«Lo spalancamento totale delle porte del magistero alla Teologia india e alla Ecoteologia, due derivati latinoamericani della Teologia della liberazione, i cui corifei, dopo il crollo dell’Urss e il fallimento del “socialismo reale”, attribuirono ai popoli indigeni e alla natura il ruolo storico di forza rivoluzionaria, in chiave marxista».
José Antonio Ureta, cileno, autore del libro Il “cambio di paradigma” di Papa Francesco: continuità o rottura nella missione della Chiesa? Bilancio quinquennale del suo pontificato, scrive così a proposito dell’Instrumentum laboris della prossima Assemblea straordinaria del sinodo dei vescovi pubblicato reso noto dal Vaticano nei giorni scorsi.
Il commento di Ureta è disponibile nel nuovo sito
http://panamazonsynodwatch.info/it/
che vuole essere un osservatorio critico sul prossimo sinodo, per denunciare il tentativo di utilizzare l’assemblea dei vescovi dedicata all’Amazzonia come «rampa di lancio» di una Chiesa sincretista, nella quale «niente sarà più come prima», come ha annunciato il vescovo Franz-Josef Overbeck.
«Come la Teologia della liberazione – spiega Ureta – anche l’Instrumentum laboris basa le sue elucubrazioni non sulla Rivelazione di Dio contenuta nella Bibbia e nella Tradizione, ma sulla realtà della supposta “oppressione” a cui sarebbe soggetta l’Amazzonia la quale, da semplice area geografica e culturale, passa ad essere “interlocutore privilegiato”, “luogo teologico”, “luogo epifanico” e “fonte della rivelazione di Dio” (n° 2, 18 e 19)».
Nell’Instrumentum laboris l’ecologismo diventa teologia e il peccato originale è identificato con la rottura dell’armonia fra uomo e natura, non fra l’uomo e Dio. La salvezza non sta dunque nel ritorno a Dio e nel rispetto della sua legge eterna, ma nel guardare ai popoli indigeni come esempio da seguire, in quanto solo loro vivono in armonia con il creato.
Dall’ecologismo all’indigenismo il passo è breve. L’indigeno, a dispetto della realtà, diventa una sorta di mito, per cui non si tratta più di convertire alla fede cattolica, bensì di «“integrare»”. Ma poiché la Chiesa cattolica, secondo questa visione, è troppo legata alla cultura dei malvagi popoli sviluppati e colonialisti, è chiaro che l’integrazione consiste in realtà nel riconoscere la superiorità dei saperi, dei riti e dei simboli delle culture indigene.
Se ne deduce che gli indigeni, essendo perfetti, non hanno bisogno del Vangelo. Semmai è la Chiesa cattolica che deve imparare da queste comunità per rivitalizzarsi e purificarsi.
Nell’Instrumentum laboris si parla, come sappiamo, anche di preti sposati e sacerdozio femminile, ma il cuore dello scardinamento sta in questo miscuglio confuso di teologia ecologista e di ideologia indigenista.
Il documento arriva a raccomandare che la nuova teologia sia insegnata ovunque e che la Chiesa invece di fare evangelizzazione per convertire si limiti a «“dialogare»”, poiché «“il soggetto attivo dell’inculturazione sono gli stessi popoli indigeni»” (n° 122).
Insomma, evidente è la subordinazione, tanto che la Chiesa è chiamata fare propri elementi pagani e panteisti, come «la fede in Dio Padre-Madre Creatore», i «rapporti con gli antenati», la «comunione e l’armonia con la terra» (n° 121) e la connessione con «le varie forze spirituali» (n° 13).
L’obiettivo? Non la conversione, non l’adesione alla legge divina, ma l’«“armonia tra i cicli della vita umana e la natura»”, e l’«“equilibrio tra gli esseri umani e il cosmo»”.
Se «”dal punto di vista ecologico – osserva Ureta – l’Instrumentum laboris rappresenta l’accettazione da parte della Chiesa della divinizzazione della natura promossa dalle conferenze dell’Onu sull’ambiente»”, dal punto di vista ecclesiale siamo di fronte a un «“terremoto»”, perché tutto viene messo in discussione, a partire dalla distinzione tra clero e laici.
L’Instrumentum laboris assume poi contenuti inquietanti quando fa propria la visione magico-taumaturgica dei «“vecchi saggi»”, chiamati con vari nomi, che “«hanno a cuore l’armonia delle persone tra loro e con il cosmo»”. Poiché gli sciamani-guaritori, servendosi non di rado di allucinogeni, invocano spiriti che i missionari tradizionali hanno sempre considerato diabolici, di fatto il documento vaticano accredita la stregoneria.
«“Quello che l’Instrumentum laboris propone – scrive Ureta alla fine del suo saggio – non è altro che un invito all’umanità a fare l’ultimo passo verso l’abisso finale della Rivoluzione anticristiana»”.
Difficile dargli torto.
Aldo Maria Valli