e senza significati, un mondo dove è vero tutto e il contrario di tutto, dove il “faccio ciò che mi piace” è diventato più importante del “faccio ciò che è giusto”, dove la distinzione tra vero e falso, giusto e sbagliato, è stata abolita in nome di una falsa liberazione che in realtà è la forma più beffarda di tirannia, perché rende l’uomo schiavo di se stesso. Siamo convinti che interrogarsi attorno alla verità non sia pertinente, perché ci fa comodo pensare che una verità assoluta non possa esistere e, al massimo, il problema sia come far convivere tante verità. Ma lungo questa via si finisce dritti dritti nel totalitarismo, perché il relativismo eretto a sistema di pensiero favorisce l’imporsi del più forte, che può essere anche un lupo in veste d’agnello, uno che parla di solidarietà ma, di fatto, manipola le coscienze e non ne rispetta la libertà.
Non si tratta di inventarci chissà quali filosofie o di andarle a cercare chiisà dove. Tutto ciò che ci serve lo possediamo già: è il buon senso cristiano, suscitato in noi da un Padre che ci conosce e sa di che cosa abbiamo bisogno.
Gnerre, rispondendo al lettore su questi temi di vitale importanza, dice: “Se Dio non c’è, cioè se non c’è la Verità, tutto il resto sono balle, sciocchezze, contraddizioni da far invidia al più classico degli scemi del villaggio”.
Parole troppo dure? No, direi realistiche. Soprattutto in questo nostro mondo capovolto.
Aldo Maria Valli