Come forse ricorderete, tempo fa ci siamo occupati di Israel Folau, il rugbista australiano allontanato dalla nazionale e dalla sua squadra di club per aver citato su Instagram San Paolo, là dove l’apostolo, nella prima lettera ai Corinzi, dice: «Non sapete che gli ingiusti non erediteranno il regno di Dio? Non v’illudete; né fornicatori, né idolatri, né adúlteri, né effeminati, né sodomiti, né ladri, né avari, né ubriachi, né oltraggiatori, né rapinatori erediteranno il regno di Dio. E tali eravate alcuni di voi; ma siete stati lavati, siete stati santificati, siete stati giustificati nel nome del Signore Gesù Cristo e mediante lo Spirito del nostro Dio».
Nato a Sidney da genitori tongani, Folau è cristiano evangelico e nel suo messaggio, tratto appunto da San Paolo, ha scritto: «Avviso: ubriaconi, omosessuali, adulteri, mentitori, fornicatori, ladri, atei, idolatri… l’inferno vi aspetta: pentitevi! Solo Gesù può salvare». Una sintesi forse un po’ brutale, ma sostanzialmente in linea con quanto dice San Paolo.
Di qui la decisione della federazione australiana di rugby, che ha licenziato il giocatore per aver violato il codice di condotta, il quale, fra le altre cose, vieta ai giocatori di «condannare, diffamare o discriminare le persone sulla base della loro sessualità».
Dopo il provvedimento Folau ha citato in giudizio la federazione rugby australiana, sostenendo di essere stato discriminato per le sue idee religiose. Inoltre, per far fronte alle spese legali, ha aperto una pagina sul sito web di raccolta fonti GoFundMe, ma mentre la sottoscrizione era già in corso, ed erano stati raccolti fondi per circa 500 mila euro, il sito ha deciso di chiudere la pagina.
«La pagina viola le nostre regole e quindi tutte le donazioni saranno rimborsate» ha precisato la direzione di GoFundMe. «Come società siamo coinvolti nella battaglia per l’uguaglianza delle persone Lgbt e per favorire l’inclusione sociale. Pertanto non possiamo tollerare quanti promuovono razzismo e discriminazione sul nostro portale» ha dichiarato il portavoce del sito, Nicola Britton.
«Ogni australiano dovrebbe poter praticare la propria religione senza temere di essere discriminato sul posto di lavoro» ha replicato Folau, nei confronti del quale comunque è arrivata in soccorso l’Australian Christian Lobby, organizzazione che ha messo a disposizione del giocatore un’ingente cifra da destinare alle spese legali ed ha a sua volta aperto una sottoscrizione, raggiungendo in poco tempo una cifra più che doppia rispetto a quella che era stata raccolta su GoFundMe.
«Donate generosamente per aiutare Israel Folau a difendere la libertà religiosa» chiede, a nome dell’Australian Christian Lobby, Martyn Iles, managing director di ACL.
A partire dalla vicenda del giocatore si sta quindi disputando una partita che va al di là del caso specifico e chiama in causa la libertà di espressione e di religione.
Da parte sua Folau riassume così l’intera storia sul sito dell’Australian Chriastian Lobby, riproponendo lo stesso messaggio che aveva scritto per GoFundMe: «Il mio nome è Israel Folau e fino a poco tempo fa giocare a rugby era la mia fonte di sostentamento. Ho avuto l’onore e il privilegio di rappresentare il mio paese nel campo sportivo, qualcosa di cui sarò per sempre grato. Sono anche un cristiano e la mia fede è la cosa più importante della mia vita. Cerco di vivere secondo la Bibbia e credo che sia mio dovere condividerne la parola. All’inizio di quest’anno ho caricato sulla mia pagina Instagram alcuni messaggi tratti dalla Bibbia. Credo che condividere la Bibbia sia un atto di amore e compassione. So che alcune persone non amano la Bibbia o non ci credono. In effetti, ciò che rende il nostro paese meraviglioso è che abbiamo una comunità tanto diversa, composta da così tante culture e valori differenti. Ma la mia fede mi definisce come persona e non credo sia giusto che io venga punito per le mie convinzioni religiose. Purtroppo, dopo che ho caricato i messaggi tratti dalla Bibbia, i miei datori di lavoro, la nazionale australiana di rugby e la squadra dei Warathas, hanno rescisso i miei contratti. Di conseguenza ho perso il lavoro, il mio sostentamento e la possibilità di giocare per il mio paese. Sembra infatti che non potrò mai più giocare a rugby in questo paese. Io credo però che la risoluzione dei contratti sia illegale, motivo per cui ho avviato procedimenti legali contro la nazionale e la squadra dei Warathas. In risposta, la nazionale ha già detto che “destinerà risorse significative” per combattermi in tribunale. Anche se vinco, la federazione può fare appello. Ci sono tutte le possibilità che un banco di prova così importante possa richiedere anni e finire davanti all’Alta Corte dell’Australia. Mia moglie Maria e io abbiamo già speso più di 100 mila dollari australiani, solo per cercare di gestire i processi del tribunale interno alla federazione. Il denaro che chiedo servirà a finanziare il resto della mia azione in tribunale. So che mi sto mettendo in gioco (questa azione sarà molto costosa in termini di tempo, denaro e reputazione), ma non intendo fermarmi. Sarei molto grato del vostro sostegno. Potreste fare una donazione, secondo le vostre possibilità, a favore della mia azione legale? Ogni piccolo aiuto mi sosterrà. Grazie dal profondo del cuore».
Era forse pensabile che un giocatore di rugby si potesse arrendere senza combattere?
Aldo Maria Valli