Cari amici di Duc in altum, dopo che padre Gabriele Rossi ha risposto (qui) all’intervento di don Andrea Maggi (lo trovate qui) sulla rinuncia di Benedetto XVI al pontificato, lo stesso don Maggi mi ha inviato un nuovo contributo, che vuole essere non solo una replica al padre Rossi, ma anche una puntualizzazione su ciò che veramente sta a cuore all’ex parroco diventato noto, suo malgrado, per aver bruciato una foto di papa Ratzinger durante la Messa. Come già sapete, sia don Maggi sia padre Rossi sono stati, per motivi diversi, sospesi a divinis.
A.M.V.
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Gentile Aldo Maria Valli, Dio la benedica per quanto ha stimolato nella Chiesa la riflessione sul suo fondamento visibile: il papato.
Pur non volendo disubbidire a quanto stabilito dal decreto che mi sospende a divinis (non scrivere pubblicamente e non avere iniziative giornalistiche) e ricordando che, comunque, tale prescrizione è lesiva dei diritti civili di ogni cittadino, rispondo alla lettera che il padre Gabriele Rossi mi ha inviato sulla questione della compresenza dei due Papi.
Partiamo dal problema teologico, nocciolo della questione. Padre Rossi si concentra sulla “validità o meno dal punto di vista canonico della rinuncia di Benedetto XVI”, ma il problema che io pongo è ben altro: la Chiesa deve seguire le regole del codice o prima deve uniformarsi al Vangelo?
È ovvio: la Chiesa si deve uniformare al Vangelo, sempre e comunque. Ed è evidente che Papa Benedetto XVI si è uniformato legittimamente e validamente al diritto canonico, nulla da eccepire. Ma la domanda è: tali norme del codice corrispondono al Santo Vangelo e, quindi, alla Volontà di Cristo? Per me no!
Ho settantaquattro anni. Il diritto canonico del 1917, il cosiddetto codice Gasparri che ho studiato in seminario, prevedeva forse le dimissioni dei vescovi e, peggio ancora, quelle del Papa? Solo dopo il Concilio Vaticano II l’intero codice è stato lungamente rielaborato ponendo in essere le dimissioni sia di un vescovo sia del Papa stesso. Un codice, quello nuovo, rivisto in ultima istanza dal cardinale Joseph Ratzinger, in quanto prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, e da lui portato alla firma di Giovanni Paolo II nel 1983.
Ecco così spiegata la mia personale sorpresa quando, nel 2013, ho saputo della rinuncia di Benedetto XVI. Avendo studiato il precedente codice, ho trovato assurdo che il Papa invocasse a fondamento della sua decisione il codice stesso, una norma stabilita dall’uomo.
Per me, lo ripeto, i nuovi canoni riguardanti la rinuncia del Sommo Pontefice sono dissonanti dal Vangelo. Ho sempre considerato le dimissioni del Papa un tradimento nei confronti di Cristo, un’infedeltà totale rispetto al mandato di essere suo vicario, suo segno visibile sulla terra, e rispetto al compito di restare a capo della Chiesa, al posto di Cristo unico e perenne, fino alla morte. Le dimissioni costituiscono una discontinuità intrinseca rispetto alla richiesta di Cristo di essere come lui fino alla morte, ovvero come il buon pastore che dà la vita per il gregge! Da qui il mio obbligato coinvolgimento. Come battezzato, se il Papa è dimissionabile e da chiunque ricattabile, mi chiedo: qual è allora il fondamento, la pietra, che regge il mio essere cristiano cattolico? Se l’essere Papa dipende dalla volontà umana, con le dimissioni non ho più nella mia fede un fondamento divino!
Ecco dunque la mia feroce reazione: nella prima domenica del marzo 2013 ho bruciato in chiesa la foto di Benedetto XVI, dopo la lettura del Vangelo, per protestare e dissociarmi dal nuovo corso eretico della Chiesa, una linea che, invece, quasi tutto il mondo pacificamente applaude e ritiene coerente al Vangelo.
Sì, ho bruciato la foto del Papa. Perché se tu, Benedetto XVI, proclami al mondo intero che sei un grande e vero Papa ma a tempo, soggetto alla tua propria volontà e non a quella divina, ecco che io, nel mio piccolo, in quanto battezzato, pubblicamente mi dissocio dall’eresia che tu stai consumando. Anche se per tutti gli altri va bene così, anche se tutti gli altri pensano che il Papa possa essere conforme a Cristo pur dimettendosi, io dico: no!
A Roma si sono illusi: così come era passata pacificamente l’instaurazione del regime delle dimissioni di ogni vescovo per legge a settantacinque anni, hanno pensato che tutti accogliessero enfaticamente il nuovo principio in base al quale anche il Papa si può dimettere. Il mio gesto (volutamente meditato e programmato, e che avevo pensato solo per il mio territorio, la piccola parrocchia di trecento anime di Castel Vittorio, in provincia di Imperia), una volta rilanciato dai mass media, ha suscitato clamore e ha posto pubblicamente la questione.
È chiaro che il mio gesto da un punto di vista pratico non è servito a nulla. Ma nulla mi aspettavo. L’ho fatto solo a beneficio della mia coscienza. E nemmeno il fulmine che in quelle ore, dopo le dimissioni del Papa, si è abbattuto sul cupolone della basilica di San Pietro ha giovato a nulla. Tuttavia insisto: per me, come fondamento unico, è necessario avere il Papa secondo la volontà perenne di Cristo, per sempre. Non vedo più un futuro per la Chiesa se rinnega tale principio, se cioè fa del Papa un fondamento sottoposto alla volontà umana e dunque un uomo dimissionabile e ricattabile.
Di conseguenza, se la mia convinzione teologica è esatta, conforme a Cristo e al Vangelo, Papa Ratzinger non è mai stato Sommo Pontefice. Ha infatti accettato il papato pienamente consapevole della possibilità di dimettersi, ma tale volontà è del tutto contraria al papato voluto da Cristo e costituisce un impedimento dirimente, al punto da rendere nullo e invalido il papato stesso.
Rinuncio a ogni giudizio sulle persone, ma attendo che la Chiesa si liberi al più presto di tale errore teologico ispiratore dei nuovi canoni, i quali, se rimarranno in vigore come tali, renderanno nullo ogni Papa anche nel futuro.
Questo che ho posto dovrebbe essere il problema di ogni cristiano: chi hai a fondamento? Una pietra stabile fino alla morte o un uomo dimissionabile e ricattabile?
Ognuno scelga e viva in pace. Se tutte le altre questioni della Chiesa direttamente non mi coinvolgono, su questo punto teologico, in quanto battezzato, resto fermo e non transigo.
Don Andrea Maggi